Ci sono testi la cui storia è talmente affascinante da farli sembrare degli pseudobiblia: è il caso dell’opera di Federico II di Svevia le cui vicissitudini - inventate ma plausibili - sono raccontate con grande fascino ne “Il manoscritto dell’imperatore” della milanese Valeria Montaldi (Rizzoli 2008), vincitore del Premio Saturo d'Argento 2009 e del Premio Rhegium Julii.

               

La fine dell’assedio di Pisa del 1248 provoca gioia a chi lo stava subendo, e storicamente la gioia porta violenze e spargimenti di sangue; fra torture e saccheggi, un ladruncolo sottrae un manoscritto dalla tenda dell’imperatore Federico II. Non è stato un furto casuale: gli era stato commissionato dal mercante Guidotto dal Canale. Federico è talmente disperato dalla perdita del manoscritto da lanciare un appello scritto: «Esigo che vi ottemperiate con la massima urgenza. Se per recuperare il manoscritto, dovesse rendersi necessaria la violenza, non esitate a usarla [...] il favore che mi renderete nel farmi rientrare in possesso del trattato sarà adeguatamente ricompensato, in denaro e benefici.»

Ma cosa sarà mai questo “trattato” che l’imperatore ha tanto desiderio di recuperare, anche a costo di violenze?

«Si dice che da anni Federico stia compilando un trattato sulla falconeria e sembra che, quando non è occupato in battaglia, la redazione di questo manoscritto sia il suo passatempo preferito. Dicono anche che sia illustrato con miniature preziose che raffigurano gli uccelli da preda e i loro addestratori»: è ovviamente inconcepibile che un manuale, un testo pagano sia arricchito da quel tipo di miniature dedicate ai codici religiosi. «Quel maledetto ha scritto una serie di enunciati su come allevare quelle bestiacce da preda, riempiendo le pagine di regole su come allevarle, nutrirle, curarle, addirittura su come farle riprodurre!»

Se mai papa Innocenzo IV fosse venuto a sapere del manoscritto, «gli avrebbe lanciato una nuova scomunica.» Il papa infatti «attribuiva ogni singolo accidente naturale alla volontà divina, come avrebbe potuto capire l’importanza dell’osservazione scientifica?»

Valeria Montaldi
Valeria Montaldi
Federico sta adoperandosi per dar linfa vitale alle arti e alle scienze nel suo impero, mentre il papato gli va dietro nel tentativo di rendere tutto vano, chiudendo scuole e mettendo mille bastoni fra le ruote: il manoscritto potrebbe essere un’arma molto potente da usare contro il suo stesso autore.

Quindi è “solo” un scontro fra scienza e fede? Non proprio.

«Con questa dissertazione, Federico ha scritto un’apologia del proprio potere. Chi è infatti, secondo voi, il “buon falconiere”, di cui quel dannato tesse le virtù? Ma è l’imperatore stesso, è ovvio! E chi sarebbero i falchi da allevare con le migliori tecniche, se non i suoi sudditi? Così come il falconiere sottomette i rapaci al proprio volere assicurando loro prede sempre fresche, così l’imperatore doma i propri sudditi. E sapete come fa? Li blandisce, li illude di essere parte del miglior governo possibile in cui lui, che decide e agisce in loro vece, è l’unico in grado di garantire congiunture favorevoli e confini sicuri. E quegli stupidi che ci credono, che lo seguono come anatre in  uno stagno, cittadini, podestà, feudatari, regnanti di mezza Europa...»

                      

All’epoca la materia non era ampiamente trattata. C’erano solo due manuali di falconeria, entrambi arabi: il più antico è il “Die Falkenheilkunde” di al-Ghijtrīf - conosciuto in Italia anche come “Libro delle medesine de falconi” di Gandolfo Persiano - e poi quello di un altro compilatore conosciuto con il nome di Moamin, che si rifaceva tanto al testo di al-Ghijtrif quanto ad altre fonti arabe. Il terzo libro sull’argomento è stato scritto di proprio pugno dall’imperatore Federico.

Edizione del 2002 del trattato di al-Gatijtrif (o al-Gathrif)
Edizione del 2002 del trattato di al-Gatijtrif (o al-Gathrif)
Lo si capisce dalle miniature, afferma il mercante-ladro Guidotto. «Chi credete che avrebbe osato far dipingere una simile figura in maestà sul frontespizio, se non Federico stesso? Pensate forse che l’imperatore avrebbe lasciato che qualcun altro scrivesse un testo in sua vece su fogli miniati con tanta arte? [...] Questo manoscritto è suo, prova ne sia che il trattato si interrompe all’incipit di un nuovo capitolo. Se non gli fosse stato sottratto all’improvviso, Federico avrebbe continuato a scrivere su quella pagina.»

Ezzelino, uomo fidato dell’imperatore, affida al miniaturista francese Simone di Aix, allievo di Roger de Villeneuve, il compito non solo di avvicinare il ricettatore del manoscritto, ma anche di stabilire l’autenticità sia della carta che delle miniature. Sarà affiancato dal fido Gualdo da Margnano.

Ma intorno al manoscritto e al suo possesso ruotano interessi molto potenti, e intrighi nasceranno intorno al mercante che lo possiede, il quale candidamente vorrebbe solo trarne del guadagno e non si rende conto di avere in mano un’arma pericolosissima per il potere, a tutti i livelli.

Il Castello di San Martino, nei pressi di Lodi - location inventata dall’autrice - è il teatro di tutta la vicenda: una continua caccia al manoscritto che non fa altro che passare di mano in mano, anche se nessuno dei “cacciatori” è interessato minimamente a restituirlo all’imperatore, bensì a sfruttarlo per i propri interessi personali.

                      

Qualcuno farà giustamente notare che il “De arte venandi cum avibus” (L’arte di cacciare con gli uccelli) non è affatto uno pseudobiblion: esiste eccome, addirittura in due copie - una conservata presso l’Università di Bologna, l’altra presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Anche la controversa attribuzione dell’opera a Federico non ne fa un “libro falso”: cosa ci fa quindi in questa rubrica che tratta di pseudobiblia?

"De arte venandi cum avibus"
"De arte venandi cum avibus"
La risposta è sul filo del rasoio: quand’anche il “De arte venandi cum avibus” fosse stato scritto dall’imperatore Federico, non esistono tracce - lo conferma l’autrice stessa - né di furti né di tutto il teatrino di ricatti e intrighi raccontato nel romanzo. Il “vero” libro se ne sta lì tranquillo da quasi 800 anni, mentre il manoscritto della Montaldi vive avventure rocambolesche passando di mano in mano.

Pare addirittura che nel 1264 - una ventina d’anni dopo gli eventi raccontati - una copia misteriosa del libro sia stata proposta da un certo Guglielmo Bottazio a re Carlo d’Angiò: che esista una terza copia del saggio federiciano che da secoli sta girando l’Europa in segreto? E, infine, cos’altro è tutto questo se non uno di quei giochi letterari che infiammano questa rubrica?