Henning Juul, torna al lavoro di giornalista dopo la disgrazia che lo ha colpito.

La morte del figlio, vittima in un misterioso incendio, lo ha portato per lungo tempo a una rinuncia totale della vita e a estraniarsi dal mondo.

Il ritorno al lavoro in redazione è subito un contraccolpo.

Non ha tempo di riprendersi dal trauma che, a strapparlo dal torpore di una Oslo accomodante e tranquilla, ci pensa un feroce delitto che porta il marchio della Shari’a. La vittima, Henriette Hagerup è stata fustigata, lapidata e mutilata a una mano. Infine sepolta fino al busto dentro una tenda bianca sulla collina di Ekeberg.

C’è una scrittura di sangue, feroce e diretta. Il romanzo entra subito nel vivo, prende il lettore per i capelli e lo scaraventa dentro la storia. Non si risparmia Enger nemmeno nelle descrizioni delle piccole cose e lo fa con un linguaggio tagliente e affilato come una lama che penetra e coinvolge direttamente.

C’è un fuoco che brucia in questa scrittura, alimentato da una trama convincente, che ha tratti di semplicità e chiarezza dentro le piccole cose.

I personaggi hanno un solido riscontro con la realtà e l’autore sa catturare per la profondità delle descrizioni. Non a caso la tragedia che ha colpito il protagonista si muove di pari passo con la personale ricerca della verità come riscatto sociale.

Ecco che dietro questo efferato fatto di sangue la tranquillità di Oslo viene sconvolta. C’è il panico. I media si attivano immediatamente sguinzagliando i loro segugi, la polizia segue ogni pista possibile.

I sospetti ricadono su Mahmoud, il fidanzato pachistano coinvolto con le bande del narcotraffico. Il caso potrebbe essere risolto senza troppi preamboli, l’opinione pubblica ha un mostro in prima pagina e una vittima che fa discutere.

Ma Henning, animo introverso, poco incline alle cose semplici e scontate, non crede a un fatto che sembra costruito a immagine e somiglianza di una realtà plausibile. Il suo fiuto non si arresta davanti ai semplici pregiudizi.

In questa fase la scrittura raggiunge il suo apice. Thomas Enger non si lascia sovrastare dai vecchi canoni anche ambigui del genere che in taluni casi condizionano la struttura narrativa.

Il linguaggio affonda in un crescendo di tensione, il tema della morte infittisce il suo mistero in una indagine alla ricerca della verità dove la coscienza è sovrastata dall’ossessione.

L’ossessione è dentro la scrittura. Henning, il protagonista diventa l’alterego di Enger, quando si dice che il protagonista di un libro è in simbiosi con il suo autore.

L’ossessione diventa per Henning un faccia a faccia con i propri fantasmi, fino a un amaro risveglio.

Una prova più che convincente di uno scrittore che vi terrà all’erta. Con Morte apparente abbiamo a che fare con qualcosa di notevole, potete leggervelo e gustarvelo e vi creerà anche un po’ di tensione. Mi dispiace per chi è abituato a letture accomodanti, sono certo che questa storia vi terrà svegli.

Una cosa è certa: non vi annoierà.