Distribuito in Italia quasi in contemporanea con Surveillance (2008), Chained è un’ulteriore prova della ritrovata freschezza artistica di Jennifer Chambers Lynch - figlia del celebre regista David - che dopo il discutissimo e controverso Boxing Helena (1993) - un’opera non così deludente come molti amano definire ma sicuramente un flop al botteghino - è stata costretta ad abbandonare il cinema.

Tornata in grande stile dopo quindici anni con il citato Surveillance, sorprendente ma sicuramente “figlio” della visione lynchiana del padre regista, quest’anno la regista - che nel frattempo sta vincendo in rapida sequenza tutti quei premi che non ha raccolto negli anni precedenti - si affida ad una sceneggiatura scritta da Damian O’Donnell, esperto di business arrivato al cinema quasi per caso, ma che ora vuole continuare a scrivere soggetti.

Il risultato è questo film spietato, durissimo e nerissimo.

Bob (interpretato da un Vincent D’Onofrio larger than life, finalmente libero dagli opprimenti sterotipi di Criminal Intent) è un taxista che approfitta di clienti sole per portarsele nella sua casa sperduta in campagna. Non è ben chiaro cosa faccia loro esattamente, ma il risultato è sempre lo stesso: la morte.

Un giorno carica madre e figlio e ricomincia il “gioco”. Ma dopo aver ucciso la madre, decide di tenere con sé il bambino - che chiama semplicemente Rabbit (Coniglio nell’edizione italiana) - perché tenga pulita la casa e, per evitare che tenti la fuga, lo tiene incatenato (chained, da cui il titolo).

Passano gli anni e Rabbit cresce. Bob instaura con lui un insano e malato rapporto padre-figlio, e arriva alla fatale decisione: anche suo figlio deve intraprendere la “carriera” paterna...

Chained è un film che fa del basso budget la sua grande forza: non ha bisogno di lanciarsi in scene roboanti né di descrivere ignominiose torture. Quello che succede è secco e inesorabile: sta allo spettatore immaginare cosa sia accaduto, e questo è molto peggio di qualsiasi effetto speciale.

D’Onofrio ha finalmente l’occasione di dimostrare ancora la tua titanica bravura, dando vita ad un’interpretazione credibile e soprattutto fisica, troneggiando sul povero Rabbit e tenendolo soggiogato psicologicamente.

La Lynch dirige un film asciutto che però colpisce, e colpisce duro. Non c’è spazio per buonismi o manierismi, è una storia nera come la notte e assolutamente plausibile nella sua folle pazzia.

Un film da non lasciarsi sfuggire.

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Trailer originale