Amletico ed annoso dubbio: se la stragrande maggioranza della popolazione la venera, si può ancora chiamarla “TV spazzatura”? Che senso ha usare un nome spregiativo quando è il prodotto di punta di un’intera cultura?

Frank (uno strepitoso Joel Murray) è l’incarnazione del sogno americano infranto, e per ottundere i sensi ingerisce ingenti dosi di reality e talent show, finché arriva il giorno di ordinaria follia e preme il grilletto.

God Bless America è un film strano ed atipico: presentato il 9 settembre scorso al Toronto Film Festival, è talmente “scomodo” da girare per rassegne cinematografiche ma senza trovare una vera distribuzione, arrivando direttamente in video.

Scritto e co-diretto (insieme a Roger Corman) dal comico newyorkese Robert Francis “Bobcat” Goldthwait, è una denuncia aspra e tagliente della cultura contemporanea statunitense, avvelenata dalla spazzatura televisiva che viene elevata a filosofia di vita. Quando le civiltà esagerano con lo spettacolo-spazzatura, dice il protagonista, è l’inizio del declino: il mondo dei talent show sarà il Colosseo dell’America...

Ovviamente sono critiche spicciole che lasciano il tempo che trovano - visto che il Colosseo non può davvero essere associato alla caduta dell’Impero romano! - ma è davvero interessante ascoltare una voce controcorrente, che si lanci in autocritiche anche feroci.

                

Nella società del Video ergo sum chi fa l’idiota alla TV è considerato un idolo e un modello di vita. Fin qui niente di nuovo, ma il film aggiunge un particolare. Sono dieci anni che gli americani si ripetono che stanno mandando gente a morire dall’altra parte del mondo per difendere il proprio stile di vita, e quindi la domanda nasce spontanea: centinaia di giovani soldati stanno morendo perché lo stonato di turno lanci un tormentone ad America’s Got Talent? È questa la civiltà da preservare? Quella dove un lavoratore come Frank viene licenziato per aver regalato dei fiori ad una collega? (Chiaro gesto di molestia sessuale.) Una civiltà che segue in diretta i piagnistei dell’attricetta viziata del momento merita di essere preservata?

Sono domande crudeli da rivolgere ad un Paese in guerra, quindi indipendentemente dalle risposte va lodato il tentativo di porle. Soprattutto per un film il cui apice consiste nel peggior incubo contemporaneo: un giubbotto pieno di esplosivo...

             

God Bless America non è esente da moralismo spicciolo. Frank biasima i reality e i talent show ma poi non guarda altro; vorrebbe che la figlia non se la prendesse tanto perché ha ricevuto un blueberry invece che un iPhone, ma poi sarebbe disposto a tutto pur di accontentarla; viene fatto vedere un libro forse per sottolineare che Frank se la tira da intellettuale, ma la sua vita dimostra che non è diverso in nulla dalle persone che biasima.

Il film dimostra ancora una volta che il peggior nemico dell’America sono gli americani: non a caso un noto personaggio a fumetti statunitense coniò la frase “ho incontrato il nemico: siamo noi”. (Leggenda vuole che sia stato George Washington a dirlo...)

Di forte impatto il culmine del film con la scelta di organizzare un vero e proprio atto terroristico - con modalità di solito collegate all’integralismo religioso - durante le riprese di un talent show. La predica finale ha tutto il sapore di quell’esaltazione psicologica che teoricamente si vorrebbe criticare: sembra più un pazzo che gridi alla gente di stare attenti perché c’è un pazzo che sta gridando...

Non un film moralmente ineccepibile, né tantomeno politicamente corretto - ed è una bella sorpresa in una cinematografica come quella statunitense - ma comunque un duro e sorprendente atto d’accusa: prima di pensare ai nemici esterni, bisognerebbe fare un po’ di pulizia in casa... a cominciare da quella pattumiera che altri chiamano TV.