Le vie dello spionaggio sono infinite. Michael Caine incrocia nuovamente la strada di Kim Philby (dopo Triplo gioco del 1984) in questo film quasi contemporaneo: Quarto Protocollo (The Fourth Protocol, 1987 di John Mackenzie), ispirato all’omonimo romanzo del 1984 di Frederick Forsyth. Philby vi appare infatti in una delle scene di apertura, prima di essere ucciso da un generale russo del KGB.

Il piano, negli anni culminanti della Guerra fredda, è far esplodere un ordigno nucleare in modo che sembri un incidente in una base americana in Inghilterra per sollevare il fronte interno contro gli USA. Praticamente la stessa trama (benché condotta con un tono molto più realistico) di Octopussy, un Bond del 1983 con Roger Moore. La curiosità è che Petrovsky, l’agente russo incaricato di infiltrarsi in Inghilterra e far detonare l’ordigno, è Pierce Brosnan che qualche anno dopo diventerà un convincente 007. Le analogie terminano qui ma è abbastanza curioso questo intrecciarsi di personaggi storici dello spionaggio e di interpreti delle serie di maggior successo sull’argomento.

         

La storia (sceneggiata in parte dallo stesso Forsyth) ha il tono dei migliori romanzi di questo autore e anche, soprattutto nella prima parte riguardante Caine, qualcosa di lecarreiano. John Preston infatti, se dai modi strafottenti e lo sguardo disincantato, ricorda Harry Palmer si muove nel mondo torbido dei servizi inglesi come ce lo ha mostrato John le Carré.

Invidie, politica aziendale, stupidità. Il vecchio capo del servizio è morente e il suo sostituto (Julian Glover, anche lui nemico di 007 in Solo per i tuoi occhi) è un arrogante arrampicatore sociale. Fortunatamente un altro ufficiale dell’MI6, sir Nigel Irvine (Ian Richardson che fu Bill Haydon “la Talpa” nello sceneggiato con Alec Guinnes, i conti tornano) ha fiducia in lui e non solo avalla una complessa ma fortunata operazione iniziale di controspionaggio ma gli concede di proseguire un’indagine che l’inetto capo vorrebbe affossare per pura ripicca. Infatti Preston, relegato alle indagini di controspionaggio tra porti e aeroporti, capita su uno strano cadavere. Un marinaio russo che, investito da un camion sulle banchine, si rivela un corriere. Nella scatola del tabacco nasconde un disco di un metallo prezioso usato come detonatore per le bombe atomiche.

A questo punto nella più classica delle tradizioni della narrativa di spionaggio la vicenda diventa complessa e si gioca su più fronti. Da una parte Preston con pochi uomini e mezzi scarsi cerca di sventare l’attacco nucleare, dall’altra Petrovsky da solo deve assemblare una bomba, rimpiazzare il pezzo mancante e creare un verosimile incidente. Non basta perché a Mosca un generale temporaneamente esautorato dal KGB, comincia a sentir puzza di bruciato. Ansioso di riprendere il suo posto, non esita a bruciare un corriere già noto alle spie inglesi per metterle sulla strada buona pur rimanendo dietro le quinte. È tutto un gioco di carriera e intrigo politico in cui si è persa ormai ogni lealtà verso il paese o un ideale politico e poco importa chi si debba ammazzare.

Preston e Petrovsky sono solo pedine. Se Preston svolge diligentemente il suo lavoro dimostrando malgrado l’età di saper fare ancora a cazzotti, Petrovsky è una fredda macchina per uccidere. Un po’ ricorda lo Sciacallo sempre di Forsyth che non esita ad allacciare relazioni anche contro le sue tendenze sessuali (uccidendo però il malcapitato gay che ha rimorchiato all’aeroporto, in una sequenza che ne duplica un’altra del Giorno dello Sciacallo) pur di arrivare al termine del suo incarico.

C’è però una legge del contrappasso. Quando Joanna Cassidy, seducente agente russa con le capacità tecniche per assemblare la bomba, viene inviata in Inghilterra per la fare finale, con sé porta oltre che il componente perduto anche una serie di ordini segreti. Lei è incaricata di manomettere il detonatore della bomba in modo che anche Petrovsky venga cancellato nell’esplosione. Lui riceve un ordine cifrato di uccidere lei prima che tutto finisca.

       

Gatto e topo, sospetti, tensione. Si gioca così una partita implacabile in un film che rivisto oggi sembra anche più dinamico di quanto venne proiettato sugli schermi. Brevissimo ed efficace l’intervento delle SAS, intenso Brosnan opposto a Preston che trascorre il tempo libero con il figlio che gli ha lasciato la moglie vedova. Eppure, come nei romanzi dell’epoca d’oro di Forsyth, tutto torna, ogni particolare apparentemente slegato trova la sua collocazione sino allo sciogliersi della vicenda. Un gran film di spionaggio e una notevole prova per entrambi gli interpreti.