Eye in the sky è un’espressione che indica il concetto di sorveglianza, e l’omonimo film di Yau Nai Hoi parla proprio di alcuni addetti alla Surveillance Unit della squadra di polizia di Hong Kong ed in particolare di Dog Head (Simon Yam) e della recluta Piggy (Kate Tsui). L’inizio è fulmineo: i due agenti (la cui identità si verrà a scoprire soltanto in seguito) sono su un tram, apparentemente ognuno per conto proprio. A bordo c’è anche Shan (Tony Leung Ka–fai), un criminale la cui identità al momento non è ancora nota ai due. I tre scendono, ciascuno prendendo direzioni diverse, poi Piggy torna indietro, segue Dog Head in un bar, si apposta poco distante da lui, e lui le si avvicina e comincia a interrogarla su quanto ha visto, per vedere se ha memorizzato bene tutto quello che è accaduto durante il viaggio. C’è una pericolosa banda di ladri che terrorizza Hong Kong con numerose rapine; compito della squadra speciale è quella risalire ai colpevoli e neutralizzarli. Purtroppo, Shan non è ancora noto alla polizia, e l’uomo di reca facilmente indisturbato su una postazione da cui può controllare che il colpo vada a segno. Le telecamere, però, individuano la presenza sospetta di un  tipo su Queen’s Road. La capa dell’unità speciale, Madam (Maggie Siu), decide quali sono le prossime mosse da far compiere ai suoi agenti: prima di tutto, si dovrà rintracciare l’abitazione del sospetto, poi da lì si dovrà risalire al capo dell’organizzazione. Piggy si offre per stanare tutti gli indizi possibili, fino a incastrare il capo in uno scontro che sembra quello definitivo ma che dovrà fare i conti con il senso di pietà della ragazza, che si lascia sfuggire il criminale. Provvidenziale sarà allora l’intervento di Dog Head, che pagherà a caro prezzo la propria abilità, permettendo però a Piggy di crescere e di diventare davvero un “occhio nel cielo”, come il reticolo di telecamere che circondano ogni angolo della città chiudendo metaforicamente il film in una cornice di sorveglianza serrata (perché in fondo noi che guardiamo e dunque “sorvegliamo” questa storia siamo a nostra volta sorvegliati da un potere più grande che ci controlla).

            Al suo esordio alla regia, Yau Nai Hoi, già sceneggiatore di alcuni fondamentali film di Johnnie To come A Hero Never Dies, PTU e The Mission, costruisce un film impeccabile sia dal punto di vista formale che narrativo, con una variante – inserire un’assistente donna invece di creare il solito film noir tutto al maschile – che poteva costituire l’elemento forse di maggiore originalità dell’opera, per il resto troppo simile a molte cose già viste forse troppe volte. Peccato, però, che la parte del leone la faccia comunque il personaggio di Dog Head, relagando la ragazza a un ruolo subalterno nonostante le potenzialità della tematica di formazione della recluta all’interno di una missione di crescita nella vita come nella polizia. Senza dubbio, Simon Yam dimostra coraggio a frantumare il suo fascino da divo per mostrarsi grasso, trasandato e con la barba, ma di certo un eroe imbruttito non basta per trasformare Eye in the sky in un capolavoro. Si tratta in realtà di un prodotto costruito più con la mente che con il cuore, freddo e privo di sorprese, con minime varianti alla formula già ben oliata del noir hongkonghese degli ultimi decenni e che nulla aggiunge a un panorama che forse ormai ha già dato il meglio di sé e che difficilmente potrà rinnovarsi procedendo di questo passo, senza osare qualcosa di veramente innovativo e di sorprendente anche dal punto di vista dello sperimentalismo. Sarà che ormai i noir di Hong Kong sembrano un po’ tutti uguali, ma a vedere film simili viene tanta nostalgia della new wave e di film dove magari i mezzi erano pochi e le idee erano imperfette ma il risultato finale era più incisivo, vivido e non necessariamente interessato  soltanto a creare un vuoto prodotto di intrattenimento.