Lo trovò accoccolato in una fessura del muro. Assomigliava ad una pallina marrone. Pelosa. Nel vedere un ragno di così grosse dimensioni, che gli ricordava quelle immagini dei libri sugli insetti più pericolosi, Veronica spalancò gli occhi dalla paura e per un attimo rimase senza fiato. Il primo pensiero fu quello di gridare, di chiedere aiuto a suo padre e di far schiacciare quell'intruso da una mano più esperta e coraggiosa.

Ma fu solo la tentazione del primo momento, poi la piccola Veronica capì che non poteva fare nulla di tutto ciò.

La voce che gli mancava per gridare non dipendeva tanto dalla paura di quell'incontro, quanto piuttosto per il piangere di qualche minuto prima, per le botte che aveva preso da suo padre, per l'umiliazione delle punizioni che arrivavano tutti i giorni, sempre, puntuali, rigorose, severe e dolorose.

Per questo non aveva più voce per gridare e l'ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento era proprio suo padre. Anzi se avesse potuto scegliere se vedere schiacciare il ragno o il marito di sua madre, avrebbe proprio scelto quest'ultimo.

Lo spavento svanì con la stessa velocità con cui si era fatto strada nel suo animo e, al pensiero di suo padre, provò una immediata simpatia per quel nuovo inquilino che si era installato nella sua stanza, così, spontaneamente, senza chiedere il permesso a nessuno.

Veronica si avvicinò alla fessura e lo guardò con maggiore attenzione. Il grosso ragno peloso quasi si specchiò negli occhi azzurri della bimba e sembrò cogliere quel reciproco senso di solidarietà che si poteva creare tra di loro. Anche lui fece capolino fuori dal nascondiglio, si rilasciò sulle otto zampette altrettanto pelose e irte e si fermò sulla liscia parete della stanza.

E così, da allora tutte le sere.

Veronica trovava sollievo in quel suo piccolo amico, l'unico che aveva in casa, l'unico che restava lì ad ascoltarla nelle sue confessioni, ricche di parole, di desideri e di fantasie. Ognuno al proprio posto, senza sfiorarsi, però sentendo la reciproca presenza.

Proprio il contrario di quello che succedeva tra Veronica e suo padre che non l'ascoltava mai, ma che non perdeva l'occasione di colpirla per ogni sciocchezza, per ogni minima richiesta.

E nonostante suo padre continuasse con la sua opera di violenza ed umiliazione, da quando era arrivato questo esserino brutto e peloso, Veronica aveva smesso di piangere e di gridare, sapendo che rientrando nella sua cameretta poteva far conto sul calore di quella vicinanza, sulla presenza di un amico.

Ma solo fino a quella sera. Quando suo la padre la colpì con particolare brutalità e Veronica non poté fare a meno di urlare tutta la sua rabbia e disperazione, senza trattenere le lacrime e la voce. Forse era proprio il desiderio di suo padre che lei non le trattenesse, così aveva l'occasione di colpire sempre più forte, di infierire sul suo corpicino e di godere di quella situazione di fronte ad una moglie che taceva ogni volta.

Quando ebbe termine il feroce rituale, Veronica rientrò nella sua stanza, si buttò singhiozzando sul letto e portò lo sguardo verso la fessura nel muro. Ma non trovò traccia del suo amico peloso. Anche questa volta rimase con il fiato sospeso. Si portò a sedere, si guardò intorno con gli occhi spalancati e un leggero tremore alle ginocchia.

Poi sorrise. Lo vide arrivare dalla porta d'entrata e correva velocemente sulle piastrelle lucide mentre prendeva la direzione della sua piccola abitazione.

Si guardarono in silenzio e nel silenzio. Fu un vero istante di intimità.

Poi un grido, e un improvviso tramestio che nel giro di qualche minuto si trasformò in vera e propria agitazione.

Veronica aprì appena la porta e vide suo padre nel corridoio steso a terra con il volto contratto da una smorfia di dolore, e sua madre con la cornetta del telefono in mano e con la voce spezzata da un singhiozzo "... venga subito dottore ... un infarto credo ..."