È impossibile racchiudere in poche righe di presentazione un’esaustiva panoramica di Stefano Di Marino, scrittore e saggista, ma anche fotografo e atleta, e molto altro ancora. Non si può che accennarne brevemente. Ha pubblicato romanzi, racconti, saggi e guide per molte case editrici sin dalla fine degli anni Ottanta, alternando il proprio nome a pseudonimi come Stephen Gunn, Xavier LeNormand, Frederick Kaman e tanti altri. Grande esponente dello spy action italiano, ha scritto anche in altri generi, dalla fantascienza al fantasy, dall’horror al western. Per saperne di più, si rimanda alla sua scheda Wikipedia: it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Di_Marino

 

Sei un appassionato di arti marziali “vere” ma anche grande estimatore di film di arti marziali: quale di queste due tue passioni è nata prima?

È cominciato tutto con la lettura dei romanzi salgariani del ciclo di Mompracem che iniziai a divorare a otto-nove anni. Da lì scaturì la passione per l’esotismo, l’Oriente. A undici anni mi iscrissi a un corso di Judo che era l’unica disciplina disponibile sul mercato e poi tutto si è un po’ confuso, viaggi, fotografia, cultura marziale, orientale, spy story, cinema... alla fine sono rimasto, piacevolmente, prigioniero del mio sogno.

Sii sincero: durante i tuoi allenamenti in palestra hai mai pensato di emulare qualche divo marziale del grande schermo, di tirare tecniche come lui?

Sinceramente no. Negli anni più roventi della pratica — che vanno dai primi ’80 alla metà dei ’90 — avevo idoli del circuito della Kickboxing “vera”: Fred Royers, Rob Kaman, Roger Paschy, Ramon Dekker che avevo conosciuto personalmente. Anche perché la Kick praticata è in effetti diversa da quella che si vede al cinema. Però è anche vero che mi piacevano moltissimo le cose che vedevo sul grande schermo. A volte cercavo di riportarle sulla pagina. Qui si apre però un’altra questione. Per quanto uno sia abile, un narratore non potrà mai trasferire nel racconto scritto l’emozione di un’immagine filmata. E poi c’è una questione di realismo. Per cui nei miei romanzi ho sempre adottato una via di mezzo mescolando qualche coreografia spettacolare con una descrizione degli scontri corpo a corpo più vicina a scuole come il Kravmaga o il Kali che sono poco spettacolari e molto efficaci.

Pensi che un attore debba necessariamente avere buone conoscenze marziali per rendere al meglio in un film?

Sarei tentato di dire di sì, ma il lavoro con i cavi e gli effetti speciali nonché l’uso di stunt permettono anche ad atleti di media levatura di apparire credibili. Ti faccio un esempio. In Charlie’s Angels Cameron Diaz calcia benissimo però sappiamo che è tutto un lavoro di cavi.

Del Resto Wang Yu era un nuotatore e Ti Lung aveva frequentato i corsi della Shaw Brothers per 6 mesi. Pensa, che sono sempre stato convinto che Wesley Snipes (che è un vero artista marziale) eseguisse le sue scene da solo mentre in un extra di uno dei Blade viene detto chiaramente che usa dei double. Anche il famoso calcio laterale di Bruce Lee su O’Hara ne I Tre dell’operazione Drago è eseguito da Yuen Wah... In compenso Don “The Dragon” Wilson, che ho conosciuto ed è stato un formidabile combattente sul ring, calciava maluccio con il busto tutto verso terra e sulla scena non era granché. Jean-Claude Van Damme è essenzialmente un ballerino ed esegue movimenti perfetti, Gary Daniels è un ottimo performer... insomma credo che tutto sia affidato veramente al maestro d’armi. Giusto per fare due nomi di veri esperti, Liu Chia Lueng e Donnie Yen sono personaggi veramente in grado di montare sequenze marziali eccezionali. Lo stesso dicasi per Benny “The Jet” Urquidez che era tracagnotto e sinceramente non molto spettacolare sul ring (ma combattente ferocissimo e ottimo istruttore, lo dico per esperienza diretta) fu anche ottimo coreografo nei film.

Nei tuoi romanzi e racconti usi spesso personaggi esperti in varie arti marziali: ti è capitato di pensare a veri attori marziali come modelli?

Sì, spesso. Ricordo che Shen Tao Kan de Il sogno della tigre (1996, Segretissimo n. 1302) era chiaramente Steven Seagal (magro però...) e molti avversari del Professionista sono spesso attori marziali. Raven che troviamo nell’Ombra del Corvo (Sperling&Kupfer 1997), Sole di fuoco (TEA 2007) e Campi di morte (2009, Segretissimo n. 1555) l’avevo immaginato come Brandon Lee visto in Laser Mission poi è diventato Mark Dacascos invecchiato. Ed Ermelinda o meglio Linda presente da Pista cieca (Mondadori 1993) e L’Ombra del Corvo sino a Ora zero (Nord 2005) e Sole di fuoco è ispirata a una mia amica “molto cara” anche se non la vedo da almeno vent’anni. Ermelinda Fernandez che fu campionessa di Savate e Kickboxing professionista. Vinse contro Valerie Henin e Bettina Volker (a Milano, nel 1994). Una ragazza eccezionale, non solo come atleta...

Il tuo personaggio più longevo, il Professionista, si chiama Chance Renard: c'è qualche riferimento al Chance Boudreaux interpretato da Jean-Claude Van Damme nel film “Senza tregua”?

Sicuramente sì... è uno dei motivi ispiratori del nome soltanto, però. Come ho già accennato in diverse altre interviste l’immagine era quella di Tom Berenger e i riferimenti letterari spaziavano un po’ dallo Sconosciuto a Ulisse Ursini di Giorgio Scerbanenco.

Hai scritto due saggi sul cinema di arti marziali: pensi di aver esaurito l'argomento o c'è ancora materiale su cui lavorare?

No, né sotto il profilo narrativo né quello saggistico. Mi piacerebbe scrivere un aggiornamento di Dragons Forever con tutto ciò che è uscito in questi ultimi anni e che ha cambiato realmente la percezione del film marziale nel mondo e una storia delle discipline da combattimento in Oriente e Occidente. Ho tutto il materiale pronto ma sono lavori lunghi e senza un editore che ti copra almeno le spese... poi ho un progetto di riscrivere a modo mio Le storie fantastiche del Libro di Liahozu e riprendere il personaggio di Lama Tagliente de Il sentiero dei mille sospiri (pubblicato su Millemondi Urania 1999) per farne una serie a metà tra i racconti marziali, il cyberpunk asiatico e Push...

Pensi che il crollo della distribuzione italiana di film di arti marziali sia dovuto all'alto numero di prodotti di pessima qualità importati, ad una mancata risposta del pubblico o a qualcos'altro?

Credo che in Italia si vada molto a “mode”. Negli anni ’80-’90 le palestre erano piene di gente che voleva diventare Van Damme in due lezioni, la TV proponeva molti film americani (che oggi sono quasi scomparsi) e che erano i più facili da... capire per il pubblico medio italiano. Il prodotto orientale adesso è troppo sofisticato per la media degli spettatori giovani che disertano le palestre e preferiscono i videogames che vanno ancora forte... anche perché lì di botte vere non se ne prendono. Mi spiace dirlo ma in Italia siamo rimasti in pochi sia ad amare la pratica vera che il cinema di qualità.

Per finire, un consiglio ad un eventuale neofita: chi oggi voglia accostarsi al cinema di arti marziali da quale tipo di film dovrebbe iniziare?

Senza dubbio ai classici di Bruce Lee, restano ancora i film più comprensibili e divertenti anche per chi non è un esperto del filone, poi consiglierei un mix tra Van Damme (Senza esclusione di colpi!, La prova, Double Impact solo per citare alcuni) e Jackie Chan (quelli che si trovano in Italia del periodo di Hong Kong però...) magari qualche wuxiapian tipo La battaglia dei Tre Regni e La Tigre e il Dragone per poi ricercare i modelli originari della Shaw Brothers. E naturalmente Ongk-bak...

Ringraziando Stefano Di Marino per la disponibilità, vogliamo chiudere elencando i saggi di argomento marziale da lui scritti.

Autodifesa (Sonzogno, 1990)

Guida alle arti marziali (Mondadori, 1992)Corso di Thaiboxing — con Roberto Bonomelli (DeVecchi, 1997)

I segreti delle arti marziali (DeVecchi, 1997)Self-training — con Elio Mascone (Mondadori,1998)

Bruce & Brandon Lee, i segreti del cinema di arti marziali (Sperling &Kupfer, 1998)

Lezioni di Kickboxing (De Vecchi, 1999)

Lezioni di Karate — con Roberto Ghetti (DeVecchi, 1999)

Dragons Forever, il cinema di arti marziali e d’azione (Alacrán edizioni, 2006)