Su “La Gazzetta del Mezzogiorno” Raffaele Nigro ha sottolineato il valore della scrittura della sua conterranea Piera Carlomagno, autrice di romanzi noir, come l’ultimo “Nero lucano”, edito da Solferino, ma che ben travalica il genere, per rigenerarlo nella “passione per l’arcaico” fin nella creazione di una protagonista, come l’anatomopatologa Viola Guarino “che non ha nulla da invidiare alle streghe del mondo magico lucano”. Aggiungerei la cura dei dettagli descrittivi, che emergono soprattutto nella resa emozionale dei paesaggi, che parlano all’anima dei personaggi, restituendoli al lettore. Ne cito, ad esempio, uno solo relativo a Matera, così come appare per la prima volta a Leda, una donna del nord sposata a un lucano, improvvisamente sparito nel nulla (dando così il via al “giallo”): “Il vigile urbano faticò a staccarla da quella vista abbagliante, fatta di pietra e di luce, di delitti antichi ficcati dentro, nascosti. Ognuno poteva vedere i propri, in quel paesaggio, riportati a galla, spiattellati come pettegolezzi. A ciascun le proprie colpe, tutte a bussare ossessive alle porte irrimediabilmente chiuse delle case di Matera, tutte a vagare senza sosta e ristoro nel bianco respingente del Sasso Barisano”.

La scommessa di Raffaele Nigro è che Piera Carlomagno, andando avanti così, finirà per uscire dal genere che predilige non solo come scrittrice ma anche come operatrice culturale, tant’è che è direttrice artistica del Salernoir Festival che quest’anno raggiunge ben la settima edizione. Ecco, perché, personalmente, accetto la scommessa del mio amico Raffaele affermando che è improbabile da parte dell’autrice una fuoriuscita dal genere per approdare al romanzo tout-court. Anche perché, personalmente, credo che il genere, quando è scritto alla maniera di Piera Carlomagno, può avere solo una funzione strumentale, una sorta di bisturi, che gli autori – certi autori – prediligono, considerandoli più congeniali al racconto della realtà che vogliono rappresentare.

In questo “Nero lucano” la storia non è solo quella della scomparsa di un uomo, poi scopertasi brutale omicidio, a cui seguono altri due omicidi analoghi di uomini apparentemente senza nessuna relazione tra loro, e della indagine che, sicuramente la procura di Matera conduce, ma soprattutto la protagonista, l’anatomopatologa Viola Guarino, lucana, che segue una sua pista con la logica tradizionale degli interrogatori, della raccolta e incrocio dei dati, delle coincidenze, ma anche con un sentire da “strega” che è percepito come una sua natura anche da quanti le sono vicini, a cominciare dal sostituto procuratore Loris Ferrara, che ben la conosce, per aver avuto in passato una relazione con lei che riemergerà, per entrambi, nel corso del nuovo caso.

Interessante l’accostamento magia e modernità: Viola Guarino si muove per la Basilicata tra Grottole, dov’è avvenuto il primo delitto, Matera, Montalbano Jonico, la Statale Jonica e così via, seguendo una mappa tracciata da sangue e vecchie storie, e spaccati di un mondo borderline di sesso, ben rappresentato dalla moglie nordica dell’ingegnere scomparso, conquistato a causa di una vocazione di entrambi al sadomasochismo, che nella moglie, la bella Leda, si esprime nello stesso paese di Grottole dove, attratta dalla volgarità maschilista di un oste, gli si concede per il gusto di essere offesa e maltrattata. Sarà naturalmente una pista sulla quale gli inquirenti e Viola batteranno via via che le verità emergeranno per poi allargarsi in cerchi concentrici sempre più ampi e lontani nel tempo che tireranno fuori il ritratto di una terra in cui la corruzione si lega all’amicizia, meglio ancora alla fratellanza “perché andando ad approfondire, non nell’inchiesta, ma in tutta la vicenda, entrano un po’ di notabili”, il cui potere rappresenta lo spaccato di una terra ancorata a “metodi antichi, una forza occulta che agisce per conto del popolo, controllando le stanze dei bottoni, compreso il palazzo di giustizia, gli ospedali, le banche, la politica, scuole e università. E lavorano uno per tutti”. Mafia? Sì, ma che non spara, non “di uomini con la coppola e la lupara in spalle…”

Ed ecco dove porta “Nero lucano” di Piera Carlomagno, ma la verità a cui perviene è superiore a una narrazione che fa leva sullo strumento del genere noir, da renderlo un elemento in più quando tutto, a cominciare dalla scrittura, è esempio, non altro, che di buona letteratura.