Chi si nasconde dietro lo pseudonimo di Roberta De Falco, l’autrice del giallo d’esordio “Nessuno è innocente”, edito da Sperling&Kupfer, che presenta anche il primo caso del commissario Ettore Benussi? Il risvolto di copertina dà alcune indicazioni (sempre che non siano anche queste fuorvianti): si tratta di una signora anziana che già scrive per il cinema. Certamente, conosce Trieste molto bene, perché è qui che il romanzo è ambientato e il commissario Benussi, tipico cognome istriano, anzi rovignese, prossimo alla pensione, lavora alla questura del capoluogo giuliano (ci piace credere che si frequenti con il commissario Proteo Laurenti, il protagonista dei romanzi del tedesco-triestino Veit Heinichen, o che magari qualche volta vadano insieme a farsi un bicchiere di quello buono al Malabar).

Un po’ troppo esagerando, la fascetta di copertina presenta la De Falco come la “Fred Vargas italiana”, il che, tra l’altro, è molto fuorviante. Le due si può dire che praticano il noir da due sponde opposte: quella dell’orrore e ad altissima tensione la francese e quella più classica e distensiva, alla Agatha Christie, l’italiana.

In “Nessuno è innocente” tutto gira intorno alla morte di una vecchia, Ursula Cohen, il cui cadavere viene trovato nelle acque del porto. Il dubbio, all’inizio, può essere tra disgrazia e omicidio e il caso viene affidato a Benussi, un tipo piuttosto corpacciuto, ora in rigorosa quanto disperata dieta. Il poliziotto all’inizio propenderebbe per la prima ipotesi se, dalle indagini di rito non risulterebbe che la donna, presumibilmente ricca, era odiata da un po’ di gente. L’omicidio poi viene avvalorato dalle analisi della scientifica.

Ma è tutto il quadro ambientale che già lascia intravedere l’omicidio. Vengono fuori infatti relazioni poco limpide: sospetti matrimoni come quello di Irina Schatz, l’infermiera ucraina del defunto marito della Choen, che due mesi dopo la morte di questi s’era sposata l’unico nipote ed erede dello stesso; cause in tribunale come quella intentata da Danilo Ros, il vecchio proprietario della villa in cui viveva la donna, accusata di essersene appropriata grazie a una truffa; e poi ci sono altri incroci ambigui e figure enigmatiche, una in particolare, Violeta Amado, la badante della vecchia Cohen, che è indubbiamente il personaggio più riuscito del libro (insieme, forse, a un altro personaggio, l’ispettrice di polizia Elettra Morin, tanto simpatica, efficiente e affidabile quanto antipatico e superficiale è il suo capo Ettore Benussi).

Da alcuni inserti in flash back si intuisce che la vicenda ha radici lontane che si perdono negli anni della guerra quando Trieste, occupata dai tedeschi, conobbe, tra l’altro, la tragedia della persecuzione ebraica, della deportazione e dei forni della Risiera di San Saba. Concorrono a dare questo quadro l’inserto di capitoli in flash back che, attraverso una dolente quanto anonima voce femminile, ricorda quegli anni da testimone e che naturalmente non possono essere estranei al caso.

L’altro personaggio molto vivo del libro è Trieste con la sue strade, le sue rive, l’immancabile molo Audace, i suoi locali (nominato anche il famoso Pepi s’ciavo), le sue abitudini gastronomiche (il rebechin, da accompagnare con il bicchiere di vino o il presnitz, il tipico dolce di noci e cioccolata e così via). E, poi, della città, la multietnicità: basta leggere i nomi dei personaggi e le loro provenienze per capire cosa, in questo senso, è Trieste, così come la sua storia, segnata dallo spostamento dei confini, dall’influenza degli stati che ha intorno, dalla presenza del suo porto che è stato importante così come i suoi commerci con il resto del mondo.

Sulla copertina del libro, sotto il titolo, c’è stampato “Il primo caso del commissario Benussi”. Ciò lascia presumere che ce ne saranno altri. Li aspettiamo.