La ragazza dai lunghi capelli biondi che scalpita sullo zerbino indica

la scritta AGENZIA INVESTIGATIVA CANTINI e dice: “Sei tu?”

“Tu chi?”

“La detective.”

“Non siamo in America.”

“Okay.”

“Va bene.”

“Okay.”

Mi arrendo.

“Mi chiamo Dora Arienti. C’è un posto dove possiamo parlare?”

Aprendole la porta del mio studio, noto che è abbastanza bella da fare un mestiere tipo l’indossatrice: porta una maglietta rosa fucsia, jeans strappati all’altezza del ginocchio e scarpe nere decolleté dal tacco di dodici centimetri.

La invito a sedere sulla poltrona di cuoio dove di solito faccio accomodare i miei clienti. Prima di sedermi dall’altra parte della scrivania, richiudo uno schedario aperto con un calcio.

Scaffali in ferro e armadi a serranda dell’Ikea, cestino stracolmo di cartacce, pile di giornali e foto ingiallite della Bologna che fu appese alle pareti riempiono il resto della stanza. Dora Arienti intreccia le mani sulla scrivania, ha i pollici stretti da grossi cerchi d’argento; si sposta leggermente in avanti come ad accorciare la distanza che ci divide, puntando i gomiti ossuti sul ripiano di noce. Mi soffermo un istante sulla sua bocca generosa, sui suoi occhi verdi e sul suo naso da Barbie, vistosamente rifatto.

“Il tuo è il primo numero che ho trovato sull’elenco. Non ci sono tante agenzie investigative, in città.”

Dal tono aspro della voce capisco che è abituata a duellare più che a dialogare civilmente.

“La mia amica è sparita. Ormai sono sei giorni. Non l’ho detto alla polizia perché non mi fido della polizia”, dice sbirciando la porta con agitazione, come se da un momento all’altro potesse entrare una squadra di agenti al completo.

“Non risponde al cellulare e a casa non c’è.”

Apro un cassetto della scrivania e prelevo un blocco di carta.

“Vivi con lei?”

“No.”

“Il nome della tua amica?”

“Vanessa Liverani, ma io la chiamo Van. Tutti la chiamano Van, a parte quella stronza di sua madre.”

Non faccio una piega e trascrivo su un foglio le prime informazioni.

“Età?”

“Trentuno. Io ne ho uno di più.”

La guardo, in attesa di altre notizie.

“Quando è nervosa starnuta.”

Mi appoggio contro lo schienale della mia sedia girevole. “E’ un po’ poco.”

Trae un respiro profondo. “Senti, fino a qualche anno fa lavoravo in banca e vivevo con il principe azzurro. Non può essere tutto qui, mi dicevo.”

Sospiro. “Cosa volevi di più?”

“Viaggiare, guadagnare, vedere cosa c’era oltre un futuro già programmato.”

“Capisco”, mento.

“Van è una che polarizza l’attenzione. Me l’ha presentata un tizio a una festa… Posso fumare?”

Le faccio cenno di sì, spingendo una conchiglia che uso a mo’ di posacenere nella sua direzione. Da una borsetta a tracolla, grande come un portafoglio, preleva un portasigarette d’argento e un accendino.

“Insomma, tra un cuba libre e l’altro mi confida che non ha più voglia di andare a Milano a fare audizioni, che ormai è troppo vecchia, ma in passato ha partecipato a molti show televisivi.”

“Facendo cosa?”

“Quello che fa una alta un metro e ottanta con un culo da brasiliana e la quarta di reggiseno.”

“Certo.”

“Dice che è entrata nel giro, che fa marchette di lusso.”

“Spiegati meglio.”

“Mi dice che consumarsi le labbra a furia di pompini rende economicamente.”

Le faccio cenno di proseguire.

“Poi mi porta a casa di Spaccesi, uno che lavora nel settore immobiliare e che ha un sacco di amici, liberi professionisti, uomini d’affari di passaggio in città… Anche l’ultima sera che l’ho vista eravamo lì. All’una di notte ci siamo salutate.”

“Chi altri c’era con voi?”

“Tre amici di Spaccesi. Avevo passato il pomeriggio con Malerba, un costruttore di barche. E’ il mio cliente preferito, anche perché non riesce mai a concludere: troppa cocaina. Allora io sto lì, gli massaggio la sua mezza erezione e lascio che si sfoghi, che mi parli dei suoi problemi…”

“Spaccesi… di nome?”

“Gaetano. Uno a cui non piace depilata e che non vuole che ti metti profumo.”

Schiaccia la sigaretta con nervosismo. “E’ grossolano, ma non è peggio di altri.”

Spazzo via un po’ di cenere fuoriuscita dalla conchiglia.

“Così hai lasciato la banca e hai cominciato a venderti anche tu.”

Storce le labbra: è chiaro che non ha nessuna voglia di sentirsi fare la morale.

“Mai avuto problemi coi clienti?”

“Ad alcuni piace pagare, è questo il loro orgasmo. Ad altri piacciono i triangoli, e allora io e Van lavoriamo in coppia.”