A James Bond 007 tutta la moderna narrativa di spionaggio e azione è in qualche modo debitrice. Omaggi, ispirazioni, spunti anche inconsapevoli emergono un po’ dovunque nei romanzi che hanno fatto la storia del filone ma dopo Fleming il cinema ha modificato il personaggio ispirando anche gli autori delle avventure apocrife quali Gardner, Benson,  Markham e Wood, capaci di coglierne lo spirito in appassionanti apocrifi.

“Mentre si annodava il sottile cravattino di seta nera, James Bond si fermò un attimo per osservarsi allo specchio. Gli occhi grigio azzurri lo fissavano calmi e interrogativi con una sfumatura di ironia e il ciuffo di capelli neri, che non voleva mai stare a po­sto, scendeva come una grossa virgola sul sopracciglio destro. La sottile cicatrice che gli solcava la guancia dall'alto al basso confe­riva alla fisionomia un'aria leggermente canagliesca.” Così si presentava al lettore il più famoso agente segreto del mondo, mo­dello di comportamento maschile e oggetto di desideri femminili per più di una generazione. Era il 1953 e Ian Lancaster Fleming, giornalista inglese piuttosto snob, collaboratore per un breve pe­riodo del Foreign Office, di sicuro non immaginava che il prota­gonista di Casinò Royal (che in Italia fu pubblicato per la prima volta nella collana I romanzi del Corriere a 100 lire con il titolo La benda nera) sarebbe diventato uno dei miti più longe­vi di questo secolo. Da quel momento James Bond, agente segre­to inglese fornito della famosa licenza di uccidere, ha fatto una straordinaria carriera, sopravvivendo anche alla ben nota sindro­me che costringe l'autore a uccidere il proprio personaggio diven­tato troppo ingombrante, una sorte toccata prima di lui anche a un altro grande protagonista della letteratura poliziesca inglese, Sherlock Holmes.       

In realtà il miracolo più stupefacente James Bond 007 lo ha compiuto non solo sfuggendo alla punta avvelenata delle scarpe di Rosa Klebb nel finale del romanzo Dalla Russia con amore (1957), ma sconfiggendo il tempo: è arrivato infatti al 2000 ancora scattante, pronto a sedurre la bella di turno quanto a sgominare truci spie e terroristi internazionali. Un risultato che sorprenderebbe anche lo stesso Fleming (morto nel '65) che ha sempre dichiarato di narrare vicende “improbabili ma non impos­sibili". Ma James era già sfuggito al suo creatore diventando non uno, ma molti diversi Bond, riflessi di una fantastica stanza degli specchi capace di rinnovarsi continuamente.

Cosa è rimasto dell'avventuriero tenebroso, romantico in quel suo modo rude, solitario e tenacemente legato a un ideale di “vita spericolata” più anarcoide di quello che i suoi detrattori (molti e impotenti di fronte al suo successo!) si siano mai curati di com­prendere?

Poco in realtà, anche se è innegabile che lo “stile Bond” sia ri­masto un marchio distintivo inconfondibile.

La longevità nell'Im­maginario Collettivo si paga con un pesante tributo al trascorrere delle mode, dei modelli e, naturalmente alle mutate condizioni politiche.

Bond nasce come eroe della Guerra fredda ma passa inossidabile attraverso il '68, la Distensione, il terrorismo e, da ul­timo, il crollo dei regimi socialisti. Il camaleontismo, più della li­cenza di uccidere, insomma, gli ha permesso di impersonare nei decenni tra i Cinquanta e i Novanta vari modelli di eroe attraverso la narrativa, il cinema e i fumetti.

Nei romanzi e nelle due raccolte di racconti scritte da Fleming tra il ’53 e il ’65, James Bond appare soprattutto come un figlio della scuola Hard Boiled americana – quella del Marlowe di Chandler per intenderci – riveduto e corretto da un bonvivant britannico, un uomo che, per la verità, non aveva mai avuto bisogno di lavorare e per questi si poteva permettere una vita da seduttore, da giocatore infaticabile, playboy e, in qualche occasione di affrontare il mondo dello spionaggio, magari senza troppo lasciarsi coinvolgere, come un hobby insomma. Nella sua villa in Giamaica, circondato da un panorama idilliaco e senza dubbio sorbendosi il celebre “vodka martini agitato e non mescolato” Fleming diede vita a un personaggio che rispecchiava il suo ideale di vita, in fin dei conti anarchico e un po’ snob, con fantasie intrecciate a eventi reali. Insomma anche lui, con il suo personaggio, creava un mondo, un set per l’intera serie. Forse non pensava di stabilire dei canoni che molti avrebbero imitato ma le belle donne, le case da gioco, la sfida con il nemico - quasi sempre uno straniero, affascinante ma un po’ deforme – vissuta come un evento sportivo stavano diventando più importanti delle trame. Queste erano destinate a invecchiare con il tempo. I suoi diabolici nemici, la tecnologia spesso inventata, il fascino dell’azzardo invece sarebbero rimasti, fedeli compagni di ogni altro agente segreto. E soprattutto Bond era un eroe solo, più cupo che nelle versioni cinematografiche che seguirono, aveva un suo codice d’onore, una certa riluttanza a considerarsi servo del potere anche se, alla fine rimane sempre un agente al servizio di Sua Maestà. Di sicuro l'immagine più conosciuta di James Bond non è quel­la letteraria ma quella di celluloide. Il grande successo, anche per i romanzi di Fleming, arriva con il film Dr. No (1962, distribuito in Italia con il titolo Licenza di uccidere). In realtà, all'inizio, Fleming non amava molto Sean Connery, culturista scozzese piuttosto lontano dal personaggio dei romanzi, così come non aveva molto gradito Barry Nelson, il primo Bond dello schermo, protagonista del telefilm Casinò Royal. Eppure Connery è rima­sto, e a ragione, il James Bond cinematografico per eccellenza, tanto da costringere l'attore a ritornare al personaggio per ben due volte, dopo averlo abbandonato perché troppo soffocante. Sebbene il Connery/Bond di Diamonds Are Forever (1971, Una cascata di diamanti) e di Never Say Never Again (1983, Mai dire mai) sia imbolsito e quasi calvo, il pubblico ha sempre premiato l'immagine proposta dall'attore scozzese. Nella sua avventura ciematografica, contraddistinta da una straordinaria serie di suc­cessi al botteghino, Bond ha cambiato spesso volto, stravolgendo più volte la sua iniziale fisionomia pur senza tradirla mai fino in fondo.

Di fatto il Bond cinematografico è più spaccone, più “gla­mour" e inverosimile di quello letterario. Delle sfumature “noir” dei romanzi di Fleming poco rimane nelle riduzioni cinematografiche tutte tese a sfruttare alta tecnologia, spettacolarità, belle donne e ritmo serrato, elemento questo piuttosto raro nei romanzi originali. Forse solo George Lazenby, attore australiano disprez­zatissimo ai tempi ma sicuramente con qualche qualità, riuscì a riproporre l'atmosfera nera di On Her Majesty's Secret Service (1969, Al servizio segreto di Sua Maestà), film anomalo per temi e ritmi rispetto al resto della serie. D'altro canto lo stesso Connery aveva notevolmente mitigato i to­ni violenti del Bond letterario, peraltro presenti anche nel già cita­to Dr. No. Se nel primo episodio Bond uccideva a sangue freddo i suoi avversari (come anche succedeva nei romanzi di Fleming), nei successivi film l'agente segreto di Sua Maestà preferiva giocare d'astuzia, sostituendo alla violenza l'ironia, un trucco che guada­gnò al serial un più ampia consenso di pubblico. Il Bond cinema­tografico, infatti, propone una miscela di sesso e violenza “forma­to famiglia", sfumando laddove il Nostro si trovava  tra le lenzuo­la o impegnato in combattimenti all'ultimo sangue. Siamo molto lontani dal sesso hard-core e dalle torture che si ritrovano tra le pagine di SAS...

Allo stesso modo il razzismo e la visione politica ultraconserva­trice di Fleming impallidiscono nella versione cinematografica che alla rigida contrapposizione est/ovest preferisce sostituire la lotta contro organizzazioni criminali e pazzi con manie di grandezza. Un altro “trucco” per non irritare una potenziale fetta di pubblico. Tramontata l’Era Connery viene, per l'agente 007 di celluloide, il momento di premere sul pedale dell'ironia. Se ne in­carica Roger Moore, attore inglese dal viso  simpatico, reduce da una serie di ruoli brillanti e virtualmente “simili”, dal  Santo ad Attenti a quei due.

Il Bond di Roger Moore, in pratica, è una fotocopia dei perso­naggi precedentemente interpretati. Brillante, spiritoso, duro all’occasione ma sempre pronto a strizzare l'occhio allo spettatore, il nuovo 007 riesce, nonostante le perplessità di molti fan, ad assicurarsi un successo duraturo. Certo, in alcuni casi l'ironia si fa greve rasentando la farsaccia (ricordate la sequenza di Octopussy in cui Bond attraversa un fiume su un minisottomarino camuffato da coccodrillo?), ma il marchio originale del personaggio rimane, seppur modificato. Di certo la versione proposta da Moore è più soddisfacente dell’ignobile pochade di Casinò Royal (1967), epi­sodio “fuori serie” dove il Nostro è interpretato da quattro attori diversi.

Timothy Dalton, chiamato a sostituire Moore per raggiunti li­miti di età, tenta un rinnovamento del personaggio in due episodi neppure troppo malvagi (The Living Daylights, 1987, in Italia Zona Pericolo e License To Kill, 1989, Vendetta privata), ma privi della “verve” originaria. In realtà il Bond di Dalton è troppo serioso, perfino sdolcinato e poco virile rispetto ai modelli prece­denti per piacere al grande pubblico. Delle sorti cinematografiche di 007 si è fatto un gran parlare in tempi recenti, qualcuno ha per­fino auspicato un cambiamento di sesso... per un certo periodo infatti si è pensato a una versione femminile interpretata da Sha­ron Stone! La serie, interrotta per diversi anni, ha trovato un nuovo volto, quello di Pierce Brosnan già protagonista di spy-stories cinematografiche (Il Quarto protocollo) e televisive (Mai dire sì).

Nei quattro film interpretati da Brosnan (da Goldeneye a La morte può attendere che segna il quarantennale della serie) l’attore ha indurito il suo aspetto, acquisito una maggior sicurezza del ruolo e sicuramente ridato carica al filone.

Purtroppo l’11 settembre e la mutata situazione politica hanno reso alcuni dei canoni cinematografici della serie obsoleti. Se negli anni ’60 un Bond era sempre in anticipo per ritmo e trovate sugli altri film d’azione, oggi si riduce a ripetere vecchi modelli (il palazzone di ghiaccio della Morte può attendere è veramente fuori tempo massimo) o a scimmiottare altri eroi attingendo  dal cinema orientale (Il domani non muore mai), superato in spettacolarità anche da remake di vecchie serie  tv come è successo nel caso di Mission Impossible 2 diretto da John Woo.

Ma l'immagine di Bond, per quanto codificata e consolidata dalla versione cinematografica, non si limita al grande schermo.

Il fumetto non ha mai amato eccessivamente il genere della spy-story, riservando forse solo a Bond il privilegio di raccogliere successi di pubblico e critica.

La prima versione a fumetti delle avventure di 007 appare sul London Daily Express e propone un'immagine molto fedele a quella dei romanzi. Il Bond disegnato da John McLusky su testi di Harry Gammidge è cupo e violento, il taglio delle storie piutto­sto lapidario, una riduzione non malvagia ma neppure appassio­nante dei romanzi originali. Quando nel 1964 la mano passa al duo Lawrence e Horak il personaggio acquista una fisionomia più definita, rimanendo comunque più aderente al modello lette­rario che alla versione cinematografica. Con il passare del tempo però le avventure si distaccano sempre più dalla "formula Bond" esasperando il lato fantascientifico con risultati non sempre positi­vi. Per trovare nelle pagine dei fumetti una versione convincente di James Bond dobbiamo aspettare gli anni Novanta quando la Dark Horse, casa editrice americana specializzata in riduzioni a fumetti di eroi cinematografici, realizza una serie affidata di volta in volta ad autori diversi, Tra questi spicca il duo Doug Moench e Paul Gulacy, rispettivamente sceneggiatore e disegnatore, dei Denti del serpente (pubblicato in Italia sulla rivista  Hyperion), una delle più riuscite interpretazioni a fumetti del Nostro eroe. I denti del serpente cattura tutti gli elementi del Bond cinematografico (esotismo, spettacolarità, belle donne e azioni mozza fiato) coniu­gandoli con un’immagine del protagonista aderente al modello letterario. 

E la narrativa?                             

Con la morte di Fleming il personaggio sarebbe dovuto virtual­mente scomparire dalle pagine  dei romanzi ma la tentazione di dar vita a nuove avventure dell'inossidabile 007 ha colpito più di uno scrittore.

Un posto d'onore merita di certo John Markham (pseudonimo di Kinsley Amis) con il  suo Il colonnello Sun (1968), romanzo d'azione ambientato nelle isole Cicladi.

Il Bond di Markham è forse il più fedele alla tradizione di Fleming  e  anche la costruzio­ne della vicenda ricalca la formula originaria riservando particolare attenzione alla figura del cattivo di turno (un cinese molto si­mile al Dottor No).

Sulla scia del rinnovato successo cinematografico  portato da Bond/Moore, lo sceneggiatore Christopher Wood si cimenta in due novelization di buon livello (La spia che mi amava, 1977 e Moonraker, 1979, entrambi pubblicati in Italia in un numero speciale di Supersegretissimo).

In questi romanzi James Bond è chiaramente l'immagine speculare dell'agente se­greto di celluloide con i suoi gadget, l'ironia e il susseguirsi frene­tico degli inseguimenti, ad alta quota. 

Arriviamo così al 1982 quando la Glidrose, casa editrice che detiene i diritti letterari del personaggio, affida  a John Gardner la prosecuzione della serie.

Gardner, scrittore prolifico sin dagli anni Sessanta e non nuovo ad operazioni di “ripescaggio” letterario, s'innamora subito del personaggio regalandogli una nuova giovinezza. Rinnovo di Licenza (1982) è solo il primo episodio di una nuova era nella quale il personaggio si ridefinisce, adattandosi ai tempi senza tradire la matrice originaria. Di sicuro Fleming aveva una scrittura più solida, da romanziere vero, ma è innegabile che molti dei suoi libri presentavano lungaggini e una struttura estremamente prevedibile. Gardner è, se vogliamo, più artigiano ma allo stesso tempo più abile nel costruire l'intrec­cio catturando alcune suggestioni della serie cinematografica sen­za mai dimenticare che il romanzo ha ritmi differenti dal film. Ne esce il James Bond protagonista di una lunga serie, piuttosto ben riuscita agli inizi, inevitabilmente segnata dalla mancanza di entusiasmo nelle ultime prove. Di tutta la produzione di Gardner  mi piace ricordare i due romanzi che raccolsi per un’antologia di Supersegretissimo, Operazione Invincible e Operazione Scorpius.  Ritroviamo qui Bond descritto come un uomo maturo ma ancora vibrante di appetiti giovanili, pronto a gettarsi nell'avventura a capofitto come sempre.

I nemici sono un curioso mélange dei cattivi della tradizione e i nuovi vil­lain imposti dalle ultime mode cinematografiche.

Vladimir Scor­pius potrebbe ben figu­rare assieme a Goldfinger e a Mister Big. E' un cattivo a tutto ton­do, megalomane e spietato come vuole la tradizione. Il Serpente, il Gatto e la Vipera, i terroristi di Operazione In­vincible (dal magnifico titolo originale Win, Lose or Die) assomigliano più ai cattivi del­la serie Die Hard interpretata da Bruce Willis.

È un mondo molto vicino alla nostra realtà politica, quello do­ve si muove il nuovo Bond. La distensione è ormai diventata una realtà e il pericolo maggiore è rappresentato da multinazionali del crimine e del terrorismo, soprattutto mediorientale. Quanto a Bond, lo hanno privato (almeno ufficialmente) della licenza di uccidere ma, travolto da una girandola di avventure mozzafiato, riesce sempre a trovare il modo di far prevalere le sue doti di sem­pre: coraggio, decisione e spregiudicata capacità di cavarsela in ogni situazione. Con il rilancio della serie cinematografica e la nuova immagine fornita da Brosnan cambia anche l’autore ufficiale dei romanzi apocrifi. Raymond Benson, curatore di un Club di James Bond e autore di un ottimo compendio sull’argomento oltre che narratore noir (pubblicato in questa veste dall’editore italiano Alacrán) si assume l’impegno con entusiasmo dedicandosi alla scrittura di romanzi originali e delle novelization dei film alle quali sa sempre infondere il suo tocco personale. Probabilmente il suo miglior romanzo è Tempo di uccidere (pubblicato su Segretissimo e che ho avuto il piacere di tradurre dividendo l’onere, una volta tanto con Andrea Carlo Cappi, massimo bondologo italiano) ma nella sua saga ritroviamo personaggi noti, quali un indimenticabile Marc Ange Draco e nuovi avversari, prima tra tutti l’Unione, una versione moderna della Spectre.

Con il quarantennale cinematografico (casualmente coincidente con il cinquantennale letterario) del personaggio sorgono nuovi problemi.

Brosnan ha esaurito il suo contratto e ancora non si sa chi sarà il prossimo Bond. Gli eredi di Fleming si concentrano sulla riproposta nella prestigiosa edizione Penguin dei romanzi originali, così mettono fine a ogni possibilità di realizzare apocrifi.

 

In Italia le edizioni della saga di Bond nelle sue varie fasi sono passate per vari editori, approdando infine a una collezione letteraria, la Guanda, che ne ripropone nuove traduzioni (era ora!) ma con uno spirito lontano dal gusto “popolare” che per anni ha attirato i lettori. Quelli come me, almeno. Ma James Bond 007 rimane una pietra miliare del filone, un vulcano di sensazioni e spunti che nessuno scrittore d’avventura può permettersi di ignorare.