Alla fine della cosiddetta Guerra Fredda, i vari tuttologi (più che i veri esperti) decretarono che il mondo spionistico sarebbe cambiato in modo radicale e definitivo. Come conseguenza, altri opinionisti di turno, si precipitarono a sentenziare la morte del genere spy fiction.

Ma gli intrighi politici, le guerre, lo spionaggio, non si fermano mai. Certo, assumono di volta in volta caratteristiche differenti, mobili, a volte anche nuove, altre solo reiterazioni moderne, più o meno complesse, di vecchi giochi.

A distanza di vent’anni, possiamo inoltre affermare che la nostra convinzione che la spy fiction NON sarebbe morta semplicemente con il chiudersi di un periodo storico era del tutto esatta. Potrebbe sembrare che così sia stato, agli occhi di qualcuno. Semplicemente perché editori e produttori cinematografici, obbedienti alla distribuzione, si sono per un ventennio impegnati a celare la natura di tanti lavori sotto l’etichetta (corretta, ma volutamente generalista) di thriller - a volte di action movie nel caso della cinematografia.

Negli ultimi tempi, però, il termine spy story pare non essere più considerato superato (e pernicioso per le vendite), ed è tornato, se non di moda, almeno di comune utilizzo anche da parte della critica e della promozione, quindi riconosciuto nel suo valore anche dai nuovi lettori e/o spettatori.

Nonostante l’editoria italiana sia sempre stata piuttosto parca nel dare spazio ai nostri autori di thriller spionistici, di narratori in gamba che si sono cimentati (in modo occasionale o continuo) ce ne sono stati e ce ne sono. Per un approfondimento in tal senso, ci fa piacere rimandare alla panoramica in tre puntate a suo tempo fatta in collaborazione tra ThrillerMagazine e il Blog Ufficiale di Segretissimo:

1 - http://blog.librimondadori.it/blogs/segretissimo/2009/09/23/spy-fiction-italian-ways1-di-f-novel/

2 - http://blog.librimondadori.it/blogs/segretissimo/2009/11/13/spy-fiction-italian-waysii-di-fabio-novel/

3 - http://blog.librimondadori.it/blogs/segretissimo/2009/12/18/spy-fiction-italian-waysiii-di-fabio-novel/

E il presente?

Il 2012 si aperto in maniera incoraggiante per gli autori italiani di spy fiction & affini.

In edicola, per la collana Segretissimo della Mondadori, l’editor Franco Forte ha confermato che la punta di diamante (anche in termini di vendite, subito dietro a SAS) resta Stefano Di Marino (con il suo alias Stephen Gunn) e la serie del Professionista, ma che pure gli altri autori italiani sono molto apprezzati dai lettori, che spesso li preferiscono a quelli internazionali.

Inoltre, qualcosa si è mosso anche in libreria. Tra i titoli italiani distribuiti in libreria in questi primi mesi dell’anno, troviamo il connazionale (non lasciamo ingannare dallo pseudonimo) James C. Copertino con Taliban Commander (Curcio), Filippo Colizza con Agente sacrificabile (Mondadori) e Riccardo Perissich con Le regole del gioco (Longanesi).

Ed è proprio Riccardo Perissich l’autore che siamo andati a conoscere meglio, attraverso l’intervista che segue.

            

Benvenuto su ThrillerMagazine.

Partire dalla biografia dell’autore di turno è un modo decisamente canonico di aprire un’intervista, ma stante il curriculum vitae di Riccardo Perissich resta il modo giusto di iniziare: giornalista, esperto di relazioni internazionali, più di vent’anni presso la Commissione Europea (di cui alcuni come Direttore Generale per il Mercato Interno e gli Affari Industriali), Direttore Affari Pubblici ed Economici in Pirelli e Telecom, Vice Presidente del ramo italiano del Consiglio per le Relazioni fra Italia e Stati Uniti, consulente su affari internazionali, autore del libro “L’Unione europea, una storia non ufficiale”. Ora, anche narratore.

Direi che, di interessanti storie da raccontare, anche con risvolti spionistici, ne avrebbe parecchie... Forse è stato anche per questo che l’editore, Stefano Mauri, è riuscito a convincerla a proporsi anche come romanziere, oltre che come saggista?

Dopo la pubblicazione di un saggio sull’Europa, effettivamente Stefano Mauri mi sfidò a scrivere un romanzo. Non credo che si aspettasse un thriller.

         

Vuole sintetizzarci la vicenda narrata in “Le regole del gioco”?

Giulio Valente, un colonnello dei servizi Segreti italiani, indagando sull’assassinio di un oligarca russo a Saint Tropez, scopre un intrigo internazionale il cui epicentro è a Roma, ma che coinvolge anche i Servizi francesi, americani, russi e iraniani. Il resto lo lascio al lettore.

           

Nel progettare il romanzo, è partito con l’idea di concentrarsi di più sulla trama o sui personaggi? E durante la stesura, cos’è successo?

Non scrivo in modo particolarmente strutturato. Ho cominciato con la visione, quasi cinematografica, della scena iniziale. Anni fa, passeggiando sulla spiaggia di Saint Tropez mi colpì una villa molto pacchiana. Decisi che doveva appartenere a un oligarca russo. Mettendomi a scrivere, ho pensato che far morire questo ipotetico proprietario potesse costituire una giusta vendetta del buon gusto. Poi ho pensato ai personaggi, soprattutto quello del protagonista, Giulio Valente. La trama è emersa gradualmente dopo.

            

Giulio Valente è il protagonista non assoluto del romanzo, ma di certo principale. Parliamone.

Valente è l’ultimo rampollo di un’antica famiglia di principi romani. Però ha rinnegato le proprie origini, ha adottato definitivamente un nome di copertura e ha scelto di vivere in modo borghese. Oltre a un problema d’identità, è afflitto da dubbi sul senso della sua missione anche se vuole disperatamente credere nel suo dovere al servizio dello Stato.

            

Valente è anche il personaggio che più s’è divertito a creare?

Sicuramente. Nonostante la reputazione dei servizi italiani, ne ho voluto fare un personaggio positivo. Per certi versi può ricordare alcuni personaggi di John le Carré, ma vuole anche essere una reazione ad alcuni eroi del genere, “machi” e sicuri di sé; come James Bond o il principe Malko Linge, il protagonista di SAS.

            

E quello che - sempre che ci sia - le è stato più ostico da realizzare, da rendere vivo su carta?

Il principale “cattivo”. Quelli negativi sono i personaggi più difficili da definire. Alla fine devono essere credibili, ma non troppo evidenti. C’è sempre il rischio di cadere nella caricatura. Anche i cattivi devono avere una loro personalità.

              

Resta inteso che nel testo “qualsiasi riferimento a persone note è puramente casuale”, però… beh, qualche frecciatina alla realtà ammetterà pure esserci, no?

La storia è di pura fantasia, ma l’ho farcita di episodi e persone tratte dalla mia esperienza personale e anche di qualche riferimento alla realtà più nota. L’ho fatto per divertirmi, ma nella speranza che si diverta anche il lettore.

        

A pag. 104, Valente spiega che non si deve “restare schiavi di un metodo”. “Noi,” dice “soprattutto con il mestiere che facciamo, siamo programmati a credere che tutti i fatti debbano avere la loro spiegazione logica, geometrica, e che le coincidenze non esistano. Il puzzle deve essere completo, ma spesso sbagliamo.” Continua poi: “Sai qual è il problema? Siamo noi stessi prigionieri della rappresentazione letteraria che è stata fatta del nostro mestiere dai grandi classici del genere. Alla fine, anche se apparentemente guidati dalle emozioni, tutti i comportamenti devono essere razionali. Questo lo vogliono i lettori; nella realtà non è così. Il paradosso è che è proprio l’imprevedibilità dei nostri avversari a renderli pericolosi.”

Interessante spunto di riflessione, infilato tra le righe...

Sì. È una reazione alla manipolazione di quegli autori che vogliono farci credere che il loro racconto risponda a una logica perfetta, quasi matematica.

         

“Le regole del gioco” ha una sua colonna sonora. Ci dice qualcosa a riguardo?

Per me la musica è molto importante e ho voluto trasmettere al lettore un po’ di questa mia passione. Nel racconto la musica non è solo accompagnamento, ma serve anche a definire il carattere e le emozioni di alcuni protagonisti. Un amico mi ha detto che, dopo aver letto il romanzo, è andato a comprare i dischi con la musica che cito; la cosa mi ha fatto un grande piacere.

          

Si può dire che, per il suo romanzo d’esordio, ha scelto una spy story moderna sotto certi aspetti (come il taglio stilistico), ma per altri contemporaneamente “classica”?

Almeno, spero di esserci riuscito. Il taglio e il ritmo vogliono essere vicini a quelli delle serie televisive; penso per esempio a 24. La storia e credo anche la lingua sono più tradizionali. Gli esperti troveranno molte citazioni dei “classici” che ho amato.

          

Per un episodio futuro, affronterebbe possibili scenari alternativi, sempre spionistici benché meno ortodossi (intendo rispetto al format così come viene generalmente riconosciuto)? Per intenderci, precipiterebbe Giulio Valente tra quelle che sono le possibili connessioni nere di alcune grandi multinazionali, tra le ipotizzabili trame occulte di lobby eccessivamente influenti, negli interessi economici e nel lato oscuro della finanza, forse persino in eventuali file criptati delle agenzie di rating? Insomma, per narrare al meglio il grande gioco, così come si presenta oggi, non è il caso di portare nella fiction anche altri attori, oltre che le (non venute meno, beninteso) beghe e rivalità tra nazioni sempre meno sovrane e rispettivi servizi di intelligence (persino questi talvolta parzialmente subappaltati ad agenzie non governative)?

Chi si dedica a questo genere è in un certo senso orfano della guerra fredda. Allora tutto era più chiaro e gli attori erano gli stati. Nelle Regole del gioco ho tenuto un piede nella guerra fredda e la storia è abbastanza classica, anche se credo che rispecchi la realtà attuale. Lei ha ragione: bisogna anche introdurre nuovi attori. In futuro, se ci sarà un futuro, vorrei farlo. Tuttavia sono convinto che sia sbagliato proporsi di riscrivere vicende note; detesto quelli che cercano di raccontarci la “vera” storia dell’assassinio di Kennedy. D’altro canto, perché gli agganci alla realtà siano credibili è necessario che l’autore sappia di cosa parla. Vedremo.

      

Ho letto alcune delle interviste che ha rilasciato in relazione a questo romanzo. Devo dire che mi ha fatto piacere veder citare, oltre ad alcuni scrittori classici anglosassoni del genere (i vari Ambler, Green, Fleming, Le Carré... - che già di per sé rappresentano modi differenti di narrare il mondo delle spie), pure un autore francese non blasonato (anche per i limiti delle sue scelte narrative) ma molto popolare: Gérard de Villiers. Il suo SAS, un personaggio nato nel 1965, pur con le sue esagerazioni in termini di sesso, con il suo distacco ironico e disincantato e con una scrittura non certo letteraria (che peraltro negli ultimi anni viene in gran parte realizzata da ghost writers), è comunque una pietra miliare della spy fiction europea.

Di solito gli scrittori stanno molto attenti a citare solo la “nobiltà” riconosciuta dalla critica in un determinato genere. Ho apprezzato la sua assenza di ipocrisia e il riconoscimento alla scuola francese, che tra l’altro non è solo de Villiers...

La ringrazio per averlo notato. A suo modo, Gérard de Villiers è un maestro del genere.

        

Dei colleghi italiani che hanno dato il loro contributo alla narrativa spionistica e al thriller politico, che mi dice? E della collana Segretissimo?

Sono molto importanti e non abbastanza valorizzati. Non è facile per un italiano cimentarsi con il genere senza essere provinciale. Molti di quelli che lei cita ci sono riusciti.

         

Riportiamo il focus su Riccardo Perissich.

“Le regole del gioco” è uscito da alcune settimane. Quali sono stati i feedback? È soddisfatto dei pareri dei lettori?

I feedback che ricevo sono numerosi e positivi. La cosa mi fa molto piacere. Però subito dopo rivesto i panni scettici di Giulio Valente e mi dico che gli scontenti richiudono il libro e non ne parlano. Dovranno pure esistere, ma non si manifestano.

        

Abbiamo iniziato l’intervista in modo in modo conforme, quindi chiudiamola con la domanda che tutti si aspettano: il suo prossimo romanzo sarà?

Mi lasci il tempo di lavorare e, soprattutto, lasci decidere all’editore che gli piace quello che ho prodotto. Entro in questo genere con passione, ma in punta dei piedi. Ho avuto la fortuna di avere molte vite: sono stato giornalista, ricercatore, funzionario internazionale e manager d’industria, sempre con grande soddisfazione. Terminerò come scrittore? Mi piacerebbe, ma è presto per affermarlo.

            

Grazie. Alla prossima!