Si preannuncia un anno pieno di novità cinematografiche legate allo spionaggio. Per la verità la spy story cinematografica non è stata avara di storie negli ultimi anni (basta ricordare Hanna, Salt, Il debito solo per citare i primi titoli che mi vengono in mente negli ultimi tempi). Di certo una versione cinematografica de La talpa di John le Carrè (Tinker, Tailor, Soldier, Spy, del 1974 con un ottimo sceneggiato TV interpretato da Alec Guinnes) mi pare il modo migliore per inaugurare un’annata che seguiremo passo passo.

Non sorprenda che in queste righe si avvicineranno film di ispirazione anche molto differente da questo film estremamente pensato e “algido” a super movimentati film come il 23° Bond (di cui quest’anno ricorre un doppio anniversario e che troverete celebrato al momento opportuno su un numero di Action).

La spy story è un genere vario che passa dal noir, all’intrigo politico sino all’avventura. Ma non è genere per tutti. Né per autori, né per lettori-spettatori. Trame molto articolate, riferimenti alla cronaca, insomma un lavoro di testa che il pubblico odierno, abituato a battere le manine a qualche commediola regionalistica, stenta a seguire. Il problema è l’incapacità di concepire trame complesse, su più livelli. Problema che affligge ahimè sia chi scrive che chi legge o guarda.

                           

La talpa è un perfetto meccanismo di ricostruzione con mille sfaccettature.

Ripeschiamo in un’epoca passata che molti non ricordano e non vogliono ricordare, si indaga con certosina pazienza nell’animo umano, nelle meschinità aziendali trasportate nel mondo delle spie (magia di le Carré da molti imitata ma da pochissimi eguagliata e oggi persa anche per lo stesso autore). Si muovono pezzi su una scacchiere secondo una fitta trama di trappole e contro trappole, disinformazione e falsi indizi. Il Gioco in cui erano maestri i sovietici ma che alla fine travolse anche loro.

In realtà, se non sapessimo dall’opera omnia di le Carré che non è così, potremmo pensare che la vera Talpa sia Smiley, alla fine unico vincitore di una partita che si riassume nel suo ingresso al Circus da dove era stato cacciato. Intorno a lui volti noti e bravissimi, alcuni come Ciarán Hinds che ci sarebbe piaciuto vedere usati di più, altri fantastici come Mark Strong e Colin Firth. C’è pure Colin “Sherlock” Cumberbacht inutilmente caratterizzato come gay (il sospetto che il pensiero sia stato: “ma sì, mettiamo il ricchione tra i buoni così sono contenti tutti”, c’è) e altri noti e meno noti caratteristi inglesi.

Film europeo, freddo all’apparenza ma perfetto nei suoi meccanismi. Ed è giusto che sia così. Alla fine la scelta di sottrarre Smiley da ogni troppo manifesta passione mostrando solo di spalle l’amata Ann è la scelta migliore. E, invece di fiumi di parole inutili cui ci ha abituato anche il cinema d’autore, i rapporti tra Jim Prideaux e Bill Haydon (fondamentali non solo per lo svolgimento della storia se andate a riprendere le pagine del romanzo) si spiegano tutte in quel sorriso d’amicizia virile durante il party di Natale. Intorno, Londra, Budapest e Istanbul caratterizzate, perfettamente aderenti agli anni ’70 ma prive di qualsiasi effetto cartolinesco.

Non fatico a credere che a vent’anni questo tipo di spionaggio non mi piacesse. Oggi, rivedendolo non posso che plaudere alla grandissima abilità di le Carré nel ritrarre la Vita proiettandola sullo specchio delle spie trai due blocchi. Un terreno di gioco che conosceva benissimo e che, purtroppo, non è riuscito ad aggiornare in opere più recenti.

                      

È inevitabile il paragone con lo sceneggiato della BBC andato in onda su chissà quale emittente italiana a tardissima ora negli anni ’80 che ho rivisto invece in originale, abbinato al suo seguito naturale, Tutti gli uomini di Smiley. Inutile negarlo, per quanto il film del 2012 sia ottimo, alla memoria resta sempre quello il punto di riferimento. Alec Guinness è George Smiley e seppure la regia televisiva degli sceneggiati segua ritmi ancor più lenti, il vero mood del romanzo sta proprio nella versione di quegli anni.

Oltre a Guinness incontriamo molti caratteristi dell’epoca (uno su tutti Vladek Sheybal, il dottore di UFO, ma anche agente in moltissimi film di spionaggio di quei tempi) poi Kurt Jurgens e un straordinario Michael Lonsdale che in Smiley’s People duetta con il protagonista in una scena degna di un corso di recitazione. L’atmosfera non è ricreata, è esattamente quella di quegli anni. Basta ricordare l’ambiente del doner kebab davanti al Check Point Charlie a Berlino e la bizzarra comunità di senza tetto ad Amburgo. Va ricordato un ottimo Ian Bannen nella parte di Prideaux, forse il vero protagonista della Talpa.

Curiosamente nello sceneggiato ci sono due momenti di confronto tra Smiley e Ann assenti nel film quanto nei romanzi. Qui il personaggio di Guinness emerge in tutta la sua dolente figura di perdente in amore ma anche si rivela uomo dal carattere durissimo, incapace di perdonare o quantomeno di rivelare qualsiasi volontà di recuperare il difficile rapporto con la moglie. L’intrigo, come spesso avviene in queste storie più classiche, entra di prepotenza nella vita privata degli eroi. Sicuramente, per chi vuol fare un tuffo nella spy story classica, un appuntamento imperdibile.