Ambientato in un villaggio cinese degli anni ’80 e basato sul romanzo Ru ce ji di Lu Bu (qui anche sceneggiatore), The Story of the Closestool di Xu Buming narra la vicenda della giovane Xiao Dan (Yang Rong) alle prese con il trantran quotidiano: una madre e un padre poco comunicativi, un fratellino a cui badare, un probabile e noioso futuro da operaia in una fabbrica di vasi una volta conclusa la scuola e il consueto giro nel vicolo con il pitale in mano per svuotare i bisogni, come tutti fanno nel quartiere ogni giorno. Xiaodan appare spesso col broncio, e sebbene questa sia una caratteristica tradizionalmente associata alla donna ideale dall’immaginario maschile cinese, di cui il suo corteggiatore un po’ bulletto Zihua (Zhang Dezheng) fa parte, il comportamento della ragazza nasconde in realtà qualcosa di più profondo. Lungi dall’essere una versione moderna della capricciosa e ipersensibile Dai Yu (eroina del romanzo settecentesco “Il sogno della camera rossa”, divenuta in Cina il simbolo per eccellenza della bellezza e del carattere femminile), Xiao Dan aspira a riformare la propria vita e ad allontanarla dallo squallore impersonale e senza via di uscita che il villaggio e il lavoro da operaia sembrano offrirle, anche se non conosce ancora i mezzi per attuare il proprio riscatto.            

         Finché un giorno, a una festa segreta con gli amici, Xiao Dan non scopre un modo tutto nuovo di concepire l’igiene personale e se stessa: aprendo una porta a caso, si ritrova davanti una meravigliosa stanza da bagno che ospita un altrettanto meraviglioso wc, creatura fino a quel momento inconcepibile nella sua esistenza quotidiana. Sottilineata con effetto grottesco dal romantico accompagnamento musicale (“Love me, cherish me, don’t hesitate” dicono le parole della canzone, che sembrano sgorgare direttamente dalla tazza del wc come fossero una dichiarazione d’amore), la scoperta del “rivoluzionario” oggetto scatena una vera e propria ossessione in Xiao Dan: deve averlo assolutamente anche lei. Così, aiutata dai compagni della fabbrica, sotto gli occhi attoniti dei genitori e del fratellino, la ragazza fa costruire un gabinetto in casa propria, rendendolo subito il proprio personale santuario. Xiao Dan comincia a passare intere ore dentro il bagno: si trucca per andare al nuovo lavoro di contabile, ascolta musica, incolla foto o semplicemente ammira le piastrelle e gli angoli del muro. Seduta sulla tazza chiusa a mo’ di sgabello, si sente nervosa come prima dell’inizio di un concerto, e grazie alla nuova scoperta diventa di colpo splendente e contenta. Il broncio svanisce dal suo viso, lasciando spazio alla sicurezza di una donna ormai sbocciata e conscia di avere una stanza tutta per sé.

            Ben presto la novità risveglia l’interesse dei vicini, non abituati alla privacy di un gabinetto e, sebbene critici sulla scelta della ragazza, comunque  incuriositi dallo strano oggetto. Molti arrivano a fare la fila per guardarlo, come se, nota la stessa Xiao Dan, “si affrettassero verso la reincarnazione”. Altri, come l’infida vicina Nonna Xu, cercano in tutti i modi di approfittare della nuova costruzione per trarne profitto: la stanza del gabinetto consuma troppa acqua, perché non approfittarne per chiedere ai Mu e alla loro figlia vanitosa una tassa sul consumo in eccesso? Se vogliono che non spifferi tutto al governo, visto che la costruzione del wc è chiaramente abusiva, i Mu non hanno altre alternative che accettare il ricatto. Ma i modi invasivi dei vicini sembrano non fermarsi qui: una sera Xiao Dan scopre che il muro del bagno è crollato, e si chiede se qualcuno non l’abbia danneggiato di proposito. Il suo mondo sta forse per tornare al punto di partenza? Vogliono davvero costringerla a rinunciare all’unico angolo dove può sentirsi liberamente se stessa, senza dividere gli spazi angusti della camera con il fratello e i genitori e del paese con tutti gli altri? Cerca di farsi aiutare dai suoi ex colleghi perché riparino i danni, ma nessuno accetta di aggiustare una costruzione abusiva per non avere noie con il governo, anzi, c’è chi medita di trasformare un luogo colpevolmente privato, e dunque proibito, in un affare pubblico, cancellando l’anomala particolarità creata da Xiao Dan.

            Esilarante e poetico al tempo stesso, The Story of the Closestool cela una riflessione sulla dicotomia pubblico/privato in maniera apparentemente irriverente perché incentrata sul gabinetto. In realtà, in Cina esso è un luogo privo delle valenze negative da cui è solitamente connotato in Occidente. Non solo non viene recepito come qualcosa di squallido e sporco, ma tradizionalmente viene visto come luogo pubblico per eccellenza, dove conversare in compagnia degli amici oltre che fare i propri bisogni. Tanti sono infatti i bagni pubblici presenti nelle città cinesi dove uomini e donne vanno per parlare dei propri fatti personali. La presenza del gabinetto nella dinamica urbana e nella vita cinese lo ha reso naturale oggetto di riflessione nell’arte: si pensi al film Public Toilet di Fruit Chan, incentrato sul parallelismo tra tumore, escrementi e in/capacità di espellere il dolore, o alla scandalosa videoinstallazione Lady’s Room di Cui Xiuwen, in cui il gabinetto di una discoteca diventa l’unica zona di evasione/espressione dei propri pensieri per alcune prostitute. Il bagno è uno spazio anonimo e tuttavia estremamente intimo, unico luogo “privato” in una nazione dove gli spazi, siano essi chiusi o aperti, sono sempre sovraffollati e dove l’invasività del partito da un lato e del consumismo selvaggio dall’altro rendono quasi impossibile coltivare un luogo che sia personale e non condivisibile da nessun altro. Le lotte politiche degli anni ’70 in Occidente hanno fatto capire alle donne e agli uomini che “il personale è politico”, come diceva un motto femminista dell’epoca. Forse, nel costruire il sogno di Xiao Dan di avere un gabinetto e dunque una vita tutti suoi, Xu Buming compie un atto politico, a cui però l’amaro finale sembra togliere ogni possibile illusione di libertà, ribadendo come la strada per la realizzazione di sé e dei propri desideri debba spesso ancora fare i conti con gli inevitabili soprusi del potere, in Oriente come in Occidente.