«“Ma... De Vermis Mysteriis!” esclamai con un grido. “Non esiste un libro del genere! Fu inventato da Robert Bloch a metà degli anni Trenta per un racconto di “Weird Tales” quando lei, lui e tutti gli altri scrittori fa­cevate quel bellissimo gioco letterario di inventare un mondo di mostri e i loro culti. Il libro era solo uno strumento di magia nera per i maghi che aveva inventato. Aiutaste persino Bloch a crearlo quando gli scrive­ste una lettera dicendogli come latinizzare il titolo!”» questo il grido rivolto a Lovecraft in persona da parte del protagonista del racconto “H.P.L.” (1990) di Grahan Wilson. Ed ha ragione!

È il 1935 quando sulla storica rivista “Weird Tales” appare il racconto “Il divoratore giunto dalle stelle”, a firma di quel Robert Bloch che in seguito divenne famoso per il romanzo “Psycho”. In questo racconto, dedicato niente di meno che a H.P. Lovecraft, uno scrittore decide di cercare copie rare e preziose di libri sull’occulto: occasione irresistible per citare il titolo creato dall’intestatario della dedica: il “Necronomicon” di Lovecraft! Nelle parole del protagonista, «In un piccolo negozio della South Dearborn Street, fra scaffali ammuffiti, apparentemente dimenticati dal tempo, [...] c’era un grosso volume nero con la copertina intarsiata di metallo. Su di esso, incisa a mano, figurava la scritta “De Vermis Mysteriis”, i “Misteri del Verme”». Questa è la prima comparsa dello pseudobiblion inventato da Bloch.

Il protagonista del racconto è contentissimo di questo ritrovamento: «Che scoperta! Avevo già sentito parlare di quel libro. Ne era stato autore Ludvig Prinn, che era poi perito sul rogo per decreto degli inquisitori, a Bruxelles, quando i processi per stregoneria erano al culmine». Questo fantomatico Prinn, durante la sua prigionia in Siria, venne a contatto con maghi e stregoni del luogo ed acquisì conoscenze “proibite”: «in prigione, mentre aspettava il processo, egli tracciò le innumerevoli, morbose righe, brulicanti di allusivi orrori del “De Vermis Mysteriis”».

Robert Bloch
Robert Bloch
C’è però un problema: il libro è scritto in latino, e quindi il protagonista decide di affidarsi ad un amico per la traduzione. Questo “amico” abita (guarda caso) a Providence, città dove visse proprio quel Lovecraft che aiutò Bloch a creare il suddetto pseudobiblion! Come gli altri suoi colleghi, anche a Bloch piace giocare con il citazionismo letterario.

Ovviamente la traduzione dei “Misteri del Verme” avrà esiti nefandi, anche se solo per l’amico del protagonista, a monito del fatto che non si deve curiosare fra gli scritti occulti!

Per completare il gioco letterario, lo stesso anno è proprio Lovecraft a citare «il diabolico De Vermis Mysteriis del vecchio Ludvig Prinn» nel racconto “L’abitatore del buio”, dando autorevolezza allo pseudobiblion di Bloch, che più volte in seguito (seguendo le orme dell’amico scrittore) citerà nei suoi racconti. «Fu così che gli capitò fra le mani un’edizione in latino di un manoscrit­to quasi leggendario di Lodovicus Prinz, “De Vermis Misteriis”, nel cui oscuro miscuglio di cose d’oltretomba e leggende preistoriche trovò materiale su cui meditare perplesso» (“La stirpe di Bubastis”, 1937); «Edmund Fiske si trovò di fronte al quasi leggendario “De Vermis Mysteriis”, al “Liber Ivonis”, e alla quasi mitica versione latina del “Necronomicon”» (“L’ombra del campanile”, 1950).

Citato da Brian Lumley ne “La Casa del Tempio” (1980)  e dal racconto “H.P.L.” citato all’inizio, lo pseudobiblion viene citato addirittura da Stephen King nel racconto “Jerusalem’s Lot” (raccolto in “A volte ritornano”). «Un librone stava aperto sul leggio, scritto a un tempo in latino e in rune illeggibili che, al mio oc­chio non esercitato, apparivano druidiche o preceltiche. [...] Chiusi il libro e guardai le parole impresse nel cuoio: “De Vermis Mysteriis”. Il mio latino è arrugginito, ma utile quanto basta per tradurre: “I Misteri del Verme”».

Chiudiamo questa rubrica con un brano dal “De Vermis Mysteriis”: «Tibi, Magnum Innominandum, signa stellarum nigrarum et bufaniformis Sadoquae sigillum...». Mi raccomando: evitate di leggerlo ad alta voce!