Alla morte di Gioacchino Rossini, volendo onorare il grande Maestro, Giuseppe Verdi scrisse al Ricordi la seguente missiva:

 

"Sant'Agata, 17 novembre 1868.

 

       Carissimo Ricordi,

             a onorare la memoria di Rossini vorrei che i più distinti maestri italiani componessero una Messa di Requiem da eseguirsi all'anniversario della sua morte. Vorrei che non solo i compositori, ma tutti gli artisti esecutori, oltre a prestare l'opera loro, offrissero altresì l'obolo per pagare le spese occorrenti. Vorrei che nessuna mano straniera né estranea all'arte, e fosse pure potente quanto si voglia, ci porgesse aiuto. In questo caso mi ritirerei subito dall'associazione. La Messa dovrebbe essere eseguita nel S. Petronio della città di Bologna, che fu la vera patria musicale di Rossini. Questa Messa non dovrebbe essere oggetto né di curiosità né di speculazione; ma appena eseguita, dovrebbe essere suggellata e posta negli archivi del Liceo Musicale di quella città, da cui non dovrebbe essere levata giammai. Forse potrebbe esser fatta eccezione per gli anniversari di lui, quando i posteri credessero di celebrarli... Sarà bene istituire una Commissione di uomini intelligenti onde regolare l'andamento di questa esecuzione, e soprattutto per scegliere i compositori, fare la distribuzione dei pezzi, e vegliare sulla forma generale del lavoro. Questa composizione ( per quanto ne possano essere buoni i singoli pezzi ) mancherà necessariamente d'unità musicale; ma se difetterà da questo lato, varrà nonostante a dimostrare come sia grande la venerazione per quell'uomo, di cui tutto il mondo piange ora la perdita. Addio e credimi Aff. G.Verdi".

       La proposta fu accolta con slancio e tra i maestri che composero i pezzi loro assegnati, Buzzola, Bazzini, Cagnoni, Ricci, Nini, Boucheron, Coccia, Gaspari, Platania, Petrella, non poté mancare Carlo Pedrotti che curò il Tuba mirum a solo baritono con coro.

      Pedrotti nacque a Verona il 12 novembre 1817. Allievo di Domenico Foroni, dopo avere ottenuto l'incarico di direttore del Teatro Italiano di Amsterdam, si dedicò all'insegnamento e alla composizione nella città natale. A lui dobbiamo due gioielli di musica giocosa Fiorina e la fanciulla di GlarisTutti in maschera (da L'impresario delle Smirne di Goldoni, Verona, 1856), nonché Il favorito (Torino, 1870) e Olema la schiava (Torino, 1870). Minore fortuna, invece, ebbero le opere serie ancora legate ai modi rossiniani e del primo Verdi. Pedrotti stesso ne proibì, in età matura, l'esecuzione, giudicandole "roba da vecchi" e forse avvertendone la scarsa incisività.

    Tutti in maschera è considerato da tutti il capolavoro di Pedrotti. La musica è abile e briosa, esibisce una raffinata scrittura armonica ed elabora interessanti soluzioni drammaturgiche. L'opera ebbe grande uccesso e resistette sulle scene nazionali ed estere (Vienna, 1865* Parigi, 1869, con il titolo Les masques, nella traduzione di Nuitter e Beaumont ).

   Gualfardo Bercanovich, suo discepolo, compagno e amico, lo inquadrò quale erede diretto della scuola napoletana del secolo diciottesimo, che univa la purezza dell'armonia e del contrappunto con la spontaneità delle idee e la naturalezza dello sviluppo. Pedrotti venerava la memoria dei grandi Maestri ed era orgoglioso di essere italiano, anche se comprese subito che i tempi nuovi richiedevano un'arte nuova e che il "vecchio" non doveva essere un inciampo al "moderno".

     Uomo esemplare, era amico sincero di tutti. Non sapeva che cosa fossero la gelosia e l'invidia. Ma non fu scevro di repentini scoppi di collera. In fondo, però, era un burbero benefico. Giuseppe Depanis ce lo descrive mentre siede a tavola con accanto una gabbia di canarini e mentre modera la voce per non spaventarli, tralasciando di mangiare per seguirne i gorgheggi con l'orecchio.

    Operoso, diligente, solare, non ammetteva ritardi. Che se la prima donna od il primo tenore od il primo baritono ritardavano di qualche minuto, egli si infuriava, perchè di fronte al dovere non riconosceva dive o divi. 

    Dal 1868 al 1882 Carlo Pedrotti fu maestro concertatore e direttore d'orchestra al teatro Regio di Torino. Qui diresse anche il Liceo Musicale e i Concerti Popolari, da lui fondati nel 1872. Formò diversi musicisti, poi diventati celebri, come il violinista parmense Augusto Comuni (1849 - Varese, 1934 ), che si recò con lui a Parigi con la Regia Orchestra di Torino. Tra le prime esecuzioni italiane dirette da Pedrotti, oltre a opere di Wagner, Carmen di Bizet, Il Re Lahore di Massenet, La Regina di Saba di Goldmark, Elda di Alfredo Catalani, La Regina di Napoli di Bottesini.

   Nel 1882, dopo quindici anni di soggiorno, Pedrotti abbandonò Torino per recarsi a Pesaro ad assumere la direzione del Nuovo Istituto Musicale, fondato dalla magnanimità di Rossini.

    La sorpresa e il rammarico dei torinesi fu enorme. Quali furono le ragioni di quella decisione? Probabilmente ciò che sedusse il Maestro veronese fu il pensiero di chiudere una laboriosa carriera artistica con il legare il suo nome a quello del Liceo Rossini di Pesaro. Da escludere motivazioni di ordine finanziario. Influì semmai la fatica da sopportare di un grande teatro. L'ultima stagione fu brillantissima in grazia della Gioconda di Amilcare Ponchielli con la regina di tutte le Gioconde, vale a dire Maddalena Mariani-Masi, e dell' Excelsior di Luigi Manzotti. Entrambe le opere nocquero alla seconda novità della stagione, Il tributo di Zamora, di Carlo Gounod che interpreti valentissimi non salvarono dalla caduta.

    Ma il maggiore danno della partenza di Pedrotti lo risentirono, naturalmente, i Concerti Popolari, che il biografo Ippolito Valetta definì "creazione sua importantissima non solo per l'arte a Torino ma ancora per il movimento musicale di tutta l' Italia. Essi scuotono mirabilmente l'infingarda indifferenza dei più riguardo alle cose musicali, che hanno portato alto il nome dell'arte italiana nei più difficili tornei internazionali, i quali hanno distrutto più di un pietoso ed erroneo concetto degli stranieri".

  Gli ultimi applausi furono per le Danze ungheresi di Brahms, la numero cinque e la numero sei, strumentate dal Parlow ed il poema sinfonico Les préludes di Liszt. 

   Nell'estate del 1882, dopo avere fatto in primavera la spola tra Torino e Pesaro, Carlo Pedrotti stabili definitivamente la sua residenza in Pesaro. Prima di partire, scrisse ai giornali questa lettera di congedo: "Lascio Torino con un sentimento di dovere verso l'arte a cui dedicai la mia vita e per un dovere di gratitudine verso il Municipio di Pesaro che mi onora dell'alta missione di dirigere il nascente Liceo Rossini; ma parto con giusto e profondo rammarico. E nel partire da questa illustre e colta città, di cui serberò sempre tante e sì dolci rimembranze, vi lascio una parte del mio cuore. A tutti un triste, un affettuoso addio".

    Il 16 ottobre dell'anno 1893 Carlo Pedrotti pose tragicamente fine ai suoi giorni gettandosi nell'Adige dal Ponte della Vittoria.

   "La salute non va bene, pur troppo, e sono molto avvilito". Aveva scritto a Giuseppe Depanis il 4 ottobre.

    Parole significative per chi conosceva lo stoicismo del compositore veronese.

    Così ci tramanda il Depanis:

    "Nel Marzo del 1893, che fu l'ultima sua gita, curvo nella persona, le gambe vacillanti, lo sguardo offuscato, la parola lenta - egli, buon Veronese dallo scilinguagnolo sciolto - ci sembrò lo spettro del Pedrotti vispo, allegro, irrequieto che avevamo conosciuto, e ne provammo una stretta al cuore. Soffriva e cercava di dissimulare le sofferenze, la lucidità della mente era come offuscata da un torpore che gli rendeva lenta la rievocazione degli uomini e delle cose. Volle ritornare al Regio, volle rivisitare il Liceo quasi a rifugiarsi nel passato sperando che il contatto gli ridonasse qualcosa dell'antica energia. Ne provò invece una indicibile angoscia, gli occhi gli si inumidirono tanto fu disastroso il raffronto tra l'oggi e il ieri, tanto fu pauroso il presentimento del domani, e si allontanò più triste e più sconsolato."

      Dopo i funerali, a notte fonda, passeggiando in Piazza Bra, Depanis udì in una bottega da caffè una orchestruccia che aveva intonato l'ouverture di Tutti in maschera. Erano un violino, un flauto, una chitarra, tre sonatori ambulanti che forse speculavano sulla pietà della gente o, molto più probabile, rendevano a loro modo omaggio alla memoria dell'illustre concittadino.

     Come non rivedere il Teatro Vittorio riempito all'inverosimile, come non rivivere gli applausi, allorchè l'orchestra finì di suonare l'ouverture di Tutti in maschera...   

    Ma l'anima di Pedrotti è sempre lì. In Piazza Bra. Insieme al terzetto di suonatori ambulanti.