Gery Palazzotto lo conosciamo già per Di nome faceva Michele, uscito per Dario Flaccovio Editore nel 2004, tra l’altro tradotto di recente in Spagna e nei paesi dell’America Latina.

Giù dalla Rupe è un giallo dei più classici, dall’inizio alla fine. O quasi. Nel senso che per certi versi esce dagli schemi di questo genere, e i “versi” in questione si chiamano ironia, sarcasmo e malinconia. Come descriverlo? Immaginate un Simenon (quello dei romanzi senza Maigret) che sfotte se stesso seduto su un cesso. La metafora è strana ma forse azzeccata, dato che tutto comincia con un’epidemia di diarrea che flagella l’isola di Rosmarino, a largo di Palermo. L’isola dell’isola: e questo già basterebbe per dare un’idea dell’ambiente. Il resto, come sempre, sono sbirri e morti ammazzati. Ma la visuale in questo caso non è macchinosa, è acuta e sensibile, ben affilata. Insomma, non è un romanzo della serie “troviamo il colpevole e tutti amici come prima”.

Palazzotto dimostra d’essere uno scrittore di buone capacità. Con Giù dalla rupe ci ha piacevolmente intrattenuto e ci ha regalato qualcosa di più. Ma lo aspettiamo al varco, col prossimo romanzo vorremmo essere sorpresi. L’aria è buona per il grande salto.