Tra Radeski e Hurricane… 

L’uomo della pianura di Paolo Roversi, Mursia 2009.

In prima persona il racconto di Hurricane. Ventotto mesi a San Vittore (siamo negli anni settanta) per un errore giudiziario (ricordato anche il caso di Caryl Chessman del 1959), la dura scuola del carcere fatta di sopraffazione e violenza, “insegnanti” il Francese e Vincé Rizzato. L’apprendistato e l’ascesa, la passione per il latino e il greco e per qualche filosofo, fra cui Socrate e Platone, che vengono a fagiolo per la sua formazione criminale.  Uscito di carcere il rapimento, i soldi del riscatto, la fuga e la caccia intrapresa dai beffati.

In terza persona la storia di Radeski e compagnia bella, partendo dall’amore nella stalla fra Vikram Singh (etnia Sikh, deve accudire le vacche frisone) e Giulia (figlia del fattore) trovata uccisa proprio con il kirpan, il coltello tipico dei Sikh. Vikram sparito.

E dunque ritorna Radeski, giornalista freelance, con il vespone giallo, con il suo Buk Labrador “dagli occhi liquidi”, una sorta di “bohémien trentenne”, pancetta e occhiali, venuto fuori da una relazione burrascosa con una poliziotta.  Suo aiutante il giovane Diego Fuster venti anni e “l’aria da putto del Botticelli”. Ritroviamo pure l’armadillo Gatsby del maresciallo Boskovic (in seguito arriva anche il procione Rufus a fargli compagnia), gli “elementi” della Bassalibera TV e insomma il contorno che già conosciamo fino al bar di Binda dove si chiacchiera e si gioca a carte.

Il tutto avvolto dall’autunno della Bassa con la nebbia, il freddo pungente, la foschia, il respiro che manca, manciate di sesso sparse un po’ dappertutto con i pompini a farla da padrone, un po’ di vecchio Artusi che stuzzica sempre l’appetito.

Aggiungo, per la storia, due macchine abbandonate e allagate di sangue, due pischelli morti ammazzati, una fotografia, travestimento, azione, scudisciate, spari e coltellate, un medaglione, lo scontro finale, citato pure il Circolo degli scacchi di via Meravigli (interessa solo a me), la fortuna e la sfortuna dell’amore del nostro giovane vespista.

Prosa brillante, arguta, ironica anche nei confronti di certi aspetti della società, di certa politica e certa gente. Vedi i proclami razzisti di Ghezio con “gli occhi a palla che parevano schizzare fuori dalle orbite” che ci riportano alla mente un certo Borghezio di padana memoria.

Tutto fila via liscio e veloce. Forse troppo liscio e veloce. Martellante. Per cui i momenti di riflessione e di coscienza civica si perdono un po’ tra il luccichio delle battute e lo sfolgorio delle metafore.