Nella Macao del 1998 (anno del ritorno dell’ex colonia portoghese alla Cina), si concentra la vicenda di Exiled (esiliato) di Johnnie To, storia che vede due killer (Anthony Wong e Lam Suet) pronti a eliminare Wo (Nick Cheung), un loro ex compagno d’infanzia su incarico di Fay (Simon Yam), boss di Hong Kong in trasferta a Macao, mentre altri due killer (Francis Ng e Roy Cheung), anche loro compagni d’infanzia di Wo, sono decisi a tutto pur di impedire che ciò accada.

Una sparatoria a tre impressionante per volume di fuoco ma indolore sul piano fisico, e gli schieramenti nemici vengono meno, l’antica amicizia risorge, si può allora ripartire da dove si era rimasti, uno per tutti tutti per uno.

Appena il tempo di fare mente locale su questa prima parte giocata magistralmente non tanto nella sparatoria ma sull’impassibilità dei quattro nell’attesa dell’arrivo di Wo, che subito ricomincia lo stupore per la capacità di To (e della sua factory, la Milkyway…) di estrarre da un canovaccio che sembra aver già detto tutto quello che c’era da dire, una sorpresa dopo l’altra.

Sarà che Macao è piccola (16,9 km2, 446.000 ab.), e allora è facile che si finisca col frequentare sempre gli stessi posti e incontrare sempre le stesse persone, ma ciò non toglie che quando i cinque amici in fuga dopo il primo scontro con la banda di Fay nella necessità di portare Wo ferito da un chirurgo che non fa troppe domande, finiscono col trovarsi nuovamente faccia a faccia con Fay anche lui bisognoso di cure, be’ il balzo sulla sedia è assicurato.

Quasi lo stesso cast di The Mission (nei ruoli principali) per un altro radicale viaggio totale all’interno di quel contenitore che risponde al nome di amicizia virile, e che in quanto tale, in quanto amicizia cioè, risponde a regole e comporta obblighi che alla mente sfuggono (ma al cuore no…), viaggio che nello specifico ha a che fare con la rinascita di un’antica amicizia e che vedrà i protagonisti accedere ad una dimensione collettiva che impedirà loro, di lì in avanti, di pensare solo e soltanto al proprio tornaconto personale.

È sufficiente vedere la serenità dipinta sul viso di Anthony Wong quando sembra che i suoi amici lo stiano per lasciare tra le grinfie del sadico Fay per afferrare non soltanto una delle declinazioni del cinema di Johnnie To, ma anche per avere la conferma che la lezione de Il mucchio selvaggio col suo why not? non ha ancora finito di regnare sui destini delle storie.

 

Exiled, è un film di cento minuti scarsi (ottanta puro noir, venti puro western…) che sembra durare il triplo. È palpabile la sensazione che ciò dipenda in primo luogo dalla trama che come accennato sopra sa sfruttare sino in fondo tutto quanto è disponibile in termini di alleanze che si fanno e disfanno, conflitti al calor bianco all’interno del gruppo di amici in fuga, piani di azione che abbandonati ad un certo punto sono ripresi più avanti quando oramai lo spettatore l’ha belli che dimenticati, con l’accortezza che stavolta il piano di ritorno (l’assalto ad un furgone che trasporta oro) è messo in pratica in modo del tutto diverso da come era stato progettato.

 

Aggiungeteci uno stile di regia elegantissimo e capace di rendere indelebili in eguale misura sia i momenti in cui l’azione è sospesa, con i corpi immobili come statue mentre è la cinepresa a muoversi e il montaggio ad accelerare, sia quelli dove a prevalere sono delle furibonde sparatorie, che in quanto tali non possono non richiamare alla mente quelle care in particolare al cinema John Woo (quello però dei bei tempi, pre-hollywoodiani per intenderci…), e il quadro di Exiled è bello che pronto.

Perfino il finale, anche se largamente prevedibile, mantiene intatto tutto il dolore e tutto lo strazio che ci vuole in una storia così.

Presentato in concorso al 63ma Mostra Internazione Cinematografica del Cinema di Venezia.

Sergio Gualandi

Capolavoro di genere (ed è un assoluto complimento) che non solo cita e omaggia l'Italia cinematografica - Sergio Leone è praticamente richiamato nei nostri cuori in ogni inquadratura - ma anche quella alcolica. I killer tracannano Vecchia Romagna e si chiama in causa anche l'Italia parolacciara, ché ci scappa un bel "vaffanculo" attorno al fuoco. Lirico, eccessivamente stilizzato nelle ambientazioni da cartolina-from-Macao ma perdoniamo nonostante sia in queste trappole che Exiled perde qualche grammo di pathos pur mantenendo un intenso impatto generale e grondando respiro epico.

Una coppia di killer deve proteggere un ex amico mentre un'altra lo deve ammazzare. Si riunisce il gruppo di amici di un tempo seppur in una circostanza pericolosa. Sarà l'occasione per i protagonisti di compiere un viaggio costellato di incontri/scontri con la Provvidenza - di tarantiniano stampo, e che gli dei ci perdonino per l'abuso di questo aggettivo ma in questo caso è il migliore da schierare -  e per noi di assistere a duelli tra gangster dove non si lesinano né pallottole né vendette e continue sorprese visive. Capolavoro di genere ed è un assoluto complimento.

Daniela Losini