Un altro capolavoro di Simenon datato 1966 e tradotto per la prima volta in italiano da Adelphi.
Come in tutti i romanzi-duri (i non polizieschi), l’autore belga riesce a rappresentare le passioni dell’animo umano con pochi tratti, poche e semplici parole, talvolta frasi spezzate o gesti rivelatori. Siamo nel 1966 a Parigi, zona dei mercati generali denominati Les Halles. Il titolare di un bistrot molto ben avviato muore improvvisamente nella sala ristorante dove ha passato cinquant’anni della sua vita. Erede naturale il figlio Antoine, comproprietario dell’azienda che lavora con il padre da vent’anni. Gli altri due fratelli, che sono rimasti sostanzialmente estranei alla vita dei genitori e all’attività del padre, si fanno vivi per riscuotere la loro parte di eredità. Entrambi, per motivi diversi, hanno bisogno del patrimonio del padre, che si favoleggia sia cospicuo, per risolvere i propri problemi personali e familiari. Il fratello titolare del ristorante subisce senza mai reagire le basse insinuazioni e le minacce non troppo velate del fratello scavezzacollo, sempre alla ricerca dell’affare della sua vita che gli permetterebbe di svoltare dall’eterna insicurezza economica. Anche le due donne sono lo specchio fedele dei loro mariti. L’unico personaggio femminile positivo è quello di Fernande, la moglie di Antoine, ex prostituta che Antoine ha tolto dalla strada e che ha saputo instaurare una solida comunione affettiva con la famiglia del marito.
Simenon come sempre descrive la psicologia dei personaggi, i moti interiori e i pensieri attraverso il compimento di atti quotidiani. La conclusione della vicenda sarà amara: i tre fratelli nel giro di pochi giorni, una volta scoperto il “tesoretto” di Auguste, si scopriranno estranei fra loro come estraneo sarà diventato il loro padre.
“Per Antoine, forse anche per gli altri, lui non era soltanto morto. Non esisteva più. Al suo posto non restava niente. Non lasciava niente dietro di sé. C’era stata un tempo la ragazza di sedici anni dai biondi capelli arruffati, di cui aveva tenuto la fotografia nel portafoglio per tutta la vita. C’era stato quel bistrot alle Halles…, di cui il vecchio stava mostrando orgoglioso la fotografia a una coppia nel momento in cui era stramazzato trascinando con sé tovaglia, piatti e posate. E c’erano stati dei figli… “
“E adesso erano tutti e tre dentro quella macchina, muti, senza niente da dirsi, senza osare aprir bocca, perché il vecchio Auguste era morto e loro erano diventati degli estranei.” (p. 154,155)
In copertin,a riproduzione de Il poker (1902) di Félix Vallotton.







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