Film sommamente ambizioso Inception, e come tale esposto, più di altri, al rischio di deludere al minimo errore.

Chi pensa il contrario, riguardo l’ambizione è in errore (anche se non lo sa…).

Esempio: un conto, per rimanere al punto cruciale del film, quello su cui si dibatte di più, è estrarre un ricordo, un’idea, da un cervello mentre il legittimo proprietario giace addormentato, tutt’altro è invece installarvi un’idea, inserirvi un ricordo (un po’ la differenza tra inserire dei soldi in un bancomat anziché prelevarli…). Siccome Cobb (Leonardo Di Caprio) è convinto che l’inserto possa avvenire, agisce di conseguenza.

A casa nostra agire così si chiama ambizione…

D’altra parte a muovere Christopher Nolan non può essere stato qualcosa di meno dell’ambizione (sua la sceneggiatura). Siamo di fronte ad un film capace di perlustrare con abilità temi alti, come quelli che chiamano in causa il rapporto tra subconscio e coscienza (come dire, da Freud a Shakespeare) adatti soltanto a chi, beato lui, è portatore sano di ambizione, appunto.

Il punto di partenza, anzi i punti, paiono essere i labirinti di Escher e Orson Welles, precisamente il suo capolavoro, quel Citizen Kane (Quarto Potere) cui Inception si rifà in modo esplicito nel progetto generale, quello di affrontare due eventi inafferrabili e ineffabili, la vita di un magnate della stampa là, il subconscio di un magnate della finanza qua, fino alla citazione quasi letterale, con l’emergere da una cassaforte, dove era stata gelosamente custodita di una girandola di carta, richiamo cartaceo a quello ligneo di Rosebud (la slitta compagna di giochi di Kane bambino...).

L’ambizione però per una volta è tutt’altro che cieca visto che porta sì il film in alto senza però dimenticarsi di guardare indietro per accertarsi che la salita non lasci troppo indietro i volenterosi che seguono, ragion per cui già adesso (mentre di solito lo facciamo alla fine…) invitiamo a vedere Inception senza timore di perdersi in un oceano di incomprensione perché accanto alla parte tirata a lucido e più squisitamente teorica, sufficientemente credibile per via delle spiegazioni che non mancano e che accumulandosi offrono più di qualche appiglio per orientarsi, ce n'è un’altra fatta di pura azione adatta a far tirare il fiato in attesa di una nuova immersione.

In Inception si vive e basta e si vive di rimpianti, ci si insegue e ci insegue ancora, a piedi e in auto, non si dorme se non per lavoro (che altro non è che entrare nel subconscio altrui…), o per istruire nuove reclute al difficile compito, ma soprattutto ci si sveglia quasi sempre di soprassalto e quasi mai rimpiangendo di essersi svegliati da un’esperienza tutt’altro che semplice da gestire, un'esperienza, insomma, da non dormirci la notte.

Quattro Oscar "tecnici": fotografia (Wally Pfister), effetti speciali, sonoro, montaggio sonoro.