D’altronde, mettendo da parte ogni forma di orgoglio personale, dovevo ammettere che per un single cronico quel ricco pasto a costo zero rappresentava un lusso del quale non avrei mai voluto privarmi.

Quando infilai la porta del mio appartamento mi sentii finalmente sollevato perché ebbi come l’impressione di aver chiuso quella brutta parentesi della mia vita.

Accesi le luci, mi liberai delle scarpe senza nemmeno piegarmi e mi diressi quasi immediatamente in cucinino.

Recuperai dal frigorifero una bottiglia di acqua gelata e cercai di placcare la mia arsura con una lunghissima, quasi interminabile, sorsata.

Dilaniai poi una succosa pera ignorandone il sapore perché il mio unico obiettivo era quello di riempire parte di uno stomaco che non aveva visto traccia di cibo dalla colazione del mattino.

Da perfetto idiota, quale mi ero palesemente rivelato, avevo saltato il pranzo perché la tensione mi aveva serrato la bocca dello stomaco in vista dell’impegno pomeridiano con la donna del mistero.

Mi sentivo immotivatamente stanco, svuotato, risucchiato dentro un vortice di delusione.

Mi spogliai, lanciando gli indumenti in ogni angolo del tinello, e mi tuffai, ormai seminudo, sul divano.

Riuscii, da sdraiato, ad allungare la mano sino all’interruttore che premetti nella speranza che il buio potesse fagocitare la mia presenza fisica in quel luogo.

Volevo dormire, sì desideravo dormire per un numero da zero a infinito di ore e dimenticare per sempre quella stazione e i suoi detestabili abitanti, Bambi e quell’odioso cappellino da baseball blu, Facebook e ogni forma di relazione a distanza, Marco e i suoi deleteri consigli.

Mi addormentai dopo un discreto ma sopportabile numero di tentativi andati a vuoto.

Erano le 20 e 30 di quello che avrebbe dovuto essere, almeno nelle intenzioni, un giorno assolutamente perfetto!

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