Curioso e per certi versi indecifrabile questo Denti di Mitchell Lichtenstein (figlio di Roy, geniale esponente della Pop Art americana), destinato suo malgrado, a divenire oggetto di difficile classificazione nel panorama cinematografico di questa fine estate zero-otto. Un piede nell’attualità, quella composta dai movimenti sempre più diffusi, in particolare negli iùesei, i cui membri affidano ad una promessa, quella di rimanere casti fino al matrimonio, una fetta non indifferente della loro vita, l’altro nell’horror, visto che i denti del titolo sono quelli che la giovane Dawn si ritrova, senza un perché e senza un percome, all’interno della vagina.

Prima parte molto riuscita, centrata sui turbamenti e sullo sconcerto di Dawn a confronto con un evento il cui significato in gran parte le sfugge. Seconda parte che vira decisamente verso l’horror, complici anche una serie di corteggiatori decisi a far infrangere alla sempre più disorientata Dawn il voto di castità. Inevitabile il corollario sanguinoso a base di mutilazioni con relativa dose di raccapriccio quando i denti avranno concluso il loro lavoro.

L’esito, tragico o meno, in fin dei conti appare legato a filo doppio alla sincerità con la quale i corteggiatori avvicinano Dawn: chi bara, per scommessa ad esempio, non la farà franca.

Il film, comunque, va oltre, giacché Dawn (una bravissima e fino ad ora poco vista Jess Weixler) presa coscienza che l’anatomia, in particolare la sua, può diventare destino (per un volta non sotto forma di condanna…), assurgerà ad eroina punitrice di tutti i maschi sciupafemmine.

Immagine ricorrente, e di conseguenza a forte sospetto simbolico: due ciminiere di una centrale nucleare che ricordano moltissimo quelle della centrale di Three Mile Island che alle 4 del mattino del 28 marzo 1979 andò in avaria…). Ognuno è libero di vederci quello che vuole.