Il 18 luglio 1902 il “New York Times” pubblica una sorprendente notizia: in un negozio di antiquariato della londinese Soho Square è stata ritrovata un’antichissima cartina d’Europa che dovrebbe far riscrivere la storia della cartografia. Mentre veniva rilegato un antico libro - pare addirittura appartenente al “Times” londinese - stampato in Italia nel 1536, dalle sue pagine è sbucata fuori una carta geografica manoscritta, rovinata ma leggibile. Subito è stato coinvolto l’autorevole geografo anglo-tedesco Ernst Georg Ravenstein che ha rilasciato incredibili dichiarazioni: non solo la carta è autentica, ma in essa sono evidenti le proiezioni inventate da Mercatore... sessant’anni prima che Mercatore le inventasse!

Se il libro in questione è stato stampato nel 1536, non può essere che la cartina sia stata infilata fra le sue pagine anni, se non secoli dopo? Al buon Ravenstein - all’epoca quasi settantenne - questo dubbio non è venuto in mente ed anzi ha così risolto la questione: la cartina manoscritta è stata creata subito dopo il ritorno in Europa, nel 1522, delle navi di Magellano ed era il lavoro preparatorio per un’opera mai pubblicata. Al povero Mercatore, quindi, viene strappata la paternità della sua proiezione.

Perché raccontiamo questa storia? Perché l’artefice della scoperta, il proprietario cioè del negozio di Soho Square che ha fortuitamente trovato la carta geografica, è una nostra vecchia conoscenza: Wilfrid Voynich, il cacciatore di libri più fortunato del mondo.

Come finisce la storia? Nel modo più ovvio. Al di là di questo articolo non esistono tracce della fantomatica mappa, Ravenstein non sembra farne parola, Mercatore è ancora oggi considerato il padre della proiezione che porta il suo nome e anche i più agguerriti voynichiani - che credono cioè che Voynich fosse più che onesto - non sembrano interessati alla questione. Quella mappa era un falso? O era semplicemente posteriore alla data supposta? Non lo sapremo mai.

Trafiletto del New York Times del 1921
Trafiletto del New York Times del 1921
Questo è Wilfrid Voynich: un collezionista che ha avuto la fortuna sfacciata di trovare un numero impressionante di libri rarissimi - centinaia di libri in un’unica copia, cioè la sua! - eppure è stato così sfortunato da trovarsi sempre nei paraggi quando si parla di fregature...

         

Come si è visto in un precedente articolo di questa rubrica (rubriche/12249/), malgrado il fiume di libri rarissimi che Voynich ha riversato nel mondo librario soltanto per un caso si parla oggi ancora di lui: il Manoscritto che porta il suo nome, il capolavoro della sua vita che gli ha regalato l’immortalità. (E che soprattutto ha sviato gli specialisti dall’andare a controllare l’autenticità delle svariate centinaia di libri unici che il buon Wilfrid ha regalato al mondo!)

Ventilandosi ipotesi soprannaturali ed alchemiche - che da sempre mandano in visibilio schiere di appassionati - negli esoterici anni Settanta è nata una ricchissima letteratura sul Manoscritto, e dall’incerto e temebondo Duemila è aumentata la scelta di saggi (articoli o libri) che analizzano il Voynich sotto tutti i punti di vista... be’, proprio “tutti” no. Curiosamente non si parla di cosa si pensasse del manoscritto prima degli anni Settanta: sono tutti talmente convinti che ciò che noi oggi sappiamo sia esatto, che stranamente si spendono risorse e tempo nel tentare di decifrare gli scarabocchi che compongono il Manoscritto ma non si perde un solo istante a riflettere sulla veridicità dell’opera che li contiene.

Certo, si sono fatte analisi sulla carta e pare sia risultata medievale... e tutti noi sappiamo che nessun falsario è in grado di reperire carta medievale per poi scriverci sopra i più fantasiosi scarabocchi con inchiostro proveniente dallo stesso periodo...

L’opera sarà appartenuta a Bacon o a John Dee? O proviene dalle Stelle? Ma né Bacon né Dee, né tanto meno un visitatore stellare ha portato nel mondo questo Manoscritto: ce l’ha portato il cacciatore di libri più fortunato e misterioso della storia, e il fatto che tutti gli credano ad occhi chiusi è quanto meno sconcertante.

          

Ogni fonte - compreso il precedente articolo di questa rubrica sull’argomento - vi darà senz’ombra di dubbio la notizia che il Manoscritto è stato trovato nel 1912 a Villa Mondragone, nei pressi di Roma: nessun saggio spenderà una sola parola a spiegare perché prima degli anni Settanta questa notizia era ignota, a spiegare cioè perché Wilfrid Voynich non nominò la villa laziale né lo fecero altri per i successivi sessant’anni dal ritrovamento del Manoscritto.

Nel 1928 apparve postumo, per la University of Pennsylvania Press, un celebre saggio di William Romaine Newbold: Cipher of Roger Bacon. «Nel 1912 - racconta l’autore, - durante una delle sue periodiche visite nel continente europeo a caccia di vecchi libri e manoscritti, Mr. Voynich si imbatté in una ragguardevole collezione di manoscritti preziosi. Prima che egli li trovasse, questi volumi erano rimasti per decenni sepolti in alcune ceste di un vecchio castello del Sud Europa, dove erano stati messi probabilmente a causa delle turbolente vicende politiche europee degli inizi del Novecento.»

È imperativo far notare che il tema “libri che giacciono in ceste all’interno di vecchi castelli dimenticati” era ancora di grande fascino, tanto all’epoca della scoperta di Voynich quanto del saggio di Newbold: come già si è avuto modo di raccontare, lettori e bibliofili di tutta Europa avevano ancora nella mente le roboanti storie di avventurieri che, ingannando monaci o castellani boccaloni, scoprivano preziosissimi manoscritti in castelli o monasteri dimenticati.

Ecco un altro illuminante passo del Cipher of Roger Bacon. «Nel novembre o dicembre del 1915 - continua Newbold, - Mr. Voynich, in una delle sue frequenti visite a Philadelphia, mi mostrò il manoscritto cifrato e mi disse che, sebbene fosse stato trovato in Austria, egli credeva si trattasse dell’opera di Roger Bacon.»

In Austria? Evidentemente è questa la versione ufficiale di Voynich, visto che Newbold specifica che quanto sta scrivendo nasce dai dati ottenuti dal mercante di libri; specifica inoltre che Voynich aveva intenzione in futuro di tornare dove aveva trovato così preziosi manoscritti ed acquistarne di altri, quindi non voleva rivelare il luogo preciso per non dare la possibilità ai suoi “colleghi” di soffiargli dell’ottimo materiale.

Oggi a Newbold viene imputata spesso l’erronea convinzione che il Manoscritto fosse opera di Bacon, dimenticando però che l’unico errore dello studioso fu di fidarsi ciecamente di Wilfrid Voynich - lui sì convintissimo che fosse di Bacon - e dare per vero tutto ciò che questi gli raccontava. (L’apoteosi arriva il 21 febbraio 1921, quando Voynich parla al “New York Times” delle proprie teorie, dicendo che da nove anni lavora al Manoscritto, che ha scoperto formule magiche di Bacon che stupiranno il mondo... basandosi però sulle chiavi interpretative di Newbold. In pratica, se funziona è merito suo, se è una fregatura la colpa è di Newbold!)

         

Da La Stampa del 1953
Da La Stampa del 1953
Domenica 12 aprile 1953 il quotidiano “La Stampa” pubblica un articolo denso di tristezza: un’istituzione nota in tutta Europa come il collegio gesuitico di Villa Mondragone sta per chiudere i battenti.

Fra i motivi della chiusura ne spicca uno: «che l’antica villa non risponda più alle esigenze di un grande collegio moderno: troppi lavori sarebbero stati necessari, costosi quanto la costruzione di un edificio nuovo, e pur sempre insufficienti». Curiosamente è proprio grazie a dei lavori che il Manoscritto è stato scoperto, per pagare i quali i monaci innocenti hanno venduto all’astuto Wilfrid un manoscritto che per loro non aveva importanza: per quanto fatti bene, i lavori del 1912 evidentemente quarant’anni dopo erano ormai tutti da rifare.

L’articolo de “La Stampa” è fortemente elogiativo della villa e fra le notizie che la riguardano cita anche che George Sand vi ambientò uno dei suoi primi romanzi. Come mai però non viene citato che fra le sue mura era stato trovato quello che all’epoca si considerava un preziosissimo manoscritto risalente a Roger Bacon? È ovvio, l’abbiamo detto prima: Voynich non rivelò dove avesse preso il prezioso bottino perché temeva la concorrenza. Ma Villa Mondragone non aveva interesse nel tacere, anzi se più cacciatori di libri fossero arrivati sarebbero arrivati anche i soldi necessari per i lavori: perché prima di chiudere non tentarono la carta del “mercimonio” di manoscritti? Anche questa risposta è ovvia: non sapevano di aver avuto il Manoscritto, Voynich non disse loro l’enormità della scoperta per paura che alzassero il prezzo.

Insomma, nessuno sapeva niente: solo Voynich sapeva tutto e si portò tutto nella tomba... o forse no?

           

Alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library non c’è solamente il Manoscritto in questione, liberamente consultabile, ma anche alcune lettere appartenute alla famiglia Voynich.

Ethel Lilian Boole, moglie di Voynich
Ethel Lilian Boole, moglie di Voynich
Il 19 luglio del 1930 - esattamente quattro mesi dopo la morte del marito - Ethel Lilian Voynich (figlia del celebre matematico George Boole) scrive una lettera «in case of my death»: se dovesse morire, ci sono cose che gli eredi dovranno sapere. In una pagina e mezza la donna spiega il ritrovamento di Voynich... senza dire perché parli solo di quello, viste le centinaia di libri recuperati dal marito e venduti in tutto il mondo. Possibile che la vita dei coniugi Voynich fosse così vuota da sentire il bisogno di parlare solo di un manoscritto scarabocchiato?

«Il manoscritto cifrato - racconta la donna - fu comprato da W.M. Voynich intorno al 1911»: Strano: quando Voynich raccontò i fatti a Newbold, nel 1915, non c’erano dubbi sulla data del 1912. Che stesse mentendo? No, non era il suo stile... «Era proprietà del Vaticano - afferma Ethel - e si trovava (in un castello?) a Frascati.» La donna sta scrivendo una lettera che rimarrà segreta per decenni, qualcosa che nessun estraneo alla famiglia dovrà leggere... perché allora non cita il luogo con precisione? Mette addirittura fra parentesi “a castle?” e basta. A forza di sentire il marito millantare il ritrovamento del Manoscritto in un castello, non sa più neanche lei distinguere la realtà. Così come per esempio la citazione di Frascati: ancora oggi si dice che Villa Mondragone sia “vicino” a Frascati ma in realtà si trova a Monte Porzio Catone: il fatto che il primo toponimo sia più noto rispetto al secondo giustifica chi ne scriva un articolo o un saggio, ma visto che la donna sta aprendosi l’anima rivelando verità scottanti, sbagliare il luogo dove sia la villa è davvero strano. Sembra quasi che a scrivere sia qualcuno che in realtà non c’è mai stato in quei luoghi...

«L’intermediario grazie al quale lui [cioè Wilfrid Voynich, n.d.r.] ha raggiunto le autorità vaticane era il padre gesuita inglese Joseph (?) Strickland». Ancora un altro punto interrogativo. «Che aveva, credo, qualche contatto con Malta». Questa povera donna non sa proprio nulla... Ma che scrive a fare?

«Padre Strickland, che ora è morto, sapeva che la vendita di un certo manoscritto era disponibile solo se fosse stato trovato un compratore discreto degno di fiducia. Se il motivo di questa discrezione derivasse dal Quirinale, non saprei dirlo.» Ma il Quirinale nel 1930 era ancora il palazzo reale dei Savoia: solo nel ’46 diventerà simbolo del Governo italiano... Cara Ethel, non è che ci stai menando per il naso? Di nuovo, sembra quasi che qualcuno stia scrivendo molto dopo la data supposta...

Prima pagina della lettera di Ethel Voynich, scritta teoricamente nel 1930
Prima pagina della lettera di Ethel Voynich, scritta teoricamente nel 1930
«Padre Strickland ha dato la sua personale assicurazione che W.M.V. è degno di fiducia, e grazie a questa raccomandazione si è svolta la vendita, dietro la promessa di segretezza. Egli [cioè Voynich, n.d.r.] mi ha detto questo in confidenza: in caso di morte, sentiva che qualcuno doveva sapere. Per la stessa ragione sto lasciando questo testo al sicuro, in caso di mia morte.»

Perché non è stato Voynich in prima persona, così ansioso di lasciare traccia degli eventi, a scrivere esattamente la storia del Manoscritto? Perché ci ha pensato la moglie - praticamente ignara di tutto - a lasciare un testo così pieno di  buchi, di “credo” e di punti di domanda? (Comunque l’esistenza di un padre Giuseppe Sceberras Strickland è confermata dall’Associazione ex alunni Nobile Collegio Mondragone.)

Teoricamente la lettera di Ethel è rimasta segreta finché la donna era in vita. Il 27 luglio 1960 la vedova Voynich passa a miglior vita e leggenda vuole che lasciò il Manoscritto alla segretaria del marito, Ann Margaret Nill. (Quale moglie lascia un tesoro nelle mani della segretaria del marito?) Questa fantomatica Nill, che a trent’anni di distanza veniva ancora considerata “segretaria di Voynich”, il 9 agosto 1960 apre il plico contenente la lettera di cui sopra. Lo fa perché sul detto plico c’è una scritta chiarissima: «Riguardo al Manoscritto cifrato. Non aprire se non dopo la mia morte, e solamente da A.M. Nill o da una persona che ne faccia le veci.»

Che tutta la storia della lettera sia una grande beffa dozzinale pare davvero probabile: perché dovremmo credere che una donna che non sapeva nulla abbia tenuto segreta per trent’anni una lettera che in fondo non svela alcunché? Qualche maligno potrebbe poi notare che la “rivelazione” arriva quando ormai Villa Mondragone ha chiuso i battenti e non può sbugiardare la lettera, e quando questo padre Strickland è morto e così neanche lui può dare una propria versione dei fatti. Sembra quasi che qualcuno l’abbia studiata a tavolino questa lettera...

Ma dalla cara Ethel - che probabilmente non ha mai avuto nulla a che fare con gli strani traffici del marito - ci arriva uno scritto molto più autentico e molto più inquietante. Prima però, un breve salto indietro.

          

Nel 1935 Jessie Conrad - moglie del celebre scrittore - pubblica un libro di memorie: Out of My Past. The Memoirs of Joseph Conrad and his circle. Qui racconta la vita di coppia e molti aneddoti, come per esempio quel giorno in cui insieme al marito partecipò ad una festa e conobbe diversi invitati. «Mi fu presentato il signor Voynich, e seppi che suggerì a mio marito il personaggio di Vladimir ne L’agente segreto». (p. 229)

La fulmineità dell’aneddoto, la totale mancanza di spiegazione e il subitaneo cambio di argomento fanno pensare che l’affermazione non ha davvero molta importanza, ma soprattutto che nessuno si è premurato di correggere la donna. Passano più di vent’anni, e ad un certo punto Ethel Voynich sente il bisogno di scrivere una lettera (datata 1958) in cui afferma chiaramente che il marito buon’anima non è stato affatto il modello per quel personaggio di Conrad. Può sembrare una questione di poco conto, ma c’è parecchio bruciato dietro questo fumo.

Joseph Conrad era naturalizzato britannico ma era di origine polacca (sebbene la sua città natale oggi appartenga all’Ucraina); Wilfrid Voynich, più giovane di otto anni, fece fortuna in Inghilterra ma vantava sangue nobile polacco-lituano e comunque in gioventù fu un rivoluzionario polacco. Sul finire del secolo i due esuli polacchi si ritrovarono a Londra: ebbero modo di incontrarsi? Di sicuro quando nel 1897 Ethel Voynich (che con il marito condivideva la passione per i moti rivoluzionari) pubblicò Il figlio del cardinale (The Gadfly), l’editore Sydney Pawling le scrisse una lettera in cui la informava che Conrad desiderava incontrarla: l’incontro però non avvenne mai, perché in seguito lo stesso Pawling avvertì la donna che Conrad aveva ritirato l’invito. Sappiamo che l’11 ottobre 1897 Conrad scrisse all’amico critico letterario Edward Garnett: «Non ricordo di aver mai letto un libro che mi sia stato più indigesto». Sarà che il romanzo parlava di moti rivoluzionari nell’Italia risorgimentale con troppe affinità con la situazione dell’Europa attuale? Sarà che i “buoni” della Voynich sono i “cattivi” di Conrad? Non lo sappiamo.

      

Joseph Conrad
Joseph Conrad
Perché Conrad volle prima incontrare poi evitare Ethel? Aveva riconosciuto nel suo romanzo rivoluzionario qualcosa che lo turbò? Che legame c’è stato poi fra Conrad e Voynich? Quest’ultimo è stato davvero il modello per un personaggio del romanzo L’agente segreto? Molto, molto facile... visto che si parla di complotti e terrorismo di matrice estera a Londra...

Se già leggere di Verloc, uno dei protagonisti del romanzo, che con sua moglie tiene una piccola bottega a Londra che serve da copertura ad incontri di anarchici clandestini vengono i brividi - pensando a che tipo di riunioni potessero svolgersi nel retrobottega della libreria di Soho Square curata dai coniugi Voynich - leggere di Vladimir è ancora più inquietante.

«Discendente da generazioni vittime degli strumenti di un potere arbitrario», dice di lui Conrad, che scrive il romanzo nel 1907 - raccontando di aver tratto ispirazione da una biografia di un poliziotto ma che quasi sicuramente aveva bene nel cuore I Demoni di Dostoevskij, di circa quarant’anni precedenti. «Mr. Vladimir, Primo Segretario, s’era fatto nei salotti la fama d’uomo piacevole e spiritoso. Era, si può dire, il beniamino dei circoli mondani. Il suo spirito consisteva nello scovare bizzarri rapporti fra le idee più disparate».

Che cosa fa il personaggio di Vladimir nel romanzo? È una specie di “ispiratore” di un atto terroristico: non contro i soliti obiettivi, per i quali ormai l’opinione pubblica ha fatto il callo, bensì qualcosa di totalmente inaspettato che manderà la popolazione e il Governo britannico nel panico più totale. Un attentato al Meridiano di Greenwich: cioè un attentato alla scienza, il nuovo dio in cui tutti ormai hanno fede cieca. Per caso quella scienza contro cui andavano le formule magiche di Roger Bacon...?

Ma c’era qualcos’altro in cui i britannici (e tanti altri) avevano fede cieca in quegli stessi anni: che esistessero tesori di manoscritti pronti per essere scoperti ed ammirati. E se Voynich avesse organizzato il più grande attacco terroristico della storia libraria? Se avesse colpito il “cuore di tenebra” della bibliofilia, cioè il desiderio di credere ancora nei manoscritti misteriosi? Se il suo atto di terrorismo fosse consistito nel prendere in giro centinaia, se non migliaia di persone inventando qualcosa che loro credono ancora oggi vero? Non sarebbe certo il primo e non sarà l’ultimo: è solamente, finora, il più creduto...

          

In chiusura, è imperativo ricordare che qui non si spacciano verità né si elargiscono risposte: si dimostra soltanto che la verità è sfaccettata e che esistono più elementi della questione di quanto molti - voynichiani puri - siano disposti a credere.

Non esistono prove che Voynich sia stato in qualsiasi modo men che onesto: può essere stato benissimo vittima ignara di qualcun altro che ha avuto interesse a far nascere la Leggenda del Manoscritto per propri interessi, qualcuno che ha pronunciato la parola magica - Villa Mondragone - che Voynich e sua moglie non hanno mai pronunciato, qualcuno che abbia avuto molti aspetti in comune con il cacciatore di libri ma semplicemente più scaltro da rimanere sempre nell’ombra.

Può esistere questo qualcuno? Può esistere un indiziato che finora non è stato preso in considerazione, qualcuno che ha avuto interesse nella Leggenda del Manoscritto e soprattutto possibilità di orchestrarla? Insomma, qualcuno che alle spalle di Voynich sia riuscito ad inventare il Manoscritto di Voynich? Sì, qualcuno c’è... ma ne parleremo un’altra volta.

È invece ora il momento di invitarvi ad un blog appassionante (http://icustodi.wordpress.com/) ispirato dal romanzo I custodi della pergamena proibita di Aldo Gritti, che tratta - sia il blog che il romanzo - di Voynich e del Manoscritto.

La foto qui mostrata è quella della tomba dove ancora oggi riposano le spoglie mortali del buon Wilfrid. Senza lapide né altra iscrizione... la sepoltura perfetta per una persona che nella vita agì sempre nell’ombra.