“Embrasse-moi”, mi hai detto, stringendo le mie: la destra e la sinistra, la buona e la cattiva.

“Porte-toi bien… écris-moi!”

“Sì, sì, ti scriverò.”

Hai sospirato, buttando la cicca nella segatura. “Ah, et… comment on dit? Une passion… ça ne peut pas durer… je le sais.”

“Ne te fais pas de soucis pour moi…”

“Bologna c’est une ville fantastique.”

Sorrido. Bentornata a casa, Giorgia.

Ripongo la tazzina sul bancone e mi incammino verso l’uscita dell’aeroporto. Salgo sul primo taxi libero e mi perdo a guardare dal finestrino il lampeggiare delle insegne luminose.

2

Seduta a un tavolino all’aperto di un bar di via Indipendenza, sorseggio una birra e intanto gioco con lo scatto dell’accendino. Com’è che dicono i tedeschi in questi casi? Kopf hoch! Su la testa!, pare che serva a esorcizzare la malinconia.

Sono qui, col mio setto nasale deviato, la frangia irregolare sugli occhi scuri e incavati, l’aria assorta di chi beve l’ultima birra della sera e poi va a casa a disfare la valigia e ad addobbare le mensole con qualche souvenir tunisino. Sto bene. E’ tutto a posto.

Ho quarant’anni appena compiuti, non ho l’anestetico della religione ma ho quello dell’alcol, e poi ho il mio istinto, più che un istinto un cane da guardia. Ne quid nimis, mi dice il mio istinto, ed è lui a impedirmi di ordinare un’altra Beck’s ghiacciata.

Due uomini sulla cinquantina dai capelli brizzolati e le facce abbronzate bevono Bellini fissando l’ombelico delle ragazze sedute in modo sparso agli altri tavoli. Uno dei due sta dicendo che è giunta l’ora di arrendersi, e ovviamente con una donna ancora giovane; l’altro gli risponde che alla libertà non vuole rinunciare e che non sa resistere alla vista di tutte quelle pance scoperte.

Ascolto le battute salaci che si scambiano e mi chiedo se nelle tasche delle loro giacche di lino tengano boccette di Viagra, accanto alle caramelle per l’alito. Barocco è il mondo, vivi e lascia vivere; parliamo tutti come quelli della tv. No, non è l’alcol a semplificarci i pensieri; ormai puoi leggere anche un tomo al giorno, ma appena butti un occhio su uno schermo o un giornale l’opera omnia di Tolstoj è bella che rimossa. “The world is tv”, diceva Jimi Hendrix. Semplice e conciso. Sarà che un musicista tratta i massimi sistemi della vita dal gradino più basso della scala…

Sfogliando una copia sgualcita di Il Resto del Carlino, leggo che Michael G. Zey, sociologo americano, sostiene che nel 2050 vivremo centotrenta anni: le nano-tecnologie arresteranno l’invecchiamento delle cellule e la più grande aspirazione dell’umanità – restare giovani per più tempo possibile – potrà finalmente realizzarsi. Be’ – rifletto –, per ora le cose non stanno così, e forse questi due vecchi ragazzi lo sanno, che il tempo stringe, che non si può bighellonare ad infinitum.

“Su dieci laureati, sei sono donne. Diligenti, colte, ben organizzate, ma poco innovative”. E l’altro gli risponde: “Le mie studentesse dicono che gli uomini, oggigiorno, o sono misogini o sono gay”.

Lo avevo intuito: sono professori. Gorgogliano risate bevendo i loro Bellini e intanto tengono d’occhio le ragazze degli altri tavoli, i corpi magri e nervosi sotto le trasparenze degli abiti estivi, i volti senza segni di un’età che ha tempo da vendere, mentre loro – attempati squalotti della città dotta – guardano l’orologio con preoccupazione.

Bologna alle dieci di sera si è un po’ rinfrescata, anche se ci sono signore che agitano ventagli e un cameriere passa tra i tavoli grondando sudore dalla fronte: dalla sua espressione sembra che non veda l’ora che la città si svuoti e di raggiungere la famiglia in qualche posto di mare della Puglia o della Sardegna. Bologna.

Città di terziario avanzato piena di cooperative che sono la sua ricchezza e la sua croce. Città di imprenditori, di grandi aziende, di ospedali, di masse di impiegati che ogni giorno timbrano il cartellino all’Unipol, alla Manutencoop, all’Ima, alla Camst…

Quando Marcel mi ha chiesto perché ci vivo bene gli ho risposto: “Qui ho i miei ricordi, riconosco le cose, è la città dove sono nata”. Ma non gli ho detto che una volta questa città aveva un’anima. Ora è intasata di traffico, la gente è sempre più sospettosa, e storce il naso davanti agli immigrati.

Di questo mi piacerebbe parlare con i due professori del tavolo vicino, se non avessero i sensi impegnati a sbirciare perizoma o seni in libertà sotto le magliette…