Cavallo di Ferro è una casa editrice senza dubbio benemerita nel proporre in Italia autori, conosciuti o meno, dell’area lusofona, specie quando le sue investigazioni letterarie sconfinano nei territori, a noi cari, del noir. Ma per un Pessoa d’annata riscoperto proprio quest’anno, c’è stato nel recente passato un Luis Miguel Rocha di cui già abbiamo avuto modo, su queste colonne, di denunciare le efferatezze narrative, degne del peggior Dan Brown.

Viceversa la prima avventura dell’investigatore privato Remo Bellini – creatura dello scrittore e musicista brasiliano Tony Bellotto – si colloca invece in una posizione mediana, più interessante in realtà per quel che promette che per quel che mantiene. L’autore sembra infatti continuamente oscillare nella scelta del taglio da dare al romanzo e così rischia di scontentare sia appassionati del genere sia i lettori “generalisti” più interessati al quadro d’insieme.

Prendiamo ad esempio l’ambientazione geo-sociale: l’azione si svolge – nel caldissimo gennaio dell’altro emisfero – in una San Paolo caotica, inquinata, multietnica, dalle spaventose disuguaglianze sociali e dalle molteplici infiltrazioni della criminalità comune e organizzata; ma l’analisi socio-economica della comunità paulista rimane un po’ troppo sullo sfondo senza condizionare sensibilmente l’intreccio: ad esempio il boss della mafia cinese locale, l’ineffabile signor Wang, esce ben presto di scena e il melting pot alla brasiliana – si pensi a Tati, una giapponesina che riserva più d’una sorpresa, o al suo “amico” Massao – sembra messo lì più a far colore che a risvegliare coscienze sopite.

Anche l’agenzia investigativa Lobo sembra oscillare tra un’imitazione filologica (la coppia costituita dalla sessantenne Dora Lobo e dal quarantenne Remo Bellini ricorda fin troppo da vicino quella formata da Bertha Cool e Donald Lam e creata dal compianto A.A.Fair, alias Erle Stanley Gardner) e una insistita volontà parodistica (a cominciare dal rapporto – sfortunatissimo – con le donne di questo dongiovanni stropicciato dalla vita e dal trascorrere inesorabile degli anni).

Il detective, appunto: italo-brasiliano come l’autore (Bellini-Bellotto, che originalità!), con una mamma – Lívia – di invadenza assai mediterranea; di nome Remo e con un fratello gemello (Rómulo!), morto pochi giorni dopo il parto; con un complesso di Edipo galoppante che lo rende succube via via dei voleri del “capo”, della disinibita e ultramatura Silvana o della dominatrice e ultrasposata Cris. E poi: divorziato dopo due anni di matrimonio, patito del blues, afflitto dalla caduta precoce dei capelli, fastidiosamente esplicito riguardo alle sue non troppo esaltanti performance sessuali. E anche qui l’autore sembra indeciso se spingere il pedale dell’ironia e dell’autoironia – la vicenda viene narrata in prima persona dal protagonista – o se rispettare religiosamente tutti i canoni della storia di un duro  private eye che si rispetti.

Così la vicenda criminosa che vede la morte del rispettabilissimo avvocato Arlindo Galvet durante l’affollatissima maratona di San Silvestro non prende il lettore alla gola come dovrebbe: e anche i suoi misteriosi ed eterodossi hobby, dallo spiritismo alla collezione di articoli di giornale su bimbi scomparsi, sembrano, per tre quarti del romanzo, assai pittoreschi e lievemente incongrui con lo svolgimento dello stesso; ed è solo l’improvvisa – e drammatica – accelerazione finale, a richiamare autore, protagonista e lettore al rigore di un intreccio hard boiled.

Si ha insomma l’impressione che Bellotto sia caduto nello stesso errore che appesantisce le scelte delle nuove generazioni di scrittori noir: da un lato ci sono i mostri sacri da rispettare e un pubblico, educato appunto su quei classici intramontabili, da vellicare per promuovere le vendite; dall’altro c’è la volontà di distinguersi, di apparire moderni ed eterodossi, di strizzare perennemente l’occhio al lettore avvertito e internazionale a cui il rispetto del sacro canone va sempre troppo stretto.

In tal modo questo romanzo risulta fastidiosamente ambiguo, sospeso tra la voglia di compromesso – che lo ha sdoganato presso il grosso pubblico e la tv – e le velleità letterarie che ne hanno consentito, ad esempio, la traduzione in paesi come l’Italia.

Non ci resta che assolvere Bellini e gli spiriti con una formula ricca di dubbi e attendere l’arrivo di una sua nuova avventura che ci permetta di sciogliere le riserve che abbiamo appena esaminato.

Voto: 6 (per incoraggiamento)