Come vivono i morti è il terzo capitolo della serie della Factory, scritta da Derek Raymond (all’anagrafe Robert William Arthur Cook, classe 1931, scomparso nel 1994) a partire degli anni ottanta. Protagonista il sergente senza nome, agente della A14, sezione Delitti Irrisolti, un personaggio che è degno erede di Sam Spade e di tutti i suoi epigoni. Uno che va dritto per la sua strada. Non mettevi mai in mezzo, potrebbe farsi una cravatta con le vostre budella. Il sergente senza nome è emanazione diretta del suo creatore: ha però una straordinaria capacità di penetrare l’animo umano e va sempre oltre le procedure (che sono, nel caso di Raymond, quelle che regolano il noir classico).

A Thornhill, appena fuori Londra, vive Madame Mardy, straordinaria donna dalla voce di usignolo, giunta dalla Francia a seguito del marito, in una campagna inglese che ha poco da spartire con la nobiltà di austeniana memoria ma che è provincia abbandonata al suo destino postindustriale farcito di pub degradati, giovani senza futuro e criminali di basso cabotaggio. Madame Mardy scompare nel nulla, ammantata dall’indifferenza e dall’omertà degli autoctoni, compresi gli agenti di polizia. Il sergente senza nome, armato di un’ascia bipenne fatta di cazzotti e compassione, arriverà in fondo al mistero, scoperchiando tutte le tombe che gli si pareranno davanti.

Senza il timore si esagerare, si può affermare che Thornhill sta all’hard boiled come l’Antologia di Spoon River sta alla poesia. A ben pensarci, Come vivono i morti sarebbe stato un bel titolo per la celeberrima opera di Edgar Lee Masters. Nella campagna londinese parlano i morti di Raymond, con l’unica differenza che non tutti stanno sottoterra e parecchi ancora non hanno smesso di respirare.