The Osterman Weekend (tradotto in Italia come Striscia di cuoio) è un romanzo del 1972, fa parte quindi di quella prima fase della carriera di narratore di Robert Ludlum in cui l’intrigo spionistico ancora si intreccia moltissimo con il thriller tradizionale, che vede uomini normali trasportati in situazioni eccezionali. Rispetto al film di Sam Peckinpah (1983) è più complesso sia nello svolgimento che nel numero dei personaggi anche se di fondo la storia rimane la stessa. Peckinpah riesce però a farne un film personalissimo, a torto considerato una delle sue cose minori (tra le ultime per la verità) e decisamente non molto convinte, al di fuori della sua vena, tradizionalmente legata al western.

Come nel caso di Killer Elite (tratto liberamente da un romanzo di Robert Ronstad e influenzato dalla moda dei film di kung fu un decennio prima) si invocano imposizioni della produzione, sregolatezza del regista, un clima crepuscolare. Non sono del tutto d’accordo. Anche se è evidente che il film ha qualcosa di incompiuto (e il Director’s Cut inserito nell’edizione italiana di qualche anno fa, con dieci minuti in più, non fa molta più luce rispetto al prodotto uscito nelle sale) e non sempre il filo del racconto è limpidissimo (neanche i romanzi di Ludlum lo sono spesso...) ne emerge tutto l’anarchismo nichilista di Peckinpah, la sua avversione per le grandi organizzazioni federali (e probabilmente gli Studios), l’ossessione del controllo, della televisione come mezzo di manipolazione delle menti.

Alla fine è una vicenda che rispecchia perfettamente il modo di pensare del cantore del western del tramonto e, soprattutto in alcune sequenze nel finale, reca la sua firma inconfondibile con l’ultraviolenza al rallentatore, quei discorsi che i protagonisti rivolgono direttamente al pubblico guardando in macchina quando berciano contro il potere costituito nei quali non è possibile ignorare lo spirito autentico di tutta l’opera del grande Sam. E se la paranoia, la mania del complotto sono tratti distintivi di questo cinema, lo sono anche del lavoro di Ludlum come scrittore. In questo senso narratore e regista si intendono perfettamente.

           

Si comincia con una sequenza shock. La moglie di un agente americano di nome Fassett (John Hurt) viene assassinata praticamente sotto gli occhi del marito con una iniezione letale nel naso da due killer del KGB. Una storia di agenti venduti, di scambi di favori orchestrata dal demiurgo dello spionaggio americano, Burt Lancaster nei panni del direttore della CIA Maxwell Danforth, fanatico nemico del comunismo, patriota a oltranza disposto a tutto pur di combattere il nemico e farlo conoscere per quello che è. Di tutto questo Fassett non dovrebbe saper nulla, invece ha visto e registrato tutto. E ordisce una folle vendetta giocando su un misterioso piano Omega che forse è un progetto di destabilizzazione russo e forse no.

La sua effettiva esistenza non conta neanche per Danforth, purché serva a mantenere viva la lotta. Per cui quando Fassett crea un complicato gioco di specchi per cui tre ricchi americani si trovano legati a un uomo che si finge un agente sovietico ma è solo un tramite per un’operazione di esportazione di valuta ai fini di frodare il fisco, Danforth cade nel tranello. E con lui John Tanner (Rutger Hauer), spietato anchorman televisivo sempre alla ricerca di uno scoop e legato da amicizia sin dai tempi dell’università ai tre suddetti ricconi.

Qui comincia un gioco di do ut des tra Tanner e la CIA in cui Fassett s’intrufola con diabolica abilità per creare uno scandalo durante un classico weekend tra amici. Inizia così una partita di segnali, di continue intromissioni della TV (a volte comiche quando lo stesso Fassett è costretto da una guasto a recitare le previsioni del tempo pur di non farsi scoprire).

La tensione tra i personaggi sale. Merito anche di Dennis Hopper e Chris Sarandon che giocano al meglio il loro ruolo. Meg Foster dagli incredibili occhi azzurri entra nella parte della moglie ignara di tutto di Tanner, vittima alla fine di un ricatto che dovrebbe permettere la vendetta di Fassett. Craig T. Nelson (in questo film per una curiosa coincidenza quasi identico a Sergio Altieri all’epoca) fa lo sceneggiatore TV, esperto di karate e uomo duro della vicenda.

Tutto s’ingarbuglia, gli amici diventano nemici e nell’ombra Fassett comincia a uccidere. Sarà un trucco televisivo basato sulla discrepanza tra diretta e registrazione di un programma denuncia a risolvere un po’ troppo rapidamente l’intera vicenda.

    

Forse un film non perfettamente riuscito, rimaneggiato in fase di montaggio ma che ancora oggi si lascia guardare con piacere. Grandissime le scene d’azione notturne nella villa di Tanner con un Rutger Hauer reduce da Blade Runner ancora molto convincente.