Non avevo un ricordo particolarmente buono di questo film a causa delle troppe scivolate nel farsesco.

Togliamoci il dente prima che marcisca. La scena dell’inseguimento nel bazar poteva essere un capolavoro se non altro per il set esotico, i colori e gli spunti ambientali. Perché rovinarla con un combattimento alla Terence Hill con James Bond che, nell’ordine, scaraventa (fuori scena) un dacoit su un letto di chiodi, prende una torcia e la tira in mano a un avversario che stupidamente l’afferra lasciando cadere la spada,  usa la spada presa dalla bocca di un lanciatore di coltelli, e cammina sui carboni ardenti?

Non finisce qui, a parte l’infame sottomarino-coccodrillo usato per arrivare all’isola di Octopussy, la sequenza dell’inseguimento-caccia alla tigre si risolve in una serie di battute con Bond che allontana tigri e serpenti con un semplice «pussa via» e si lancia tra le liane urlando come Tarzan. Malgrado ciò una revisione del film, sotto un profilo puramente spettacolare, risulta piacevole.

         

Anno di confronti il 1983 perché nelle sale usciva anche Mai dire mai con Sean Connery. Un film adattato dalla sceneggiatura di Thunderball ma realizzato completamente fuori dai canoni della serie regolare. Non poi malissimo (se pensiamo agli interpreti Barbara Carrera, Kim Basinger, Klaus Maria Brandauer; il cast era ottimo) ma... mancava il tocco assicurato della produzione ufficiale.

Ora, a parte gli episodi farseschi di cui ho detto, Octopussy: Missione Piovra ha anche dei meriti. Alla sceneggiatura partecipa George MacDonald Fraser che supporta i soliti Michael G. Wilson e Richard Maibum per la parte indiana che costiuisce uno dei pezzi forti.

Agli spettatori italiani magari l’impianto filmico ricorda Salgari ma l’intento è scimmiottare Indiana Jones come con Moonraker si faceva con Guerre stellari. L’idea in questo caso funziona bene. Le location indiane sono perfette e inseriscono quell’esotismo che mancava un po’ nel film precedente ed è sempre gradito ai fan.

Fraser fu chiamato perché autore di una serie di romanzi veramente divertenti e ben scritti sull’epoca coloniale inglese in Asia. Si tratta della serie di Flashman che purtroppo ha visto un’unica traduzione decontestualizzata in Italia negli anni ’90 per Sperling&Kupfer. Vi capitasse di recuperarli in inglese sono divertentissimi. E questo è un po’ il problema perché, se l’umorismo è un po’ la caratteristica dei film d’azione per il grande pubblico di quei tempi, Fraser esagera un po’ (commettendo anche qualche errore di logica con gli scambi delle varie uova che alla  fine non si capisce più se son finte o originali). Curiosamente l’aspetto farsesco è limitato alla parte indiana perché tutta la trama spionistica che si svolge in Germania è serrata, ragionevolmente seria: se non realistica decisamente entusiasmante.

         

Diciamo subito che lo spunto è un racconto omonimo citato come background della splendida Octopussy (di nuovo Maud Adams in un ruolo differente di quello ricoperto in L’uomo dalla pistola d’oro) e con un riferimento anche a un altro racconto, Di proprietà di una signora, che ispira il breve ma ben riuscito frammento dell’asta. Un altro particolare interessante. Siamo ancora in periodo di Guerra Fredda ma è evidente che la serie ha scelto la linea della distensione. Riappare il colonnello Gogol (Walter Gottel, già visto in quel ruolo sin da La spia che mi amava ma presente come duro vent’anni prima al servizio della Spectre in Dalla Russia con amore...) decisamente orientato verso la distensione al contrario del suo rivale impersonato da Steven Berkoff, altro grande caratterista inglese.

L’idea di far esplodere una atomica all’interno di una base americana in Germania per spingere l’opinione pubblica a smantellare le basi USA in Europa è la stessa di Quarto Protocollo di Frederick Forsythe, portato sugli schermi nello stesso periodo, guardacaso con protagonista Pierce Brosnan che sarebbe stato uno dei futuri Bond. Ovviamente nel libro e nel film citati tutto è più serio e realistico, ma, di fondo, l’idea è la stessa, segno che la tematica del disarmo era piuttosto sentita.

Al di là di questo partiamo con una spettacolare sequenza d’apertura staccata dal resto della vicenda ambientata in un paese centro americano che potrebbe essere Cuba se, geograficamente, non fosse evidente che confina via terra con un paese pro americano. Non importa, malgrado la battuta finale come al solito farsesca, Roger Moore se la cava ancora bene, salta, spara e vola con sufficiente dimestichezza da far dimenticare gli anni che passano anche per lui.

Poi la trama diventa interessante, contrabbando di gioielli, spie e trafficanti, una società solo di donne, il circo e persino un ottimo inseguimento sui tetti di un treno. Come dicevamo l’India e i soi colori offrono esotismo a piene mani. Il duello con i dacoit esperti in kalarypayattu nella villa di Octopussy è un pezzo di bravura senza sbavature. Perdoniamo la presenza di Kabir Bedi nei panni di un fumettistico Gobinda servo di Kamal khan.

Kristina Wayborn
Kristina Wayborn
Di Maud Adams abbiamo già detto ma è Kristina Wayborn la Bond Girl che ricordo. Magnifica, perfetta per il ruolo, aggressiva nelle scene sexy e da antologia nella sequenza in cui si lascia cadere dalla finestra dell’hotel sciogliendo il sari da vera acrobata. Non so che fine abbia fatto ma avrebbe meritato un ruolo da protagonista nella serie.

Fanno da contorno i soliti gadget, un nuovo M (Bernard Lee era passato a miglior vita) forse troppo simile al vecchio per essere ricordato e tutti quegli elementi (da Moneypenny alla sala da gioco) che lo spettatore finisce per aspettarsi sempre e che, mescolati in maniera intelligente, non stancano mai.

           

Alla fine, rivedendolo resta comunque l’impressione di una sceneggiatura compatta, ben girata che non si attarda troppo in discorsi e mescola bene azione e investigazione. L’eccesso di umorismo sembrava, per i tempi, obbligatorio ma oggi risulta stucchevole. Octopussy sconfisse Mai dire mai al botteghino senza appello malgrado nel film della concorrenza apparisse Connery, benché visibilmente sovrappeso.