Chris Kyle.

American Sniper.

La pazienza e la solitudine imparate nell'addestrare cavalli e condurre mandrie nei ranch del Texas.

L'abilità e la freddezza di uccidere e proteggere vite umane apprese nel durissimo e selettivo corso per diventare un SEAL.

Un cecchino deve disporre di questo equipment.

Nel centro del mirino: il nemico.

In guerra nessuno spazio per la riflessione, il dubbio o un cenno di esitazione.

Dio, Patria, Famiglia.

Dove Patria sta per soldati, commilitoni. Dove Patria e Famiglia si alternano e si alterano al secondo posto dopo Dio, a cui bisogna rendere conto dei propri sbagli senza pentimenti o rimorsi quando verrà il momento.

L'uomo nel mirino.

Se stesso dentro l'ottica, dentro movimenti sospetti, nella maschera dell'altro, elemento da abbattere.

Odio per il nemico, amore per i propri compagni.

Ogni colpo sparato nelle repliche della guerra, nel puzzo di città e quartieri in decomposizione, nell'estinzione necessaria di ogni altro sentimento che non sia quel binomio primitivo, la razionalità relegata a impulso.

"Decisione tua".

Appostarsi, osservare, controllare il respiro. Dare morte, per salvare.

"Controlla il respiro, controlli la mente." (istruttore SEAL Sniper)

Un potere, insostenibile, di vita e di morte sul target.

Bianco o nero, nessun grigio.

Ma il grigio vuole il suo spazio e se lo prende, scavando l’anima a ogni rinculo di tiro, intaccando automatismi acquisiti in più turni in Iraq. Ogni tiro porta via un pezzo di vita e corrode.

L'istante in cui pensi di essere invincibile è il medesimo istante in cui ti accorgi che non sei più integro. Le resistenze fisiche e psicologiche frutto del duro addestramento vengono annullate nell'ultima espressione di chi muore, nel sangue amico versato, nel frastuono degli spari e dei bombardamenti. Nel silenzio di quando si fa ritorno a casa.

"Sai, è una cosa grossa fermare un cuore che batte." (Chris Kyle)

In questo silenzio, Eastwood è sovrano sulla propria area di battaglia.

Il cinema in sottrazione dell'ormai ottantaquattrenne regista e attore è il marchio della sua filmografia.

I ritratti di quel silenzio sono sul volto e negli occhi umili e genuini di Bradley Cooper, perfetto nella sua immedesimazione totale con "La leggenda".

Quel Bradley Cooper che ha voluto Eastwood per rimpiazzare Steven Spielberg e a dirigerlo nel progetto di questo biopic partito quando Chris Kyle era ancora in vita.

L'ambiente marcio e la morte scorrono nel perimetro a tratti abulico dell'ottica che diventa per Eastwood la visione privilegiata di quel silenzio. Il grido muto di un quartiere in agonia, di vite in bilico tagliate da lì a poco dal cecchino nemico, è racchiuso in quello spazio minuscolo -come l'uomo nell'universo- che ingrandisce gli errori.

Siamo niente, siamo sangue e carne esplosi su una strada di polvere, cartacce, degrado.

Basta una decisione, dall'alto e invisibile.

Un peso che schiaccia anche le spalle larghe di un cowboy con il fucile che cerca la famiglia attraverso telefonate dal fronte.

Un anormale normalità questa che Eastwood dirige con mano lieve all'interno delle amplificazioni esasperate di uno scontro raccontato con una regia poderosa e senza sconti che richiama le intuizioni felici di Flags of our fathers e di Letters from Iwo Jima e qualche pennellata di Full Metal Jacket.

La guerra copre le voci di una telefonata fatta da un mondo lontano a casa, copre un primo passo per provare a essere un buon marito e buon padre.

Non c'è addestramento per la vita. Si può soltanto tentare.

Sbagliare, per migliorare.

Ma i pezzi della propria identità sparsi su sabbia putrida, su corpi trascinati via da strade annientate - Leave no man behind- non si possono più raccogliere. Si fa ritorno a casa, incompleti e cambiati. Scollegati da ciò che non è guerra. Non si esce più dall'abisso a cui si vuole tornare, perchè uno sniper non abbandona i suoi compagni in the line of fire, perchè un soldato non riesce più a vivere, ma soltanto a sopravvivere.

Deve continuare a proteggere, adesso anche nel grigio.

"Ci sono tre tipi di persone: le pecore, i lupi e i cani paestore. Ci sono persone che credono che il male non esista. E quando bussa alla loro porta, hanno paura e non sanno cosa fare. Queste sono le pecore...In questa casa non si crescono pecore e se diventerete dei lupi giuro che farete i conti con me. " (padre di Kyle)

Questi primi mesi del 2015 ci regaleranno grandi ritorni d'autore. Burton (Big Eyes), Scott (Exodus), Mann (Blackhat). La fine del 2014 ci aveva donato Nolan (Interstellar) e ora allo scoccare del 2015, è tornato Eastwood (dopo la recente e sottovalutata prova di Jersey Boys).

Eastwood non fa l'apologia del soldato, racconta un uomo senza prendere posizione o fare propaganda. Accompagna per immagini chi è stato davvero dentro la guerra, permettendo a Chris Kyle di raccontare se stesso nella recitazione di Cooper che, con il regista, è il film.

Un plauso merita Sienna Miller che da prova di dosata sensibilità nel ruolo non semplice di Taya, la moglie di Kyle.

Una curiosità. I titoli di coda sono affidati al genio di Ennio Morricone, il quale prende la sua musica direttamante dal 1965 e dal film "Il ritorno di Ringo". Un cowboy che torna dalla guerra.

Eastwood ha conservato la magia asciutta, potente e antispettacolare del suo cinema e mette un altro Oscar nel centro del mirino, anche se la poca voglia di "sporcarsi le mani" da parte dell'Academy potrebbe lasciare American Sniper fuori dai giochi per la statuetta.

Che il Fato ci conservi Clint Eastwood ancora a lungo.

Go ahead, make my day.