Nella Berlino turbolenta dei primi anni Venti, due casi di morti sospette vengono chiusi in maniera troppo sbrigativa. Uno è quello di Rosa Luxemburg, la celebre rivoluzionaria rapita e poi assassinata in circostanze misteriose nel 1919, al termine della settimana di sangue in cui gli Spartakisti tentano la rivoluzione socialista. L'altro, avvenuto a un anno di distanza, è quello di Lisa Rosenthal, moglie del regista Fritz Lang, uccisa da un colpo di pistola al petto mentre in casa con lei sono presenti il marito e l'amante di quest'ultimo. Nessuno ha mai messo in discussione la tesi del suicidio con cui la polizia ha liquidato l'indagine sulla morte di Lisa. Nessuno è mai andato a fondo sul caso della Luxemburg cercando il vero mandante, che potrebbe annidarsi nello stesso governo.

Ma il procuratore capo von Wick non ha intenzione di accontentarsi della verità ufficiale e indaga su entrambi i casi. Addentrandosi nella Berlino notturna, si scontrerà con una cortina di silenzio pressoché impenetrabile, dietro la quale si celano intrecci proibiti tra criminalità, trasgressione e potere.

Qui le prime pagine del romanzo: http://api.edizpiemme.it/storage/village/2011/01/28/566-0500.pdf

Paolo Bertetto vive a Roma, dove insegna teoria e interpretazione del film nell’università La Sapienza. Si occupa di cinema da molti anni: come docente (anche nelle università di Torino, Paris 8, Nice e al Centro Sperimentale di Cinematografia) e curatore di mostre. È esperto di Buñuel, Lynch e soprattutto di Lang e del cinema tedesco degli anni Venti, cui ha dedicato tre libri. È stato direttore scientifico del Museo Nazionale del Cinema. Tra le sue numerose pubblicazioni: “Lo specchio e il simulacro” (Bompiani, 2007, Premio De Lollis Saggistica) e “La macchina del cinema” (Laterza, 2010).

Dopo il thriller Cuore scuro (Piemme, 2008), Autunno a Berlino è il secondo romanzo di Bertetto e, a partire da questo, lo abbiamo intervistato.

“Autunno a Berlino” è stato pubblicato, nella collana Linea Rossa della Piemme. È un thriller ma è anche un romanzo storico, come lei spiega in postfazione. Come ha proceduto, metodologicamente, nel momento documentativo?

Conoscevo un po’ la cultura tedesca degli anni venti, anche per le mie ricerche sul cinema muto, su Lang e sull’espressionismo. Dico un po’ perché è un orizzonte vastissimo. Ho compiuto allora una serie di ricerche e di letture su più fronti. La storia politica, la rivolta spartakista e dei socialisti di sinistra e gli ultimi anni di Rosa Luxemburg, da un lato. La storia e la vita nella Berlino del primo dopoguerra, dall’altro. Ho trovato libri che danno immagini estremamente suggestive ad es. della vita a Mitte e nel quartiere ebraico (un libro di testi giornalistici di Joseph Roth ad es.) o sulla vita notturna a Berlino. E ho svolto ricerche specifiche sulla morte di Rosa Luxemburg, consultando gli articoli di giornale che ne hanno parlato, proponendo versioni e punti di vista molto diversi. E ho compiuto ricerche anche su quella poco documentata di Lisa Rosenthal, che è una persona di cui non si sa quasi nulla, anche perché Lang non ha mai voluto parlarne.

Ha scelto di trattare un’epoca – gli anni Venti berlinesi della repubblica di Weimar – solitamente trascurata e poco conosciuta (i testi scolastici di oggi, ad esempio, vi dedicano, quando va bene, qualche paragrafo). Cosa l’ha attratta di quel periodo?

Un poeta come Gottfried Benn diceva che Berlino era Parigi più Chicago. L’arte e la cultura da un lato e dall’altro la criminalità organizzata. Certo Berlino è una città di fortissimi contrasti, una grande città industriale e operaia con una povertà diffusa. E insieme è la città ricca con una grande vita notturna, particolarmente spregiudicata, uno sviluppo di architettura e di arte d’avanguardia, una cinematografia che è la più forte in Europa e la più raffinata, e un’attenzione particolare alle ricerche sulla modernità e ad es. sulla sessualità. E nel 1918-19 è la città della rivoluzione tedesca, che abbatte l’imperatore, senza riuscire a liberarsi del peso repressivo del’esercito. Tutto questo insieme di contrasti mi sembrava estremamente interessante. Anzi affascinante. E ho voluto farli rivivere in un romanzo storico-politico che è anche una detective story.

Come è nato il il procuratore capo von Wick, personaggio inventato?

Nel Dr. Mabuse (1922) di Lang, il dirigente di polizia che dà la caccia al grande criminale è un procuratore di stato che si chiama von Wenck. Un uomo elegante che cerca Mabuse soprattutto nei locali notturni frequentati da Mabuse per giocare a carte, ipnotizzando gli avversari per vincere somme notevoli. La prima ispirazione mi è venuta da von Wenck. Poi ho voluto disegnare il personaggio di un uomo di stato che crede davvero nei valori della repubblica e della democrazia e vuole difenderla contro i militari filo-monarchici, che vogliono distruggerla, e contro i comunisti che vogliono fare in Germania una rivoluzione come in Russia. E nella sua ricerca di verità scomode Wick si scontra con i dirigenti della polizia e con l’apparato statale, ancora dominato da personaggi legati alla tradizione prussiana. Ma naturalmente poi von Wick ha tratti che gli vengono dalla tradizione del noir, con il detective, solitario e disilluso, ma tenace e duro, da Sam Spade a Harry Bosch.

Le manifestazioni socialiste dell’inizio del 1919 videro un’enorme affluenza di folla. Che idea si è fatto in merito alle folle e ai consensi del tempo?

Tra novembre 1918, quando riesce la rivoluzione contro l’imperatore e il gennaio 1919, Berlino conosce manifestazioni di massa di una forza e di una ampiezza straordinarie, manifestazioni più grandi di quelle che a San Petersburg hanno provocato prima la fine dello zarismo e poi la rivoluzione bolscevica. Scendere in strada a marciare per difendere le proprie opinioni, per salvare la repubblica contro la volontà di restaurazione dell’esercito o per lottare per una rivoluzione più radicale, caratterizza la vita berlinese di quei mesi di fuoco.

E quando il governo socialdemocratico cerca di defenestrare il presidente di sinistra della polizia prussiana, la risposta popolare è superiore alle attese. Una manifestazione di centinaia di migliaia di persone per alcuni giorni occupa il centro di Berlino. Una manifestazione imponente e determinata a lottare per il potere. Forse i dirigenti non sanno approfittare del momento. Certo i militari si sono riorganizzati. E lo sbocco di questa contrapposizione è una guerra per le strade di Berlino che si conclude con la sconfitta delle sinistre e con l’arresto e l’uccisione di Liebknecht e Rosa Luxemburg. Nel romanzo mi premeva anche raccontare la presenza delle masse, elemento fondamentale della modernità, e le grandi manifestazioni di Berlino.

Quanto il suo lavoro di docente di teoria e interpretazione del film, ma quanto, più in generale, la passione e lo studio del cinema l’hanno formato come scrittore?

Quando ero uno studente mi occupavo più di letteratura che di cinema. Poi le circostanze mi hanno potato a scrivere di cinema e a studiarlo. Però il desiderio di scrivere romanzi mi è ritornato più volte. I grandi modelli della letteratura di ricerca mi affascinavano quando ero più giovane. Poi ho scoperto un interesse per quella che viene definita letteratura di genere, per il noir, il thriller o le spy stories. Il cinema ha superato le distinzioni tra film d’autore e film di genere. I grandi autori della storia del cinema fanno quasi tutti film di genere: da Lang a Hitchcock, da Kubrick a Lynch. E quindi ho voluto tentare una prospettiva di letteratura di genere, allargandola a temi problemi e orizzonti che mi piacevano. Senza perdere il meccanismo della detection che mi ha sempre attratto. In fondo nel thriller, nel noir c’è la ricerca di una verità e di una logica nascosta in un modo caotico e oscuro. È un percorso simbolico di grandissimo interesse.

Se si trasponesse il libro su pellicola, quale regista le sembrerebbe più adatto e perché?

La prima risposta, automatica, è Fritz Lang. Il fantasma di Lang ovviamente. Con lo stile del Dr. Mabuse, o forse di Metropolis. Ma una risposta più seria è difficile. Margarethe von Trotta ha fatto un film su Rosa Luxemburg. Herzog ha fatto un film sulla Berlino 1930 (e anche il povero Fassbinder). Ma forse sarebbe interessante avere un regista che sappia lavorare di più sul genere o sulla mescolanza di stili. Un americano. Clint Eastwood per una messa in scena classica. O Tarantino per farne un pastiche stilistico. Ma siamo nell’ordine dell’impossibile.

Come definirebbe il lessema “scrittore”? Scrittore è colui che...

Una volta Barthes distingueva tra écrivain e écrivant, lo scrittore e lo scrivente e poteva teorizzare un’idea alta e sperimentale di letteratura. Oggi credo che questa distinzione sia sempre meno efficace, e mi interessano di più le macchine narrative e magari anche riflessive che uno scrittore può avviare, che la ricerca dell’essenza della letteratura. E mi piace l’idea che lo scrittore sia un simulatore, uno che elabora delle macchine che producono immaginario e che magari lavorano sugli enigmi della vita e della storia. Con tutti i mezzi e tutte le finzioni possibili. Quindi per rispondere alla domanda vorrei citare una poesia di Pessoa: O poeta è un fingidor/ Finge tao completamente/ que chega a fingir que é dor / a dor que deveras sente (Il poeta è un fingitore/Finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente).

A cosa sta lavorando, ora?

Prima di Autunno a Berlino ho scritto un noir ambientato a Roma, che uscirà penso all’inizio del prossimo anno e dovrebbe chiamarsi Orchidea scarlatta. Ma ora sto finendo un romanzo sulla guerra di Spagna, la morte del capo anarchico Durruti e i crimini di Stalin.

È il modo anche per rivisitare e interpretare alcuni degli anni più bui del Novecento e la figura criminale del dittatore sovietico. Il racconto parla del 1936 a Madrid e del 1937 a Barcellona, ma ha anche episodi che si svolgono a Berlino, a Parigi, a Mosca e a Praga ed è insieme una spy story e una detective story, oltre che un romanzo storico-politico. Sulla scia di Autunno a Berlino.

Ci saluta con una citazione da “Autunno a Berlino”?

Fritz doveva raggiungere gli studi sulla Wansee. Voleva arrivare presto per potersi appropriare da solo di tutta la macchina operativa. Voleva vedere lo spazio, controllare le attrezzature, sentire che tutta la macchina rispondeva ai suoi ordini. Ma non sapeva che tra il suo hotel e gli studi c’era la più grande manifestazione che Berlino avesse mai visto. Fritz si chiese se non fosse un segno tragico del destino, se non sarebbe mai potuto diventare un Direktor. Ma ci voleva altro che una rivoluzione per fermarlo. Bisognava attraversare la fiumana di gente come Mosè aveva aperto la acque del Mar Rosso. Lang era ebreo da parte di madre. Sapeva come fare

(…)

Non so se arriveremo a Wansee – disse il guidatore. – Oggi è dura.

E’ indispensabile – disse l’altro, alzando il bavero del cappotto nero.

L’autista stava per rimettere in moto, quando un gruppo di uomini armati arrivò improvvisamente all’incrocio. In mezzo a loro, quasi nascosta da un cappotto pesante che le arrivava sino ai piedi, c’era una donna che avanzava lentamente zoppicando. Sembrava affaticata, come se le pesasse portare il suo corpo fragile in giro per le strade. Aveva in testa un cappello fuori moda, riadattato per proteggerla dal gelo dell’inverno berlinese. Era pallida, con la pelle giallastra, i capelli grigi e bianchi e il volto tirato. Rozalija Luksemburg. Accanto a lei camminava un uomo, spettinato, con il bavero di pelliccia rialzato. Gli operai della scorta si disposero attorno al portone dove la donna doveva entrare, rivolgendo i fucili verso la strada.

L’autista disse circospetto:

Deve esserci un capo.

L’uomo che stava per autorizzare la partenza della macchina, alzò nuovamente la sua arma e si piazzò a gambe larghe davanti al motore. Un altro spalancò la porta dalla parte del guidatore.

Cosa c’è ? – disse Lang dal sedile posteriore, più seccato che spaventato.

Gli armati non dissero niente. Uno di loro si avvicinò all’uomo spettinato con il bavero alzato, forse per chiedergli cosa fare. La donna si voltò a guardare l’auto, stringendo gli occhi come per metterla a fuoco. Anche Lang si avvicinò al finestrino per guardare. I due si scrutarono. Per l’uomo la donna era solo un piccolo ostacolo, che stava per essere superato. Per lei l’uomo era un ennesimo profittatore di guerra berlinese. La donna vide appena il viso sotto il cappello, avvolto dalla sciarpa bianca. E un monocolo. Avrebbe potuto farlo arrestare dalla milizia armata. Avrebbe potuto farlo fucilare. Ma non amava la violenza. E soprattutto la violenza gratuita. Aveva altro a cui pensare. Si voltò per entrare nella sede della Rote Fahne. Anche l’uomo spostò il suo sguardo. Ora l’operaio armato avrebbe smesso di fargli perdere tempo. Ci fu un lungo attimo di silenzio.

Possiamo andare? – insistette l’autista.

L’altro tacque a lungo. Poi si spostò di lato e lasciò partire la macchina. Lang aveva già ricominciato a leggere un dattiloscritto che teneva tra le mani.