Un Luca Giudici appassionato ha presentato in Alessandria, alla Libreria Fissore, il 29 novembre, le opere prime di Marilù Oliva e Paola Ronco, Repetita e Corpi estranei, romanzi corposi, sia per sviluppo che per contenuto ed intenti, che ho qui tra le mani e sfoglio. Una lunga ed accurata indagine, un lungo lavoro di documentazione ha accompagnato Oliva a delineare nei dettagli una figura controversa, carnefice estremo ed altrettanto terminale vittima di un processo morboso che assale sé stesso negli altri, proprio quel genere di paure che distoglie la gente dalle calamità, per dirla con l’autrice o forse quel tipo di calamità che libera l’uomo dal guardarsi dentro con paura. Basta cambiare di posto alle tessere di un puzzle ed il killer non esiste più, sostiene Angelo Marenzana, nel suo intervento e ciò crea un attimo di sgomento nel pur robusto e scafato navigatore del noir, Danilo Arona. La donna icona ed insieme oggetto da distruggere: la dottoressa Malaspina ed il suo vademecum per cefalici, così attento, minimalista e corretto, per uno che vuole oggetti con lunghi capelli da spargere sul cuscino e che reggano la malizia del desiderio, per quanto perverso sia. E viene da pensare che la vittima senta odor di lupo e che pur non rinunci ad accucciarsi ai suoi piedi, nell’orrido svelarsi d’un destino annunciato per rapporti determinati da causa ed effetto, ognuna con la sua colpa da espiare, più chiara all’omicida che all’uccisa. Nella donna, tranne qualcuna che n’è priva come della pelle, il senso di colpa offre la gola nuda all’Io maschile che confonde l’eros con la morte.

Il killer è maschio ed è ancora in libertà, in un muto passaggio continuo di testimone.

Altra atmosfera, da squilionesimo giorno di lavoro del cazzo, in Corpi estranei. Speranze, poche. Masticate in lapidarie parole: le libertà non sono date, si prendono.

 

La libertà non è una profferta amorosa, infatti: o è un diritto o una conquista. Se la vita è tuttavia una stentata arrampicata al centro dell’accettazione di sé non c’è tempo per la libertà se non rubandola alla negazione ed al rifiuto altrui se non si è in bagno, a vomitare. I motivi? Sarebbero forse elencabili alla voce futili, e invece sono belli, forti, importanti o da chiedere alle panettiere, che sanno sempre tutto, tutto tranne la fatica intrinseca di vivere.

 

Arona accenna al G8, ad un mondo giovanile attento alla deflagrazione in atto di una povera vita. Chi ha fatto il Sessantotto insegna, e forse ha letto soltanto Tiramolla, dice Ronco. Inquietudine individuale, collettiva, transgenerazionale. E via. Nessuna concessione al giovanilismo, anche sei in un romanzo (dolorosamente) giovane.

Mi stringo le spalle: è vero, è una vita picchiettata di pioggia, anche per un cocciuto agente Cabras, non parliamo poi di chi morrà di tavernello. Ironia cupa, scura. Senza replica.

Forse.

La scrittura delle donne è severa. Non cede a malizie, è veritiera e la voce d’Ombretta Zaglio, che recita, è più volte rotta. Di rabbia. Per il pianto, qui, non c’è posto.

Un duplice delitto è stato commesso ad Alessandria: l’amorevolezza non è un dono, non si cristallizza attorno alla figura, quasi universalmente. C’è anche un luminoso buio, in cui s’addentrano due scrittrici armate di bisturi, impietose anatomopatologhe della realtà.