Perciò pagai e mi congedai con un ringraziamento puramente formale.

Cominciavo ad averne le scatole piene di tutta quell’attesa quando il mio cellulare, stipato nella tasca interna della giacca, iniziò a vibrare.

Il nome che lampeggiava sul display era quello di Marco Ardenti, un mio amico/collega che era a conoscenza di ciò che stava per accadere e che mi aveva manifestato tutta la sua maschia solidarietà per quell’avventura che mi apprestavo a vivere.

“Pronto?”.

“Allora, com’è andata? È un bel bocconcino?”.

“Non lo so...”.

Mi fermai perché la linea era piuttosto disturbata ma lui non mollò la presa.

“Non fare l’uomo misterioso. Lo so che non dovevo romperti le scatole proprio adesso ma non stavo più nella pelle. Volevo sapere cosa stavi combinando. È appetitosa la sorpresa dentro l’uovo di Pasqua?”.

“Ti ho già detto che non lo so, devo ancora scartarla. Il treno è in terribile ritardo”.

“E va bene. Mettila pure su questo piano. In fondo sono affari tuoi ed è la tua privacy...”.

“Senti Marco, ti ho detto la verità. Vuoi che ti faccia parlare con il barista o la fioraia? Ti confermeranno che sono da solo”.

“Se è così...”.

Percepii che non era per nulla convinto della mia versione dei fatti ma non mi sarei impegnato ulteriormente in quella dispendiosa operazione di persuasione. Non avevo sufficiente pazienza in dotazione per farlo.

“È così, è così. Ti chiamo stasera per farti un bel resoconto della giornata, un reportage molto dettagliato, capito?”.

“Ci conto”.

“Ciao, Marco”.

“Ciao, conquistador”.

Quell’ultima uscita mi irritò non poco perché puzzava di presa in giro. Il mio amico sapeva perfettamente che non avevo mai avuto il piglio del playboy e che avevo accettato di sedermi a quel tavolo di gioco dopo mille tentennamenti, timoroso di scoprire le mie carte sentimentali e di ricevere in cambio una sonora lezione di vita. Ma avevo in mano un poker d’assi servito: un vestito grigio ben stirato, un dignitoso viso sbarbato e profumato, una capigliatura senza increspature e, se il tris non fosse stato sufficiente, uno splendido mazzo di rose rosse.

Finalmente l’altoparlante della stazione diede il fatidico annuncio che attendevo ormai quasi da un’ora.

Non sapevo di preciso cosa mi stesse riservando il destino perché non avevo mai visto alcuna immagine di quella donna che, in maniera assolutamente anomala, non aveva inserito sul suo profilo su FB alcuna foto. Ero invece certo che i suoi dati anagrafici non fossero quelli reali perché lei, per i frequentatori di quel salotto virtuale, era Marzia Bambi.

L’immagine che aveva scelto per rappresentare il suo profilo in rete era quella del cerbiatto della Disney, circostanza che aveva contribuito ad accrescere il mio livello di curiosità per le reali sembianze di quella misteriosa ragazza.

Avevamo deciso, dopo un divertente dibattito, che avrei dovuto riconoscerla basandomi soltanto su alcuni indizi che lei mi aveva comunicato attraverso una mail che mi era arrivata la sera precedente: “...ho deciso che indosserò un cappellino da baseball blu, scarpe da ginnastica bianche, occhiali da sole e uno zainetto multicolore a forma di pera. Spero che non mi scambierai con qualcun’altra ma se dovesse capitare allora ti auguro che sia la donna della tua vita, almeno il merito sarebbe anche mio. Dimenticavo: se quando ci vedremo arrossirò troppo non farci caso, è solo l’abbronzatura!!!”.

M’imposi di concentrare la mia attenzione sul cappellino da baseball blu come elemento caratterizzante di quella descrizione.

Naturalmente, durante quell’attesa, mi ero prefigurato anche alcuni scenari catastrofici, in cui parodiavo quel futuro prossimo ipotizzando di essere aggredito da una sportiva vecchietta che avevo confuso con Bambi oppure di rimanere imbambolato mentre quella ragazza non mi permetteva nemmeno di parlare e faceva subito dietrofront, alla ricerca del primo treno in partenza da quella stazione.

Provai ad azzerare quel crescendo di ipotesi perché il momento della verità, quello in cui un mondo reale avrebbe sostituito quello immaginario, era giunto.

Il mio treno stava rallentando, i freni rantolavano e quell’antico ammasso di lamiere, che avrebbe meritato un prepensionamento, pareva scricchiolare pericolosamente mentre si avvicinava alla meta.