Che ci fa la recensione di un fantasy, su ThrillerMagazine?

Domanda lecita, concordo. Ma le risposte giuste ci sono.

Innanzitutto, un ottimo libro (e questo Sopravvissuti lo è senz’altro) valeva la pena consigliarlo comunque, anche se con i dovuti distinguo. Non penso peraltro che la maggior parte dei lettori di TM sia letterariamente monogama, per quanto da questo canale ci si aspetti prettamente notizie e articoli attinenti al thrilling, nelle sue molteplici forme; che comunque non sono solo, lo sappiamo, giallo, noir e spy story.

E Sopravvissuti non è così out topic come sarebbe lecito ritenere, considerando il ramo del fantastico al quale va primariamente ascritto. È un’affermazione che faccio con serenità e convinzione. Perché? Non vi fornisco una risposta diretta. Vi invito invece a trarre vostre conclusioni dalla lettura di  questa recensione. O, ancor meglio, da quella del romanzo.

  

Per prima cosa, tenete conto che l’autore dell’opera è il britannico Richard K. Morgan, uno scrittore qualche anno fa s’impose nella science fiction con i suoi thriller futuristici duri e scorretti, violenti e volgari: a partire dall’acclamato e premiato cyber-noir Bay City (Altered Carbon) e dai suoi sequel Angeli spezzati (Broken Angels) e Il ritorno delle Furie (Woken Furies), attraverso lo spietato spaccato di (esasperato e aggressivo) mondo top manageriale descritto in Business (Market Forces), per arrivare al thriller Black Man (pubblicato come Thirteen negli USA), uscito nel 2007 ma inedito in Italia.

Nel 2008, come tutti quegli scrittori che non amano essere castigati in un solo filone, per quanto possa aver portato loro riconoscimenti e successo, Morgan decide di sfidare apertamente il conservatorismo che contraddistingue una buona fetta di lettori fantasy (vecchi e giovani) mettendosi in gioco a modo suo.

Morgan non è un detrattore del fantasy, anzi. Ma è evidentemente ben conscio di cosa, da lettore, del fantasy ha amato e ha odiato.

Di certo, ricorda con passione l’Heroic Fantasy e la Sword & Sorcery di autori quali Poul Anderson, Michael Moorcock, Karl Edward Wagner e - può mancare?! - Robert Ervin Howard, il creatore di Conan. Autori che lui stesso cita nelle interviste (e mi spiace non nomini anche David Gemmell).

Ma, a mio avviso, ha anche detestato tutto ciò che, depauperando la pur ricca eredità tolkieniana, ha determinato nel fantasy il proliferare di un filone principale spesso sterile, meramente cristallizzato in espressioni manichee, ipocrite, perbeniste, con risvolti allegorico-ideologici irrigiditi e incapaci di accontentare tutti gli amanti dell’immaginario epico. Questo disprezzo, questo desiderio di vivere i tòpoi del fantasy a modo proprio, svincolato dai cliché, si palesa evidente nelle peculiarità del romanzo. A partire dai suoi protagonisti.

   

Tre i personaggi principali di Sopravvissuti, legati a tre rispettivi vettori narrativi, destinati ovviamente ad unirsi nel finale.

Ringil Eskiath, di nobile schiatta e veterano.  Eroe di Gallows Gap, l’eroica e cruenta battaglia tra il Popolo delle Squame e i suoi alleati Draghi contro l’Uomo i Kiriath (un’antica razza dalle conoscenze superiori, che ha poi abbandonato il mondo conosciuto a fine conflitto – sì, come gli Elfi di Tolkien).

Lady Archeth, consigliere di Jhral, l’imperatore di Yhelteth. Una mezzosangue umana e Kiriath. Scaltra e intelligente, ma anche fiera e letale combattente.

Egar Dragonbane. Uccisore di draghi. Uomo delle steppe, poderoso capoclan. Guerriero! Pure lui leggenda vivente di Gallows Gap.

Tutti e tre veterani della Grande Guerra che ha visto le nazioni degli uomini unirsi. Tutti e tre: sopravvissuti.

Uh, terzetto tipico del fantasy, direte voi, per poi aggiungere: -  Già letto, che palle! Perché siamo in pieno canone, giusto?

No. Sbagliato!

Assolutamente sbagliato.

Richard K. Morgan prende il canone, e lo riscrive. A tratti, pare quasi farsene beffe. Ma, attenzione: non lo rinnega, no! Lo svuota di dicotomie e stereotipi, di valori sbandierati ma non sentiti, per riempirlo persino oltre all’orlo di veridicità. Un realismo che è “sporco” come solo i comportamenti e i pensieri umani possono spesso essere. Eppure, per quanto  soggetti a tutte le tempeste che l’animo attraversa, e a tratti mascherati, ritrosi e certo confusi, resistono alcuni valori e sentimenti, quali certo l’amicizia.

E allora, se andiamo ad analizzare sotto questa luce opaca, ma nondimeno impietosa, le tre figure sopra sintetizzate, li vediamo nella loro interezza.

Ed è così che Ringil è sì indubbiamente un guerriero senza eguali, coraggioso, ma è anche un ribelle che in qualche modo pare essersi arreso ad una comoda inerzia. Quando facciamo la sua conoscenza, lo troviamo che, per mantenersi, si presta a liberare i cimiteri da orride e letali creature infestanti e si esibisce nelle locande di provincia, raccontando storie di guerra mentre rotea teatralmente l’Amica dei Corvi, una spada kiriath che pure è leggenda. Insomma, ci appare più come una popstar bruciata dopo una fama mondiale ma di intesa ma effimera durata che come un acclamato Eroe con le “e” maiuscola, consacrato dalla cronaca al mito futuro. Non basta: Ringil è anche un omossessuale, in una terra dove l’omosessualità è punita con l’impalamento. E per questo rinnegato ed emarginato dalla sua stessa famiglia.

E che dire di Archeth? Consigliere di un imperatore dissoluto e piuttosto carogna (nella norma, quindi; ) ), è una donna solitaria, condizionata dal suo essere diversa e bastarda, per quanto sia frutto dell’unione umana con una razza superiore per longevità e conoscenze. Un carattere forte, ma in cui grava il senso dell’abbandono, perché quando i Kiriath (e suo padre!) hanno lasciato il mondo, hanno deciso di non portarla con loro. Archeth è così razionale e irrazionale nel contempo. Per esempio, è dedita all’uso metodico del crystal, una droga.

Ed Egar? Egar è stato un valoroso sì, ma mercenario. E’ diventato capo del clan nomade al ritorno dalla guerra, ma sua leadership è ora messa in discussione dai suoi stessi fratelli, oltre che dal potere religioso e reazionario dello sciamano. Questo perché Egar ha conosciuto e vissuto il mondo delle città, nel male e nel bene. Nella dissolutezza ma anche nella cultura. E come può succedere a chi ha vissuto a fondo in due mondi, non appartiene più del tutto né all’uno né all’altro. E il suo stile di rottura con il passato non può venir accettato con facilità.

A questi tre quantomeno “problematici” protagonisti, di attori e comprimari se ne aggiungono ovviamente tanti altri, dei più disparati, via che il romanzo si sviluppa ricostruendo un mondo (forse lontano, ma più probabilmente futuro) con i suoi conflitti, le sue società, la sua varia umanità. Dove la gente ama ma anche fotte, dove la schiavitù è permessa, l’omosessualità è perseguitata a morte, le discriminazioni sono palesi, la corruzione dilagante, la droga diffusa… Dove i veterani delle grandi guerre non si reinseriscono nella società, e dove persino gli eroi più celebri si ritrovano emarginati, usati o odiati.

Nel seguire le avventure dei nostri tre, ci ritroveremo di volta in volta, o nel contempo, ad assaporare momenti di FY ora howardiana ora gemmelliana, a divertirci con scene d’azione, a riconoscere la funzionalità dell’indubbia componente fantascientifica del testo (a proposito: si usa ancora il termine science fantasy, o è superato?), ad intripparci con lo stile nettamente noir di Morgan (perché parte del plot, a depurarlo degli elementi fantastici, è anche una crime story), a godersi qualche sprazzo horror, ad apprezzare i momenti intimistici, quelli drammatici e quelli ironici, e a rimanere colpiti per la sfrontatezza (nel campo del fantasy, beninteso) delle scene sessuali descritte...

  

Sopravvissuti è dunque un romanzo sfaccettato, tant’è che se date un’occhiata nel web noterete che i vari recensori che mi hanno preceduto hanno usato definizioni differenti, e tutte più o meno aderenti e valide. Dal canto mio, lasciatemi descriverlo come un hard boiled fantasy, perché mi sembra che questa commistione rispecchi in pieno quell’anima di cui Morgan non vuole, o non riesce, a liberarsi. Insomma, con Sopravvissuti Morgan cambia genere, ma non cambia registro. Non cambia il modo di approcciare i personaggi, che mai sono di cartone. Il modo rude, politicamente scorretto, persino sopra le righe, di narrare le sue storie, e lo stile esplicito, volgare perché le persone così s’esprimono. Né rinuncia ad una narrativa di contenuti, per quanto questa utilizzi i format e i ritmi della letteratura cosiddetta (in modo, se non improprio, certo impreciso e deviante) d’evasione.

  

Punti deboli?

Solo qualche sporadico intoppo, scotto del tutto accettabile, laddove l’autore tira forse un pelino troppo la corda. Del resto, Richard K. Morgan non è mai stato uno scrittore perfetto, impeccabile; né vuole esserlo. Preferisce esagerare, piuttosto che cedere ai compromessi. Preferisce mantenere la sua anima, piuttosto che sacrificarla. Ed è anche così che sì conferma un autore eccellente, speciale, e voce riconoscibile anche nel fantasy. E se pure Sopravvissuti non è un romanzo perfetto, in compenso è un libro vivo, e che vanta una sua sostanziale unicità, non l’ennesima clonazione di temi o stili triti.

Concludendo, cari lettori di ThrillerMagazine: se non avete mai tentato un fantasy perché odiate i manicheismi propri di una fetta consistente di questo genere, be’, Sopravvissuti è il libro di cui avete bisogno per osare a varcare i confini del fantastico più spinto, entrando in un mondo narrativo che, anche se mimetico non è, non per questo manca di profondo e concreto realismo.

Provare per credere.