Parlare della presentazione di un libro è difficile, se poi il libro è il tuo diventa quasi un’impresa, correndo il rischio di essere scarsamente obiettivo ed eccessivamente entusiastico. Tenterò di avere la freddezza del cronista ma non garantisco la riuscita totale.

 

Già essere a Più libri, più liberi è non solo un piacere ma un onore perché avere la possibilità di parlare di te stesso e della tua opera in una manifestazione di tale importanza è talmente grande da far tremare le vene e i polsi, anche a uno navigato come me. Navigato sia per età sia perché fra festival del cinema, convegni, dibattiti e presentazioni sono abituato a parlare in pubblico e ad affrontare situazioni anche più difficili. Mi ricordo la presentazione del mio film Storia senza parole a Los Angeles, nella mitica sala dell’associazione dei registi (2000 posti, mica robetta) con il problema che il mio inglese è sufficiente per non morire di fame e per non perdermi nelle strade ma certamente non è in grado di farmi sostenere un incontro con circa trecento americani desiderosi di sapere tutto di te e del tuo film. La cosa si risolse con l’intervento di un famoso regista Paul Bartel, purtroppo scomparso, che mi fece da interprete, avendo vissuto per anni a Roma.

Oggi non ho questo problema perché l’italiano è lingua mia, anche se con notevole accento romano, ma l’emozione è la stessa, perché non sai come parlare del tuo libro cercando di non annoiare e di non essere troppo elogiativo nei propri riguardi. Va bene volersi bene ma eccedere è sempre un peccato mortale. Io da uomo di spettacolo ho capito che le presentazioni dei libri rischiano di essere noiose perché di solito l’autore si fa accompagnare da relatori più o meno illustri ma spesso accademici e noiosi. Oppure legge da solo le sue pagine ma se a volte sa scrivere sicuramente non sa leggere. Inoltre presentando un libro nuovo è sicuro che la maggioranza dei presenti non lo ha letto quindi non è in grado di capire i giudizi che vengono espressi. Allora ho deciso che per tutte le mie presentazioni (già ne ho fatte a Roma, Milano, Napoli, al Sicilia Roma festival) chiedo aiuto ad amici attori per leggere brani del romanzo, in modo da far entrare il pubblico, quanto meno, nell’atmosfera e nello stile del romanzo. Non potendo invitare la gente a un pranzo completo almeno offro loro un antipasto stuzzicante e invitante.

 

Oggi ho chiesto l’aiuto di due colossi, Angiola Baggi e Sergio Fiorentini, nomi noti ma soprattutto voci famosissime e amate perché sono due pilastri del doppiaggio e hanno dato voce a divi come Jessica Lange e Gene Hackman, tanto per citarne solo due nell’enorme mazzo del loro repertorio.

Ma loro sono soprattutto attori e recentemente hanno partecipato a produzioni televisive importanti e popolari come Incantesimo per lei e Il maresciallo Rocca e Distretto di polizia per lui, ovvero il mitico brigadiere Cacciapuoti e il sarto Tiberio. Così la presentazione inizia con il pezzo forte, la lettura da parte dei due “mostri” di alcuni brani montati da me in modo da creare una tensione, come se fosse una fiction o un romanzo sceneggiato, come preferisco dire io, forse per nostalgia o per vanità. Essendo un “maestro dello sceneggiato italiano degli anni settanta“ come mi descrivono non solo l’efficientissimo ufficio stampa della Dario Flaccovio Editore ma anche molti critici, a cominciare da Aldo Grasso nel dizionario Garzanti dedicato alla televisione.

Mentre gli attori leggono (ma sarebbe meglio dire recitano) io osservo i volti degli spettatori e cerco di comprendere dalle loro espressioni varie cose: primo, se sono “acchiappati”, secondo quali reazioni hanno di fronte e certe frasi, a certe parole, terzo se hanno il coraggio di affrontare il mio sguardo, forse eccessivamente curioso. Mi trovo a pensare (e non è molto lusinghiero nei miei riguardi) che Sergio e Angiola potrebbero anche leggere l’elenco del telefono e avere lo stesso interessato ascolto ma poi decido che forse un piccolo merito lo hanno anche le pagine del mio romanzo. Quando è finita la lettura, tocca a me parlare e io racconto nel modo più semplice possibile perché, da tanti anni e nelle forme più diverse, mi diverto a raccontare, cercando di avere un contatto con il pubblico che diventi quasi una sorta di astratta amicizia. Spiego il mio modo di creare personaggi che delineo sempre senza giudicarli ma cercando di farli vivere, in modo che il lettore li senta vicini, li ami o li odi come se fossero reali. E tutti per me hanno importanza sia i personaggi principali che le figure cosiddette secondarie che per me devono essere vive, caratterizzate e possibilmente memorabili. E sono felice che le recensioni uscite (anche quella su Thriller magazine) hanno sottolineato questa capacità di dare vita a un mondo dove anche la figura più piccola “è tratteggiata con somma maestria da Proietti che scava impietosamente nei meandri psicologici dell’animo umano…”.  Ovviamente è sempre gradevole citare recensioni positive ma vedo che i presenti, anche quelli che non hanno ancora letto il libro, concordano perché quanto abbiamo letto risulta subito accattivante e degno di rilievo. Poi nascono le domande senza gli imbarazzanti silenzi che spesso, in questi incontri, seguono la richiesta fatta dal conduttore: “C’è qualcuno che vuole fare domande?” e vedi tutti che cercano di evitare lo sguardo e di fare gli indifferenti, fischiettando. Qui invece le domande fioccano e si concentrano subito sul tema televisione: per dire la verità sono stato io a provocarlo dicendo che in televisione ora ci sono molti polizieschi (alcuni interessanti e ben fatti) ma niente gialli, come quelli che si facevano una volta, tipo i miei Dov’è Anna?, Ho incontrato un’ombra, L’ultimo aereo per Venezia, Philo Vance o gli altri tipo Il segno del comando, i Maigret e i Nero Wolfe.

Il dibattito si accende con opinioni differenti ma tutti quanti concordiamo nella speranza che al più presto la televisione riapra le sua abbondanti e generose braccia al genere che amiamo tutti, il giallo classico, quello dove non conta solo il plot e la descrizione degli investigatori ma i riflettori sono puntati su tutti i personaggi, il loro mondo e la loro stretta connessione con il delitto. E mi piace ricordare che io, sia adesso nel romanzo sia in tutti i lavori televisivi, utilizzo il delitto come punto di partenza per gettare uno sguardo indiscreto ma giammai cattivo in una realtà che spesso emerge molto diversa da quello che appariva. Il fascino del giallo è proprio questo: alzare i sassi e scoprire i vermi. Ovvero un modo per capire il mondo nel quale viviamo. E l’augurio che mi fanno in molti è che il mio romanzo venga adattato presto per la televisione: io non solo mi limito ad augurarlo ma sto cercando di avviare trattative calcolando che sto scrivendo un secondo romanzo con gli stessi protagonisti. Come dire, ci stiamo preparando a una lunga vita televisiva.

 

Un leggero bussare alla porta della sala anticipa l’affacciarsi di una graziosa hostess della fiera: mi fa segno che ho solo tre minuti per finire l’incontro e lasciare il passo al prossimo scrittore. Più libri più liberi è così: ogni giorno tanti eventi che si succedono uno dopo l’altro, un’ora dopo l’altra, con una precisione quasi teutonica. E io sono pronto a ubbidire altrimenti quel gesto gentile rischia di trasformarsi da un cortese cartellino giallo in un perentorio cartellino rosso da espulsione. E finisco rapidamente nei tempi regolamentari citando una frase che Michele Mirabella ha scritto nella sua recensione: Una vita sprecata “ è uno di quei libri che un lettore avido centellina, per evitare di finirlo troppo presto e, arrivando alla soluzione della vicenda, privarsi di un piacere sottile. E’ il piacere puro della lettura. “

Il sipario cala e l’incontro finisce. Alla prossima presentazione. Lo spettacolo continua.