Primo capitolo del romanzo edito da Fratelli Frilli Editori (ISBN 978-88-7563-821-4)

A Rocco Ballacchino, mio cugino

I

In quel caldo pomeriggio estivo avevo dato per scontato che la stazione di Porta Nuova sarebbe stata vittima di un caotico affollamento, ma evidentemente mi ero sbagliato perché mi trovai faccia a faccia con una calma, quasi irreale, che mi spiazzò.

Presumevo infatti che avrei dovuto sgomitare per farmi largo tra il bailamme dei passanti e dei loro carrelli pieni di bagagli, zainetti e borse frigo e invece potevo muovermi pacatamente e osservare con femminea curiosità lo strampalato look di alcuni di coloro che erano appena sbarcati nella splendida e inedita Torino post-olimpica.

Dopo quella serie di osservazioni dell’ambiente circostante gioii perché il “mio” treno pareva destinato ad arrivare in orario.

Quasi un sei al superenalotto, un’ottima premessa per quella giornata che presentava molte incognite e poche certezze.

Decisi di trascorrere i successivi dieci minuti di attesa all’interno di uno dei bar della stazione e ordinai un potentissimo caffè ristretto perché il mio livello di coraggio necessitava di quel sostegno esterno.

Una volta di fronte al bancone di quel locale approfittai del primo specchio che mi capitò a tiro per verificare l’impatto visivo del mio armamentario estetico.

Certo il vestito grigio, che di solito riesumavo per le grandi occasioni, sembrava un po’ fuori contesto ma il mio aspetto generale non era poi così malaccio.

Provai a rassicurare il mio ego dedicando a me stesso un sorriso accattivante, pieno di autocompiacimento, che, in un’ottica prospettica diversa, avrei catalogato da “perfetto idiota”.

Alla donna appollaiata alla cassa non sfuggì quella mia fase di narcisismo perché provò ad appiopparmi uno sguardo complice che non avrei disprezzato se fosse stato prodotto da un’altra donna e non da quella sottospecie di essere umano.

E poi di certo non ero lì per lei...

Avevo accettato quella scommessa e ormai stavo giocando tutte le mie carte.

Forse si trattava di una sfida troppo pericolosa, forse ero un attore che interpretava un personaggio sbagliato per le sue corde recitative oppure...

Oppure tutto il contrario. E in quel caso sarebbe stata per me la più grande rivincita.

Il barista mi fece subito intuire che, per sopprimere tutta quella calma, avrebbe scambiato volentieri quattro chiacchiere con chiunque, condivisione della lingua permettendo, si fosse trovato al di là del bancone.

Io accettai quella tacita proposta perché mi permetteva di frenare, per qualche secondo, il mio livello di nervosismo che stava subendo un’imprevista escalation.

Mi affidai all’ovvietà di una prima innocua domanda per provare a insinuare il mio “piede nella porta”, affidandomi a una tecnica pubblicitaria che consisteva nell’arrivare all’informazione desiderata partendo da una prima innocua richiesta.

“È sempre così tranquillo qui?”.

“No, per fortuna. Altrimenti dovremmo chiudere bottega perché gli unici affidabili clienti sarebbero quei quattro barboni che vivono qui dentro tutto l’anno”.

“Ma quelli le cose che consumano di più sono le panchine”.

Puro qualunquismo che avevo sfoderato al solo scopo di risultare simpatico al barista.

“Deve partire?”.

“No, sto solo aspettando un amico”.

Quell’uomo, dallo sperimentato intuito, non dovette credere alle mie parole e me lo dimostrò con la replica successiva.

“Così elegante?”.

“Cosa c’è di strano? Arrivo direttamente dal lavoro”.

“Ah, capisco...”.

Dal sorrisino sardonico che accompagnò quel sintagma compresi che quel tipo si stava facendo un’idea sbagliata sulle mie inclinazioni sessuali.

“Invece mi sa che non ha capito proprio niente”.

Irrancidii il tono della mia voce, in maniera probabilmente sproporzionata rispetto all’“offesa” che avevo subito.

“Non c’è bisogno che si alteri. Non volevo mica offenderla”.

Mi scusai subito per l’uscita precedente e mi resi conto che il mio status emotivo iniziava a farmi qualche scherzetto. Decisi perciò di superare quell’impasse chiedendogli l’unica informazione che volevo ottenere da quel colloquio.

“Ma il treno proveniente da Roma è sempre così puntuale?”.

“Non lo è mai, assolutamente mai!”.