Avete presente il nostro salotto letterario, dove ogni mese accogliamo un autore esordiente, alle prese con la sua prima volta editoriale? Sì proprio quello dove chiacchieriamo piacevolmente a lungo, intrattenendoci e approfondendo tematiche ed esperienze? Perfetto: dimenticatelo! Perché questo mese il salotto si trasforma in una stanza per gli interrogatori, dove Sergio Calamandrei si sottopone al nostro terzo grado riguardo il suo L'unico Peccato (libri/7035), romanzo d'esordio che non ha raccolto i nostri consensi.

Bene, dunque lei è Sergio Calamandrei, nato a Firenze il 26/12/1963, ivi residente e autore del romanzo L'unico Peccato, edito da Zona nel 2006. E' corretto?

Sì è corretto

Allora procediamo con ordine. Per prima cosa lei come definisce il suo romanzo?

L'unico peccato è principalmente un giallo narrato in prima persona da Domenico Arturi, un classico investigatore privato hard-boiled il cui motto è "lo scopriremo solo vivendo". I toni del libro variano dal drammatico all'ironico, anche se, in fondo, è quest'ultimo a essere dominante. Con la trama gialla si intersecano due intense storie d'amore. Le varie vicende ruotano attorno alla Biblioteca Nazionale di Firenze e a un gruppo di appassionati di letteratura, il Club degli Aspiranti Scrittori, per cui nel romanzo si parla molto sia di libri antichi (scomparsi) che di libri moderni (scritti o da scrivere).

Vuole, per cortesia, esporre brevemente come si svolgono i fatti?

La storia si svolge a Firenze, agli inizi degli anni novanta. Uno studente fuoricorso, aspirante scrittore e collaboratore saltuario con la Biblioteca Nazionale, muore precipitando dalla finestra del suo appartamento. Il padre non riesce a spiegarsi le motivazioni del sucicidio e incarica l'ex poliziotto Domenico Arturi di chiarirle. L'investigatore entra in contatto con il Club degli Aspiranti Scrittori, di cui faceva parte il ragazzo suicida. Di questo circolo fanno parte, tra gli altri, Renzo Parisi, Laura Sani e Giulio Gasperi. Il primo è un avvocato trentenne già consumato dal proprio lavoro che cerca di rigenerarsi con un pericolosissimo amore per una ventenne. Tra la Sani, una ricercatrice universitaria, ossessionata dalla propria abilità nell'interpretare il linguaggio del corpo, e il Gasperi, un bibliotecario il quale ritiene esista un unico peccato che cerca in tutti i modi di evitare, nasce invece una relazione extraconiugale. Sono due persone, tutto sommato, deboli che, comunque, di fatto, mediante tante piccole faticose decisioni riescono a realizzare momenti d'amore che non speravano più di poter raggiungere. L'indagine dell'Arturi intanto incappa nel mondo dei mercanti di libri antichi e in un secondo morto, stavolta sparato. Tutto il resto è finale, che è doveroso omettere in questa sede. L'unico peccato è stato scritto con l'intenzione di essere, prima di tutto, divertente e piacevole a leggersi, ma affronta vari temi che trovavo interessante porre in evidenza. Un concetto che ritorna spesso nel libro, è che tante volte noi crediamo di decidere qualcosa ma in realtà spesso siamo invece "decisi" dall'accumularsi degli eventi e delle decisioni pregresse. In altri termini, alcune scelte sono di fatto obbligate e rese inevitabili dalla miriade di piccole scelte fatte in precedenza. A questa visione "minimalista" del libero arbitrio, che si manifesta non tanto in isolate e rare scelte epiche ma piuttosto in un continuo susseguirsi di tante piccole e faticose e poco gratificanti decisioni quotidiane, è legato anche un altro concetto, ovvero che ogni risultato che otteniamo è conseguito grazie al susseguirsi di tanti piccoli sforzi di volontà e costa una immensa fatica. In definitiva, ripensandoci ora, a distanza di tempo, l'idea che sta alla base del libro è che noi siamo il risultato delle nostre continue scelte e che, quindi, corollario inevitabile, basta topparne una e ci si può ritrovare in situazioni davvero pessime.

A questo proposito, lei introduce proprio uno dei capi a suo carico: la trama appare senza dubbio interessante, ma ricca di troppi elementi che lei pare non essere stato in grado di gestire, penalizzando così il ritmo e la struttura narrativa.

Il libro è denso di idee, di spunti di riflessione e di personaggi. È il mio primo romanzo e mi sono fatto una teoria sui romanzi di esordio: il loro difetto non è tanto quello di essere i primi, ma piuttosto quello di temere di essere gli ultimi. L'autore, non sapendo se dopo quello ne scriverà altri, è portato a sparare nel suo romanzo buona parte delle sue cartucce e idee. Forse, se all'epoca avessi saputo che dopo L'unico peccato avrei scritto altri romanzi, qualcosa lo avrei tenuto da parte e ora avrei già terminato da un pezzo di scriverne il sequel. Comunque, un commento che spesso mi fanno i lettori è quello che il libro è molto ben strutturato e che non sembra proprio essere un romanzo di esordio. Detto questo, concordo sul fatto che esso è certo perfettibile.

Lasci da parte i giudizi personali e piuttosto mi dica: da dove le è venuta questa idea?

L'unico peccato nasce essenzialmente come un nucleo di personaggi che compongono il Club degli Aspiranti Scrittori. I personaggi più importanti hanno vissuto a lungo nella mia mente interagendo tra loro ed acquistando spessore. Dopo è nata, con un certo studio e dopo numerose variazioni in corso d'opera, la storia gialla. Le storie d'amore, invece, sono sbocciate (e sono state scritte) in modo naturale e impetuoso.

Con questa affermazione introduce diversi argomenti che sviscererà per me. Partiamo dal Club degli Aspiranti Scrittori. Trovo che questo sia lo spunto più interessante del romanzo, con tutto quello che la stessa porta con sé: autori che vorrebbero pubblicare e che si ritrovano per parlare di letteratura, i brani dei loro scritti riportati nel romanzo, in un interessante gioco di "libri nel libro"… Lei però a un certo punto della vicenda abbandona questo spunto per dedicarcisi solo marginalmente. Perché?

Molti dei protagonisti del romanzo fanno parte del Club degli Aspiranti Scrittori; un gruppo di persone che amano lo scrivere e si dilettano a scrivere. Ma, come spiega uno dei personaggi; "qui nessuno ha pubblicato niente. Chi pubblica qualcosa non è più un aspirante scrittore ma uno scrittore vero e quindi deve uscire dal Club." Alla domanda "Quanti ne sono usciti da questo Club?" lo stesso personaggio risponde serafico: "Nessuno; si vede che ci si affeziona." Da questo scambio di battute si comprende il tono col quale ho voluto trattare l'argomento della scrittura e del modo di rapportarsi ad essa. In effetti, nel libro sono presentate un paio di riunioni di questo Club e in esse, tra le altre cose, viene spiegato che un libro interessante potrebbe essere un libro in cui i protagonisti sono degli scrittori che adottano stili diversi (l'epico, l'ironico, l'intimistico iperdescrittivo, il sentimentale, ecc). Gli stili dovrebbero essere illustrati mediante la presentazione di alcuni brani scritti dai vari personaggi e il libro stesso dovrebbe variare di tono adeguandosi a quello tipico del personaggio-scrittore che è in quel momento in azione. Ebbene: questa non è altro che la descrizione di come era pensata originariamente la struttura de L’Unico peccato stesso. Il mio romanzo diviene in quei punti un meta-libro, ovvero un libro che parla di se stesso. In realtà, in sede di scrittura e di revisione questa idea è stata abbandonata per ritornare a una maggiore uniformità di stile ed evitare di distrarre il lettore dalla trama costringendolo a leggere molti brevi racconti inseriti non organicamente in essa. È quindi un'idea che ho sacrificato a favore della scorrevolezza della trama. Ora che ci penso: sempre nella stessa discussione del Club ho ipotizzato la scrittura di un Libro degli Errori. Un personaggio osserva che "se è vero che ogni scrittore deve fare un certo numero di errori nel suo noviziato, non è meglio farli tutti in una volta in un solo romanzo e togliersi così per sempre il pensiero? Suggerisco di scrivere un tale guazzabuglio di libro che contenga ogni possibile errore di uno scrittore. Così facendo, già alla seconda opera, avendo ormai scontato tutti gli errori della gioventù, si potrà subito entrare nella fase della maturità..." Un altro osserva che: "Beh! C'è il vantaggio che in ogni caso il secondo libro non potrà che essere migliore del primo...". Un terzo conclude: "Bisogna vedere, però, se dopo un primo romanzo così vi sarà data la possibilità di scriverne un secondo." Spero che L'Unico peccato non fosse anche in quel punto profetico meta-libro di se stesso.

A questo punto è necessario che lei faccia dei nomi. Chi è il protagonista di questa vicenda?

Domenico Arturi. Agli inizi degli anni novanta, quando si svolge la storia, è un investigatore privato cinquantenne. In precedenza ha fatto parte per tanti anni della squadra della questura di Firenze che si occupava delle indagini sui reati relativi al patrimonio artistico. Infatti, anche se nel 1969 la salvaguardia dei beni archeologici e artistici nazionali fu affidata al Nucleo Tutela Patrimonio Artistico del Comando Carabinieri Ministero Pubblica Istruzione, in via informale la questura di Firenze ritenne opportuno mantenere attiva per diversi anni ancora una squadra che si occupasse di tenere d'occhio il mercato nero dell’arte, perlomeno a livello locale. Poi la squadra venne sciolta e Arturi passò ad altri incarichi, ma ogni volta che c'era un'indagine che toccava il mondo dell'arte continuavano a venirlo a chiamare. Quando era universitario, inoltre, per mantenersi Domenico aveva lavorato per un quinquennio in una delle librerie antiquarie più importanti di Firenze. Quindi egli si muove con una certa naturalezza nel mondo, e nel sottomondo, dei mercanti d'arte di Firenze. In realtà, la figura dell'Arturi è lasciata avvolta in parecchie zone d'ombra ne L'unico peccato. Vari aspetti della sua vita passata verranno alla luce nelle sue storie successive. L'investigatore è, infatti, protagonista di alcuni altri racconti già scritti e in via di pubblicazione e del sequel de L'unico peccato su cui sto lavorando.

In realtà l'Arturi è solo uno degli innumerevoli personaggi. Cosa mi dice per esempio di Renzo Parisi e Serena e Laura Sani e Giulio Gasperi. Due coppie, due storie d'amore, che si sviluppano prendendo il sopravvento nelle vicende. Secondo lei sono stati realmente utili all'economia del romanzo?

Qui bisogna vedere cosa si intende per "romanzo". Se per esso si intende la trama strettamente gialla, direi che non sono indispensabili. La terza delle famose venti regole di Van Dine su come scrivere un giallo afferma che "non ci deve essere una storia d'amore troppo interessante. Lo scopo è di condurre un criminale davanti alla Giustizia, non due innamorati all'altare." Detto questo, osservo che solo i dieci comandamenti sono stati violati più delle venti regole di Van Dine e quindi non mi sento molto colpevole di aver lasciato che due storie d’amore si mescolassero alla trama gialla. D'altronde, esistono vari libri strutturati su storie parallele; ad esempio, Lo scherzo di Milan Kundera. Riflettendo su questo punto mi è venuto in mente il nespolo che c'è nel giardino della casa di campagna di mia suocera. Sul nespolo si è arrampicata una pianta di glicine. Se si arriva nel giardino a primavera si vede l'albero tutto ricoperto da fiori del glicine, viola e profumati. È un bellissimo spettacolo. Nel caso del mio libro, il nespolo potrebbe essere la trama gialla e il glicine le storie d'amore. Insieme possono fare una bella impressione. Certo, capisco che se uno ha comprato il giardino perché voleva un nespolo e gli interessavano le nespole, egli ha tutto il diritto di non apprezzare che ci sia il glicine. E poi, quest'estate, a dire il vero, il glicine l'abbiamo tolto.

In realtà credo che il problema dipenda da come il glicine e il nespolo si intrecciano e quale è l'effetto finale di insieme, ma lasciamo da parte la botanica e torniamo a un altro punto focale: l'ambientazione. Lei ambienta il suo romanzo a Firenze, una delle città d'arte per eccellenza, carica di simboli, di significati…Inoltre inserisce una trama che coinvolge la Biblioteca Nazionale. Nonostante questo, però, non si ha l'impressione che le potenzialità di Firenze quale ambientazione siano state realmente sfruttate.

Firenze è presente nel mio romanzo a tre differenti livelli. Il primo, più banale, è quello topografico. Varie scene del libro si svolgono in ben identificati luoghi fiorentini, quali, Piazza Santa Croce, il Lungarno, Settignano, ecc.. Da questo punto di vista ho cercato, però, di tenermi lontano da una troppo precisa e puntuale descrizione degli sfondi sui quali si svolge l'azione per evitare che l'attenzione del lettore fosse distratta da continui riconoscimenti di luoghi da lui frequentati o conosciuti. Per chi legge può magari essere gratificante pensare: "in quel bar ci ho preso un caffè anch'io" ma l’effetto di "pittoresco" che ciò ingenera, sinceramente, lo volevo evitare. A un secondo livello, Firenze è, a mio avviso, ben presente nella descrizione del particolare modo di relazionarsi tra gli amici presente in questa città. I dialoghi tra Carboni, Terenzi e Parisi da una parte e, per certi versi, tra Arturi e Federici dall’altra, sono permeati da un affetto espresso in modo scorbutico ed ironico, come tipicamente avviene nella mia città. Qui, più che altrove, le verità importanti sono dette sotto forma di battuta e l'affetto tra due amici viene espresso mediante feroci prese in giro. Ho tenuto molto a rappresentare questo modo ritroso e, direi, timido, di manifestare amicizia che è tipico della mia città. Infine, la location fiorentina ben emerge dal fatto che la storia ruoti attorno alla Biblioteca Nazionale che è un luogo importantissimo nell'immaginario di coloro che hanno fatto l'università a Firenze. A tutti, infatti, è capitato di aver studiato nelle sale di lettura della biblioteca, o di aver conosciuto e frequentato persone che erano soliti farlo.

Tornando alla struttura del romanzo. Lei introduce ogni capitolo con un titolo preciso in cui cita i protagonisti e l’azione principale. Perché questa scelta?

Il romanzo si compone di ben settantadue capitoli (spesso molto brevi). Io, più che capitoli, preferisco definirle scene, dato che la struttura è quasi cinematografica o televisiva. Come in molte fiction, ci sono varie vicende che scorrono parallele e si alternano tra di loro. Nella narrazione per immagini allo spettatore bastano pochi istanti per riconoscere i personaggi e capire quale delle storie sta per essere loro narrata. In letteratura non funziona così e il lettore avrebbe potuto rischiare di dover leggere parecchie righe prima di capire quale vicenda stava affrontando. Ho ritenuto quindi opportuno inserire dei titoli ai capitoli che potessero orientare subito chi legge.

Certo che un'opera così ampia e complessa avrà avuto tempi di gestazione lunghi.

I primi appunti sui personaggi e qualche scena di presentazione degli stessi sono della fine degli anni ottanta. Poi per dieci anni circa ho tenuto in stand-by la cosa mentre nel frattempo, vivendo, mi chiarivo un po' le idee su come funzionasse il mondo. Forse sono stato un po' lento, dato che ci ho messo dieci anni, ma nel 2000 ho pensato che a questo punto avevo qualche cosa da dire. Nell'estate del 2000 ho ripreso in mano il romanzo sistemando sviluppando il materiale che avevo. Di fatto, la prima stesura l'ho realizzata nel periodo che va dall’agosto del 2001 all'agosto del 2002. Nei due anni seguenti ho lavorato frammentariamente e con abbondanti pause alla revisione, completata alla fine del 2004. Nel marzo del 2005 ho inviato il manoscritto agli editori e nel giugno 2006 il libro è stato pubblicato.

E come è arrivato alla pubblicazione?

Come si usa, per prima cosa ho inviato copie del mio manoscritto agli editori più importanti. Mentre aspettavo una risposta ho battuto le librerie principali di Firenze prendendo nota delle case editrici minori ivi presenti che pubblicassero opere simili alla mia. A loro ho inviato dopo qualche mese la seconda raffica di invii e uno dei lettori di ZONA mi ha segnalato all'editore.

E’ stato fatto editing? Glielo chiedo perché ho rilevato un uso spesso improprio del gli, le, loro… e altri refusi.

Non si tratta di refusi, ma di una scelta precisa fatta a proposito dei dialoghi. Nella lingua parlata il gli sta diventando dominante, travolgendo il le e il loro. Spesso ho deciso di inserire nei dialoghi le forme comunemente usate nel parlato, anche se a malincuore, dato che trattasi pur sempre di errori. Ma una frase tipo: “Sono andato lì e ho detto loro di andarsene” mi suona del tutto irreale e non ce la faccio proprio a scriverla, a meno che a parlare non sia un mega-professore universitario… Vedo che scuote la testa; su questo punto chiedo l’attenuante della premeditazione.

Non pensa che 21 € per un romanzo di un esordiente, stampato da un piccolo editore, siano un costo un po’ troppo impegnativo per i lettori?

Sì. Sulla base della mia attuale esperienza insisterei molto di più per arrivare ad avere un prezzo di copertina più basso. Con l'editore abbiamo cercato di agevolare i lettori offrendo forti sconti in caso di acquisto diretto del libro presso il sito della casa editrice.

Mi dia una buona ragione per leggere L'Unico Peccato.

L'unico peccato è stato scritto con lo scopo, o con la speranza, di piacere a coloro ai quali piace leggere e ai quali piacciono i libri. Il lettore viene introdotto in un mondo popolato di personaggi tra i quali ne spiccano alcuni che amano la letteratura e che cercano di capire quali leggi regolino i rapporti tra le persone. Il lettore potrà lasciarsi affascinare e appassionare dalle riflessioni e dalle storie di questi personaggi, oppure, non è da escludersi, potrà non entrarci in sintonia. In tal caso spero che potrà gradire il tono ironico che permea tutto il libro.

Infine mi tolga una curiosità: ma perché ha scelto questo titolo?

Perché uno dei protagonisti, Giulio Gasperi, è fermamente convinto che nella vita esista un unico peccato, che deve assolutamente essere evitato. Tutto teso ad evitarlo, il bibliotecario giustifica in questo modo, di fatto, tutta una serie di bugie e cedimenti e si lancia senza troppi rimorsi in una relazione adulterina con una bella ricercatrice universitaria. Ma, in realtà, anch’io concordo col Gasperi che esista un unico peccato: causare dolore agli altri.

Va bene Calamandrei, può andare, però resti a disposizione come persona informata dei fatti. Spero non abbia in progetto qualche viaggio perché sarà costretto ad annullarlo.

Dopo la pubblicazione de L’unico peccato ho scritto vari racconti pubblicati o in via di pubblicazione su antologie e on-line. Adesso, però, mi sto concentrando sul seguito de L’unico peccato dato che amo molto alcuni dei personaggi del libro (non solo l’investigatore) e che poi diversi lettori mi chiedono come si svilupperanno nel futuro le loro storie. Me lo chiedo anch’io e quindi è bene che le scriva altrimenti mi tocca rimanere con la curiosità insoddisfatta.

Un grazie sincero a Sergio, che si è simpaticamente prestato alla nostra intervista-interrogatorio.