La casa editrice nasce  nel 1998 ma è già in embrione nella rivista “Fernandel”, rivista di narrativa e critica letteraria datata 1994 (e in questa duplice sostanza convergono quelle che saranno le direttrici della casa editrice: narrativa e saggistica). Qual è stata la molla che vi ha spinti a questo passaggio?

La rivista è nata dalla curiosità di sapere cosa scrivono gli altri, quindi dalla curiosità verso gli aspetti umani più che quelli letterari. Però raccogliendo materiale mi sono reso conto che arrivavano testi belli che erano troppo lunghi per le dimensioni di una rivista, e che in alcuni casi sarebbero potuti diventare dei libri interessanti. E a quel punto l'aspetto letterario è diventato man mano prevalente.

Nella pagina del vostro sito dedicata a chi volesse spedirvi dattiloscritti, invitate chiaramente a non inviare poesie, gialli, noir e fantascienza. Concludete: “Non abbiamo niente contro questi generi, ma non li pubblichiamo”. Perché questa scelta?

Una piccola casa editrice deve specializzarsi: se non può, come è un po' il caso di Fernandel, almeno deve escludere dei generi in cui non si riconosce.

A me interessa una narrativa che sappia raccontare il tempo in cui viviamo, e che lo faccia senza ricorrere alle banalizzazioni e senza inseguire le mode del momento, cioè i temi d'attualità che riempiono i giornali e le televisioni. Quindi scarto a priori (quasi) tutti i gialli e i noir, che del resto infestano le librerie da almeno dieci anni. Per la poesia non ho passione, e la fantascienza non c'entra nulla con Fernandel.

Alcuni vostri libri, pur non essendo noir, lambiscono però l’elemento morte o mistero. Penso, ad esempio, a “Factory” di Gianluca Morozzi o a “Vaporidis in carcere”. Come definiresti questi generi (a parte, rispettivamente, fumetto letterario e romanzo di formazione)?

Be', oltre a quelli che citi, ci sono altri libri del nostro catalogo abbastanza vicini al noir. Penso a due romanzi di Pablo Echaurren, "Bloody art" e "Terra di Siena", che hanno per protagonista una commissaria che indaga su certi delitti avvenuti nel mondo dell'arte, o al romanzo di Remo Bassini, "Lo scommettitore", dove il protagonista è una spia, un mercenario al soldo del potente di turno.

Ma appunto, si tratta un po' di eccezioni che confermano la regola.

Avete lanciato una collana, “Illustorie”, curata da Gianluca Costantini, giochi ed esperimenti tra testo letterario e immagine. Cosa c’è di affascinante – e divertente – in queste contaminazioni?

Il fascino sta nel rapporto fra la parola scritta e l'immagine, nel saper raccontare una storia utilizzando questi due mezzi espressivi, come capita per esempio nei libri di Phoebe Gloeckner, un'autrice americana che abbiamo tradotto e pubblicato qui in Italia. Ma non è detto che il risultato sia "divertente" nel senso di "spensierato": la Gloeckner per esempio è davvero drammatica nel raccontare la propria storia. E lo stesso Gianluca Costantini nel suo "Diario di un qualunquista" usa il disegno per una precisa denuncia politica.

 

Avete inaugurato un nuovo marchio, Giorgio Pozzi Editore, specializzato nell’editoria saggistica e universitaria. Si tratta di un distaccamento di Fernandel scientifica?

No, si tratta di una casa editrice del tutto indipendente da Fernandel, rivolta alla pubblicazione di testi universitari. I

n teoria i libri della Scientifica dovrebbero confluire i questo catalogo, prima o poi…

 

Ti ho rivolto alcune domande in seconda persona plurale. Probabilmente perché immagino la dirigenza Fernandel come un gruppo coeso diretto da te e composto da pochi, strettissimi collaboratori, uniti anche da un rapporto amicale. É così?

In effetti è così.

 

Quali sono gli ultimi 5 libri (non Fernandel) che hai letto?

Grazia Verasani, "Tutto il freddo che ho preso" (Feltrinelli)

Flavia Piccinni: "Adesso tienimi" (Fazi)

Gianluca Morozzi: "Colui che gli dei vogliono distruggere" (Guanda)

Eva Clesis, "A cena con Lolita" (Pendragon)

Massimiliano di Giorgio, "No compromise" (Zona)

Michel Houellebecq: "Le possibilità di un'isola" (Bompiani)

Martin Amis, "Money" (Einaudi)

Uhm, sono più di cinque?…

Fin dall’inizio avete sottolineato la vostra attenzione verso le diverse esperienze di scrittura e soprattutto verso gli esordienti. Cosa significa, questo, nella pratica?

C'è sempre stato un interesse verso le scritture "non standardizzate", quelle che non nascono come conseguenza di una sperimentazione letteraria ma piuttosto provengono dal basso, dall'esperienza diretta.

In questo senso a volte gli esordienti hanno una spinta che poi col tempo vanno perdendo, man mano che acquistano quella cosa tremenda e inevitabile che è "il mestiere".

 

É vero che a volte i dattiloscritti sono accompagnati da lettere di presentazione bizzarre? Ci fai qualche esempio?

A volte le lettere di accompagnamento tentano di catturare l'attenzione dell'editore (o di chi in casa editrice sta per leggere quel manoscritto) con una simpatia eccessiva, con umorismo eccessivo, con drammaticità eccessiva. Ricordano degli spot pubblicitari, e hanno lo stesso significato. Ma col tempo si diventa smaliziati, e si tende a diffidare di presentazioni così roboanti. A volte hanno contenuti davvero grotteschi: mi ricordo quella di una ragazza che sull'onda del fenomeno Melissa mi proponeva un manoscritto, specificando fra i suoi hobby "sesso orale". Alla base del fenomeno delle presentazioni bizzarre c'è la consapevolezza da parte degli aspiranti scrittori che i manoscritti che arrivano nelle case editrici sono davvero tanti, e quindi il rischio è che il proprio non venga mai letto…

 

Perché, nel panorama generale, l’aspirante scrittore non riesce a ricevere attenzioni se non ha le conoscenze giuste o una buona dose di congiunture astrali (ovvero fortuna)? Non è poco democratico il fatto che non ci siano le stesse possibilità, indistintamente, per tutti?

È la legge della domanda e dell'offerta.

Nel campo della narrativa esordiente c'è moltissima offerta: sono in tanti a scrivere, e l'editore deve imparare a dire prima di tutto di no, applicando così un proprio criterio di scelta ai libri che decide di fare. Però non è vero che senza le "conoscenze" non si è nemmeno letti, in casa editrice. Forse si riesce a ottenere più attenzione, ma una chance ce l'hanno tutti.

 

Quando cominci a leggere le prime pagine di un dattiloscritto, cosa ti fa interrompere la lettura o cosa ti inorridisce?

Eh, questa è una domanda un po' cattiva: sono tanti i motivi per cui un testo viene scartato, e quasi mai dipende dal congiuntivo sbagliato nella prima pagina o dagli errori di battitura (anche se in effetti questi sono elementi che influiscono sul giudizio complessivo…). Nulla mi inorridisce, ma mi deprime il tentativo di copiare uno stile o una situazione narrativa che si è già rivelata vincente con un libro di successo. Ecco, gli epigoni mi deprimono un po'. A volte invece interrompo la lettura per pudore. Purtroppo mi capita sempre più spesso di ricevere manoscritti di persone che raccontano il proprio dolore, un lutto, una malattia che hanno vissuto sulla propria pelle, e lo fanno senza filtri narrativi, come se stessero scrivendo un diario.

Poi inspiegabilmente cercano la pubblicazione per un testo così intimo, così privato, nel quale si sono raccontati senza riserve…

Quando, invece, resti piacevolmente colpito?

Quando la scrittura e lo stile ricostruiscono senza fatica un mondo, che è l'immaginario dello scrittore, e quando la scrittura ti prende e ti trascina dentro la pagina.

Lasciamo gli aspiranti con una buona notizia. C’è qualche nuovo concorso in arrivo, dopo il successo di Fiocco Rosa?

In realtà no. "Fiocco rosa" è un'antologia di racconti che ha per tema la gravidanza e la maternità. È il seguito ideale di "Quote rosa", un'antologia uscita due anni fa con un esplicito sottotitolo: "Donne, politica e società nei racconti delle ragazze italiane". Ma la buona notizia è che se anche non ci sono concorsi letterari, leggiamo ogni giorno manoscritti di aspiranti scrittori.