Altra discesa agli inferi come in Gone Baby Gone, solo che stavolta il film è L’ultima missione del quarantanovenne regista nonché ex agente dell’antiterrorismo Olivier Marchal (autore di Gangsters e di 36 – Quai des Orfèvres), siamo nella patria del polar francese e il titolo originale MR73 rimanda al calibro di una pistola in dotazione alla polizia e che come insegnava Cechov, siccome ad un certo punto la si vede estratta da una scatola, si può star certi che alla fine sparerà.

L’emozione è spesso alta, anzi altissima, merito di una regia che fornisce abbondanti prove della sua esistenza perché conosce esattamente quello che racconta (anche perché la storia è autobiografica…) ed è per questo che Marchal preferisce non tirarla mai troppo per le lunghe perché la necessità di raccontare, e per tramite del racconto esorcizzare, supera di molto la lunghezza che molti riterrebbero consigliata per approfondire.

Approfondire già…Ma a che serve approfondire quando sulla faccia stropicciata come mai prima d’ora di Louis Schneider (Daniel Auteuil) c’è scritto tutto quello che serve di sapere, e cioè tutto il travaglio di un poliziotto marcio ma non perché corrotto, no, ma perché il destino infame, cinico, e baro, lo ha infiltrato per bene, fin dentro le ossa, consegnandogli una moglie ridotta al lumicino, nelle vene più alcool che sangue, nei polmoni più catrame che aria.

Il film procede a sbalzi che sembrano deflagrazioni, un continuo detonare che fa a pezzi tutto quello che gli capita a tiro, leggi, giustizia, rapporti tra colleghi mai come stavolta abbondantemente al di là della semplice sopraffazione e perennemente votati alla distruzione reciproca, amore, morte, resurrezione, senza preoccupazione alcuna perché tanto c’è moltissimo da raccontare, con in primis la caccia ad un serial killer che imperversa come gli pare e piace, storia questa che alcuni hanno paragonato a Seven ma che sembra provenire, riguardo al modo in cui l’assassino riesce a penetrare nelle case altrui, molto simile a Manhunter - Frammenti di un omicidio del grande Michael Mann. Accanto all’indagine ufficiale ce n’è un'altra dove il passato di Schneider si riaffaccia sotto le sembianze di un ergastolano, arrestato dallo stesso Schneider, un ergastolano tutt’altro che redento che una volta rimesso in libertà è intenzionato a portare a termine il lavoro che anni prima aveva lasciato incompiuto.

In un crescendo di grande riuscita drammatica, L’ultima missione consegna alla platea la parabola di un vero e proprio antieroe che come ogni antieroe mentre butta via la vita a palate, è altrettanto capace di portare a termine le indagini che ha veramente a cuore sciogliendo uno alla volta tutti i nodi venuti al pettine delle indagini.

Nell’inesorabile sprofondare di Schneider verso la sua ultima missione, c’è tutto il dramma e tutta la grandezza de L’ultima missione, capace di distinguere sempre la retorica dei sentimenti da un altro tipo di sentimenti, stavolta quelli veri.

Non è poco…