Ancora in azione il Dandy inglese…

“La copertina è graziosa, non c’è che dire. Elegante, raffinata. Un castello nero, incorniciato con svolazzi di fiori bianchi e rossi, in uno dei quali spicca l’immagine di un noto scrittore, anch’egli nella vita elegante e raffinato. Il tutto su uno sfondo di cielo verde chiaro” avevo scritto a proposito di Oscar Wilde e i delitti a lume di candela di Gyles Brandreth, Sperling & Kupfer 2008.

Questa volta uguale raffinatezza con cambio di colore per il castello viola e fiori bianchi e verde chiaro in Oscar Wilde e il gioco della morte, sempre di Gyles Brandreth e solita (saggia) casa editrice.

“Siamo a Londra nel maggio 1892 e intorno al tavolo sono riuniti, insieme con Wilde, alcuni eleganti personaggi della vita mondana inglese. Lo scrittore, all’apice della carriera, è l’uomo più stravagante della città, ma non può certo immaginare le conseguenze del gioco di società che intende proporre ai suoi amici. Si tratta di un innocuo divertimento: ognuno dovrà scrivere su un foglietto il nome della persona che gli piacerebbe uccidere. Poco dopo, però, le quattordici vittime designate cominciano a morire davvero, a una a una, nello stesso ordine in cui apparivano nel gioco…”.

Così se ne va per prima la signorina Elizabeth Scott-Rivers trovata bruciata nel suo appartamento, seguita a ruota da Lord Albergordon e poi dal pappagallo (sì, avete capito bene) Capitano Flint, la scomparsa misteriosa di Breadford Pearse presso il promontorio di Seven Sisters e via di seguito.

Chi racconta la storia è l’amico di Oscar Wilde Robert Sherard, pronipote del poeta William Wordsworth e lui stesso poeta (sempre al verde) che qui fa un po’ la parte di Watson.

C’è anche Conan Doyle che ce l’ha con Sherlock Holmes (non ne può più del suo personaggio che in qualche modo limita la sua creatività) ma, soprattutto lui il Dandy per antonomasia, ricco, bello, elegante, colto, forbito, generoso, fonte inesauribile di battute, aforismi, richiami letterari e chi più ne ha più ne metta.

Figura di rilievo anche la moglie Constance di cui è innamorato lo sposo (ma un po’ meno di prima), il narratore e altri personaggi della vicenda. Tra l’altro Constance è l’ultima della famosa lista e in questa lista c’è pure il nostro Oscar…

Buono l’intreccio (anche se parte da un’idea non originale), battute, citazioni (già detto), bevute, colazioni, pranzi, cene, spuntini in cui ci si trovano mischiati whisky e soda, birra scura, gelato e liquore, rognoni e uova sode meglio se di oca, aragosta, aringhe fresche, prosciutto locale, costolette di montone e di agnello, salatini al formaggio, fragole, vini pregiati come il Borgogna bianco, il Perrier Jouёt e lo Scharzhofberger del 1884 (dato il nome deve essere buono per forza) e qui mi fermo che mi ha preso una strizza allo stomaco. Non manca una visita ad un bordello, il bagno turco, l’incontro di pugilato, la prima rappresentazione di “Il ventaglio di Lady Windermere”, le predizioni funeste della signora Robinson.

Il tutto condito (ci va a fagiolo) con una prosa brillante, sicura, quasi mai compiaciuta di se stessa.

Disvelamento del mistero con classica riunione finale, un piccolo omaggio al genere della camera chiusa o gialla che dir si voglia, qualche riecheggiamento (almeno credo) di Il pappagallo bianco di Mignon Good Eberhart per la morte violenta del pennuto, o di Il mistero del menu francese di H.C. Bajley per quanto riguarda la scomparsa di Breadford Pearse (qui è Farquhar che si volatilizza presso il promontorio di Shag Nose). E la stazione di Charing Cross che ci ricorda un celebre giallo di J.S. Fletcher.

Ergo un buon libro, anzi un ottimo.