Tutto è iniziato qualche anno fa quando chiesi a Claudio Sanfilippo di partecipare in diretta a uno scassatissimo programma di Radio Seregno che si chiamava "Scacco al la". Ci siamo conosciuti in diretta radiofonica e da lì è nata una vera amicizia, scandita nel tempo a suon di canzoni, lunghe chiacchierate insieme, oltreché che piacevoli cene annaffiate da abbondate vino. Mia moglie è diventata una sua fan sfegatata e anche voi spero che andiate a recuperarvi dischi imperdibili come "Stile libero", "Isole nella corrente" e "I parol che fan vulà". Sono album pieni di emozioni e di storie, il primo si aggiudicò anche il prestigioso Premio Tenco. Qualche mese fa ho portato Claudio Sanfilippo live a "Tutti i colori del giallo", ne è venuto fuori un ritratto particolare d'artista e la chiacchierata è proseguita anche a microfoni spenti. Eccovi un estratto di quello che ci siamo raccontati che è stato poi in parte pubblicato anche sulle pagine degli spettacoll del quotidiano "Il Giornale". Un ritratto inedito di un cantautore "milanese doc" nel cuore e nell'anima.

Come ti è venuta l'idea di un disco di canzoni tutte in milanese, è vero che eri partito dall'idea di fare un disco di filastrocche per l'infanzia?

L'idea del disco per bambini è lì, pronta per essere realizzata. E' stata preceduta da questo album in milanese per questioni casuali, direi. Ho sempre scritto anche in milanese e qualche anno fa la produzione "ambrosiana" ha vissuto un nuovo e intenso periodo di creatività, così sono entrato in sala d'incisione sulle ali dell'entusiasmo. Di solito mi succede così, decido di registrare un disco quando ne avverto l'urgenza.

Perché secondo te la maggior parte delle canzoni in milanese sono state dedicate alla mala e che tipo di Milano ci hanno raccontato?

Forse perché la canzone milanese nasce dalla tradizione del cantastorie, così anche gli autori che si sono cimentati col nostro dialetto dal dopoguerra in poi hanno ereditato questa caratteristica genetica che è propria della cronaca cantata. Pensiamo a Valdi, Jannacci, Fo, Strehler e anche a Svampa che ha magistralmente restituito in milanese il repertorio di Brassens, che con certi mondi noir aveva molto a che fare. Non è successo per Brel o per Ferrè (se non in rari casi), eppure il francese sembra fatto apposta per essere cantato in milanese, che è denso di francesismi. Siamo comunque in ambiti che sconfinano sempre nella canzone d'autore. Quel tipo di "mala" non c'è più ormai da una trentina d'anni, è entrato nella poesia della memoria. Ma proprio per il suo alto valore poetico non va dimenticato, anzi c'è un grande repertorio della canzone della mala che ormai appartiene alla categoria dei "classici". E i "classici", si sa, hanno sempre tanto da insegnare, e non hanno tempo.

Perché secondo te una lingua come il milanes sta scomparendo ed è rimasta solo in certi vecchi ambienti?

Perché storicamente Milano è una citta che accoglie. Ci sono categorie di arti e mestieri tipicamente milanesi che in realtà provengono dalle tradizioni di ogni parte d'Italia. Milano è sempre stata un'isola multiculturale, è la sua natura. Il mix, che continua e si allarga sempre di più agli immigrati che provengono dall'estero, ha generato la progressiva scomparsa del dialetto, che ormai si parla ancora (sempre meno) in qualche enclave della provincia. Nascono, per fortuna, molte iniziative che cercano di valorizzare questo grande patrimonio culturale, e anche se c'è il rischio di fare la "riserva indiana" è meglio che niente. Fare memoria, questo conta. Così il teatro, la poesia, la canzone milanese continuano ad avvicinare un pubblico culturalmente interessante, a mio modo di vedere.

Cosa ti ha sempre colpito dell'immaginario della Gran Milan?

C'è una bella frase di Saint Exupery che dice: "l'essenziale è sempre l'invisibile". Di Milano mi piace il pudore che nasconde la bonaria follia dei padani in genere, che è lunatica, sghemba, un po' paradossale. Milan l'è un gran Milan è una frase che in fondo resiste al tempo e ai cambiamenti. Resta il luogo dove le cose accadono, nel bene e nel male.

Cinque motivi per amare Milano e cinque per scappare da lei?

Per amarla: il ritmo, il Milan, la cucina, la bellezza nascosta di molti luoghi, l'affascinante convivenza di mediterraneo e di nord. Per scappare: il traffico, l'Inter, il clima nei mesi estivi, la bruttezza esibita di molti luoghi, il costo della vita.

Ci sono luoghi di questa città che in futuro vorresti raccontare nelle tue

canzoni?

Ce ne sono tanti, Milano è una riserva infinita di evocazioni toponomastiche. Spesso però si tratta di luoghi che negli anni sono cambiati. Così mi capita di immaginare come doveva essere quando la sua natura di "città d'acqua" era visibile, Milano con la cerchia dei navigli aperta era bellissima, ci sono documenti fotografici che parlano e che di tanto in tanto mi fanno venire la voglia di scrivere della Milano immaginata che per è molto vicina a una Milano perduta, speriamo non definitivamente.

Da sempre sei stato un appassionato della musica brasiliana cosa credi che abbia insegnato alla scuola italiana dei cantautori: ritmo o fantasia?

Non so quanto abbia insegnato in generale. A me ha insegnato che la musica è un evento emozionante, che non può mai essere slegato dalla propria esperienza quotidiana, sempre in bilico tra gioia e dolore. La loro saudade (parola intraducibile in italiano) è il confine misterioso e affascinante che aiuta a vivere e ad amare, in quella mi riconosco. Nell'aspetto più squisitamente musicale mi ha conquistato l'incontro tra il ritmo e l'armonia. Nella melodia meno, in quel campo noi italiani siamo geneticamente bravissimi.

Cosa ricordi del tuo primo album e della successiva vittoria al Premio

Tenco?

Tante, troppe cose. In sintesi direi l'esperienza magica di alcune settimane vissute con uno stuolo di musicisti e di amici che hanno trattato la mia musica come fosse la loro. Indimenticabile. Io facevo la regia dell'ambiente e della cantina, sempre molto ben fornita. Naturalmente sempre con un occhio alla musica. Francesco Saverio Porciello alias Savè in regia musicale nella veste di arrangiatore e chitarrista e Rinaldo Donati, che poi arrangerà gli altri miei dischi, nel ruolo di squisito padrone di casa. E poi, tutti i musicisti. La Targa Tenco è arrivata oltre che per merito delle canzoni, grazie al contributo corale di tutti.

Ti senti più poeta, cantautore o più milanese?

La categoria di milanese non ha a che fare col talento, e poi nonostante

voglia molto bene alla mia città non amo flirtare con argomenti di campanile (se non per comiche ragioni), mi piace pensare alla mia radice geografica come ad un destino culturale al quale non posso sottrarmi e per cui nutro un sentimento di amore e rispetto. La mia prima lingua resta l'italiano, e l'ispirazione mi è piovuta addosso ovunque, anche molto lontano dal la miaterra, vedi Brasile e non solo. Certo che sono orgoglioso della mia padanità, anzi, ma non la ostento. Metà del mio sangue è catanese, quindi... Poeta o cantautore ? Intanto ti annuncio che è appena uscito "Nel sangh che rùsa'l vent", la mia prima plaquette in ambito poetico (Ed. Biblioteca di Ciminiera), e quindi direi un po' tutt'e due, anche se in fondo mi sento soprattutto un musicista.

C'è una piccola storia noir milanese che vorresti raccontarci?

Più che una storia ho in mente alcuni personaggi che bazzicavano bar e fiaschetterie in zona Città Studi, dove c'era la pasticceria della mia famiglia. Nella pausa del pranzo si andava a giocare a boccette e ogni giorno c'era il giro dei rochetè e dei ligera, personaggi che ora sono stati sostituiti da figure molto più pericolose e molto meno poetiche. Era una mala che, a pensarci oggi, ispirava quasi tenerezza, una serie di personaggi improbabili che viveva al confine della legalità per pochi soldi e ancor meno ambizioni. Bastava un orologio svizzero rubato al pulàster di turno e piazzato al cliente fisso del Cynar di mezzogiorno, per permettersi una lambretta un po' scassata, magari per portarci la "bella donna" di turno a veder gli aerei partire dall'aeroporto di Linate, magari una "camporella" all'Idroscalo o al Forlanini e, se restava un po' di grana, tutti a San Siro, alle corse dei cavalli...