Esiste una somiglianza fra la ricerca scientifica e l’indagine poliziesca? C’è qualcos’altro oltre ai termini comuni e alle assonanze linguistiche? Non è forse vero che in ambedue i casi si tratta della soluzione di un problema a partire da tracce e indizi inizialmente oscuri e confusi?

Queste sono le domande che l’Associazione Culturale per Wilma pone a scienziati, investigatori, scrittori, giornalisti, filosofi e psichiatri, in un ciclo di tre incontri, ospitati e patrocinati dalla Provincia di Bologna.

Non a caso è stato scelto Luigi Bernardi per sollecitare gli ospiti che intervengono a dare la loro risposta su cosa sia la verità, in relazione alla loro esperienza.

Bernardi, scrittore, giornalista, editor, è stato definito dall’Associazione “ricercatore di verità”, ed è da sempre quello che lo scrittore si propone fare nei suoi libri e articoli.

Il titolo dell’incontro del 24 marzo è stato I segni nascosti e per sollecitare una riflessione sono stati invitati Silio Bozzi, Vice Questore alla Polizia Scientifica di Ancona, Carlo Barbieri, psicologo della Polizia  di stato, Lucia Musti, Sostituto Procuratore alla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna e Maurizio Matrone, scrittore, poliziotto e sindacalista del Siulp.

Bernardi inizia parlando di “giallificazione della realtà” un processo che, a suo parere, coinvolge profondamente la società in tutte le sue espressioni, come scrittori, giornalisti, lettori e cittadini. Tutto viene individuato, rappresentato e studiato come se fosse un giallo; questa è la cronaca, questa è la televisione ma anche la letteratura è stata influenzata dal mistero, con il successo conseguente dei libri gialli. La prima domanda che Bernardi pone agli ospiti è in cosa consista il loro lavoro. Il quadro che viene descritto dai relatori si dimostra subito non coincidente con quello che il pubblico si aspetta. I film, ma anche la letteratura, troppo spesso influenzano le persone inducendole a convinzioni errate, luoghi comuni. Quello che viene sottolineato con forza è che non bisogna mai partire con l’indagine avendo già delle pregiudiziali. E’ necessario essere capaci di analizzare i vari punti di vista, per non lasciare indietro nessuna delle possibili ipotesi. Così il magistrato, spiega Musti, avvalendosi di polizia giudiziaria, psicologi, scientifica e altre collaborazioni, può capire quale sia la soluzione di un reato, trovarne i colpevoli, solo se i suoi consulenti hanno lavorato essi stessi con la mente sgombra da pregiudizi. Quindi le risposte non possono venire solo con l’ausilio della scienza o della tecnologia (come ci fa credere C.S.I.), è sempre la capacità di analisi di tutti coloro che intervengono sul luogo del crimine, la consapevolezza che se non ci si pongono tutte le possibili domande, se non si prendono in considerazione tutte le ipotesi, non si può giungere alla verità di ciò che è accaduto. Il magistrato, che ricorda Musti interviene all’inizio dell’indagine coordinando la polizia giudiziaria, tira le fila del lavoro compiuto e rappresenta un’ipotesi di accusa al giudice, traduce quindi in veste giuridica i dati tecnici che vengono dati da chi lo coadiuva e formula, “la sua verità”. Sarà compito del giudice valutare l’attività svolta da polizia giudiziaria e magistrato e decidere se confermare l’accusa o assolvere l’imputato. Alle fine dei tre gradi di giudizio si avrà la verità processuale.

Barbieri spiega che è un rischio confidare  nell’equazione realtà-verità. E’ quindi controproducente per il magistrato come per il poliziotto credere nell’esistenza di una oggettivazione della realtà. La verità dipende sempre dall’osservatore e dal modo in cui sceglie cosa osservare. E’ inevitabile. Questa scelta va a strutturare la sua realtà. Il compito dello psicologo della polizia, è quello di insegnare a chi interviene in uno scenario di forte impatto emotivo (una scena del crimine cruenta, per esempio) a non avere un disturbo dissociativo che lo porta a rifiutare la realtà che si trova di fronte.

Matrone chiarisce anche quanto sia importante come vengono poste le domande ai testimoni, le risposte non devono essere in qualche maniera suggerite, anche se involontariamente.

La psicologia della testimonianza è d’altra parte molto attiva e si occupa di evitare qualsiasi inquinamento nella memoria del teste che viene ascoltato. Musti, infatti, asserisce l’importanza di registrare l’esame (termine giuridico dell’interrogatorio) dell’imputato per evitare scorrette interpretazioni di ciò che dichiara.

La sintesi dell’incontro è dunque che verità processuale e verità sostanziale possono non coincidere ma, come spiega Bernardi, questo ciclo di conferenze vuole mostrare il percorso di conoscenza per arrivare al termine di un’indagine.

Gli strumenti investigativi sono quindi un mezzo e non un fine, l’essenziale è riuscire a riunire tutti i tasselli e dare una visione di insieme a tutte queste trame, molto spesso inestricabili. Il concetto che deve passare è di tipo olistico, l’investigatore deve mantenere una visione allargata di ciò che ha di fronte, sapere che il suo non è l’unico punto di vista ma solo un contributo che dà.