E c’è anche Conan Doyle…

La copertina è graziosa, non c’è che dire. Elegante, raffinata. Un castello nero, incorniciato con svolazzi di fiori bianchi e rossi, in uno dei quali spicca l’immagine di un noto scrittore, anch’egli nella vita elegante e raffinato. Il tutto su uno sfondo di cielo verde chiaro. Trattasi di Oscar Wilde e i delitti a lume di candela di Gyles Brandreth, Sperling e Kupfer 2008.

“Londra, fine agosto 1889. In Cowley Street, in una stanza oscurata da pesanti tende e pervasa da una fragranza d’incenso, un uomo scopre il corpo nudo di un sedicenne. Ha la gola tagliata da un orecchio all’altro e giace in un lago di sangue, circondato da candele ardenti. L’uomo è Oscar Wilde, poeta e drammaturgo, fenomeno letterario del suo tempo, mentre il giovane è Billy Wood., un ragazzo di strada come tanti. Il giorno dopo, Wilde si risolve a denunciare il fatto a Scotland Yard, ma la polizia, giunta sul posto, non trova la benché minima traccia dell’orribile crimine. Sicuro di ciò che ha visto e spalleggiato dall’amico Robert Sherard, lo scrittore decide di investigare da solo, incarnando suo malgrado quel nuovo personaggio di Sherlock Holmes che tanto ammira e che tanto gli assomiglia per la brillantezza d’intuito”.

Dopo Dante, Kant e compagnia bella è la volta del Dandy per antonomasia, quell’Oscar Wilde che con il suo comportamento libero e disinvolto fece arrossire la società (una parte, almeno) del suo tempo. E che, all’inizio, si incontra perfino con Arthur Conan Doyle e non c’è bisogno di aggiungere altro. Un incontro interessante, fra due personalità allora giovani (circa 30 anni) e assai diverse. E anche utile, perché è proprio Arthur che scopre su una parete delle impercettibili macchie di sangue e formula l’ipotesi di un omicidio rituale.

Chi racconta la storia divisa in giornate, a partire dal 31 agosto del 1889, è il suo amico Robert Sherard, pronipote del poeta William Wordsworth e lui stesso poeta, che qui fa un po’ la parte di Watson. Ecco come vede Wilde “Oscar marciava davanti a noi, come un principe. Non era né solenne né arrogante, ma era magnifico. Non era esattamente bello, ma colpiva per l’altezza e il portamento”. E poi colto (lettore instancabile), raffinato, elegante, generoso, amante della buona tavola, fumatore incallito e così via di seguito. Anche un po’ lunatico, a dir la verità, con imprevedibili cambiamenti di umore. Ed egoista, stupendamente egoista. Ma anche tosto, risoluto nell’andare fino in fondo e dare un senso alla morte di Wood. Capace, come Holmes, di imprevedibili deduzioni da far rimanere a bocca aperta Sherard-Watson. E come Holmes aiutato da una schiera di ragazzi, vagabondi e monelli, che sguinzaglia per la città. Deduzioni, dicevo, e massime proprie di Oscar Wilde sulla vita e sull’amore. Sempre brillanti e provocatorie.

Robert Sherard ha un discreto rilievo nella storia. Sposato in attesa di divorzio e pronto ad un altro matrimonio, attratto dalle lusinghe del gentil sesso. In particolare dalla bellezza di Veronica Sutherland, fidanzata dell’ispettore Aidan Fraser, che ha un aspetto “da mozzare il fiato”. Il punto di svolta del romanzo si ha quando, quattro mesi circa dopo l’omicidio, alla signora Wilde arriva un regalo inaspettato per il suo compleanno: la testa mozzata di Billy Wood. Mozzata e imbalsamata.

Prosa leggera, sicura, elegante, arricchita di riferimenti artistici e letterari. Finale da giallo classico con riunione corale e disvelamento dell’assassino. Attraverso la nota teoria di Holmes che “una volta escluso l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità”.