È in libreria dal 7 marzo un nuovo romanzo della scrittrice Charlotte Link dal titolo L’ultima volta che l’ho vista. Volume che abbiamo segnalato, vedi: notizie/13775/

La lettura di questo avvincente romanzo ci ha spinti a contattare l’autrice, approfittando della disponibilità e gentilezza di Valentina Trevisi dell’ufficio stampa della Corbaccio.

     

Una domanda classica per farla meglio conoscere ai nostri lettori: può dirci “chi è” Charlotte Link? Dove e quando è nata, studi fatti, dove vive, cosa fa oltre che scrivere?

Sono nata il 5 ottobre 1963 a Francoforte. Sono cresciuta a Francoforte e dintorni. A 23 anni mi sono trasferita a Monaco per un anno. Dal 1998 vivo a Wiesbaden, che si trova vicino a Francoforte. Sono sposata con un avvocato tedesco, cresciuto però a Milano, che conosce bene l’Italia e parla italiano perfettamente. È specializzato nel rappresentare italiani in Germania. Quando ci siamo sposati aveva un figlio di 10 anni che ora ne ha 24. Insieme abbiamo una figlia di 12 anni. Fanno parte della famiglia anche 3 cani, tutti e tre provenienti da canili. Ed è questo che faccio, oltre la scrittura. È un secondo lavoro: mi occupo della protezione degli animali e sostengo tutte quelle associazioni che si occupano dei cani abbandonati dell’Europa dell’Est. Cerchiamo casa ai cani senza padrone ma soprattutto attuiamo un programma di sterilizzazione degli animali che è la cosa più importante che si possa fare per limitare il problema e ridurre la sofferenza di queste creature.

    

Quali sono state le sue letture formative giovanili?

Ho sempre preferito i gialli, fin da bambina. In particolare avevo una passione per la scrittrice svedese Astrid Lindgren, in particolare per Kalle Blomquist, il personaggio che risolve i casi. Oltre a ciò avevo una grande passione per la Storia e per le saghe antiche. Mio padre non mi raccontava le favole bensì l’Iliade e l’Odissea. Racconti che mi hanno sempre affascinata

   

Quando ha “scoperto” di voler fare la scrittrice? Ha frequentato scuole di scrittura? oppure è un dono di natura?

Non sono mai stata in una scuola di scrittura. La mia passione è nata dal piacere della lettura. Ho letto moltissimo da bambina e adolescente e ad un certo punto ho desiderato sperimentare la costruzione di una storia. È stato un esperimento, una prova che mi ha fatto scoprire la mia passione per la scrittura!

    

Ha trovato difficoltà a farsi pubblicare i suoi primi lavori?

A dir il vero no, al contrario! Anche se ne ero convinta. Avevo 19 anni quando ho finito il mio primo libro. Ho guardato nella mia libreria quale editore era maggiormente rappresentato e ho spedito lì il mio manoscritto. Ero convinta che avrei ricevuto una gentile lettera di rifiuto e che avrei dovuto spedire il testo a molti altri editori... invece una settimana più tardi mi ha telefonato una editor per dirmi che volevano pubblicare il mio libro. E che l’Editore desiderava conoscermi.

    

Quale è stata la sua reazione nel vedere il suo nome stampato sul libro esposto nelle vetrine?

Una sensazione molto strana. Ma soprattutto avevo paura che, ora che il libro era nelle vetrine con il mio nome sopra, nessuno l’avrebbe comprato. Perché è molto peggio che non essere pubblicati. Ero già pentita di essermi imbarcata in questa avventura. Ma per fortuna ci sono stati abbastanza lettori.

    

Ha iniziato con romanzi a sfondo storici, come mai è passata poi ai thriller?

I romanzi storici e i thriller sono sempre stati i miei due generi preferiti da lettore. Ad un certo punto ho saziato il mio desiderio di scrivere romanzi storici. Ho ritenuto più interessante mettermi a confronto con persone del mio stesso tempo, che hanno gli stessi problemi che ho anche io. All’improvviso i personaggi storici mi sono sembrati troppo lontani. Inoltre ritengo che ci siano due cose in particolare che mi piacciono: succedono cose emozionanti e si mettono in luce le persone nei momenti difficili, a volte estremi. Quando la facciata si screpola e si vede il nocciolo profondo. Mi interessa scandagliare le motivazioni profonde: perché qualcuno diventa aggressore e qualcun altro vittima? Perché qualcuno si limita ad osservare? In che modo in fatto drammatico cambia la vita di tutti coloro che sono coinvolti? Questo è ciò che mi appassiona.

   

Come si organizza quando scrive? Scrive tutti i giorni oppure quando ne ha voglia?

Sono una persona estremamente organizzata, altrimenti non riuscirei a far stare nella giornata lo scrivere, la famiglia, i cani, il lavoro con la protezione animali. Ho degli orari molto precisi di scrittura: dalle 8 alle 16. In questa fascia oraria sono sola in casa (a parte i cani!) e mi posso concentrare. Faccio una pausa per portare fuori i cani. Alle 4 torna mia figlia da scuola e la pace è finita. Se non ha bisogno di me lavoro per le associazioni animaliste e faccio ricerche per i miei libri.

      

Come le è nata l’idea per il romanzo ora pubblicato in Italia con il titolo “L’ultima volta che l’ho vista” (Im Tal des Fuchses)?

Il libro comincia con una donna che aspetta il marito in un parcheggio isolato e viene rapita senza lasciare tracce.

Il romanzo affronta le emozioni di incertezza, angoscia, che dureranno anni, che questo non sapere lascia nelle persone coinvolte, il marito, gli amici. Come la loro vita rimanga cristallizzata a causa di questo non sapere. Non possono nemmeno elaborare il dolore. L’idea mi è venuta un giorno molto caldo di agosto, 4 anni fa, mentre tornavamo in macchina dalle vacanze nel sud della Francia. In un autogrill mio marito ed io abbiamo fatto passeggiare i cani mentre nostra figlia, di 8 anni, rimaneva seduta vicino alla macchina. Era arrabbiata con me e non è voluta venire. Mentre ci allontanavamo mi sono resa conto della situazione di pericolo: una bambina vicino ad una macchina, da sola, lontana dagli altri viaggiatori. E lì vicino l’autostrada. Chiunque avrebbe potuto rapirla e fuggire facilmente. Sono corsa subito alla macchina e per fortuna non era successo nulla. Ma ho continuato a pensarci, ho immaginato tutti i possibili scenari... il libro è nato così. Ah l’autogrill si chiamava, Val au Renard, “La valle delle Volpi”.

   

Può essere stato il caso di Natascha Kampusch? O qualche altro episodio tratto dalla realtà?

No non ha niente a che vedere con la Kampusch bensì con il mio episodio di paura.

    

In questo romanzo e anche nei precedenti, in quali, tra le protagonista femminili, si riconosce?

A dire il vero cerco di non identificarmi con i miei personaggi per poter mantenere un distacco interiore. Io devo essere quella che “pilota” lo svolgimento e che ne rimane fuori. Ma naturalmente ci sono personaggi ai quali mi sento più vicina. In L’ultima volta che l’ho vista Jenna è quella che mi è più cara. È completamente diversa da me, una grande confusionaria. Credo che mi piaccia perché ha la capacità di prendere la vita con leggerezza, cosa che a me non riesce. Con una figura come quella di Jenna compenso in un qualche modo un mio desiderio.

   

Chiudiamo l’intervista ringraziando l’autrice per la sua pazienza e per averci dato tante notizie sia personali che sul romanzo ora pubblicato.