Alla morte di sua madre per overdose, l'undicenne Jeliza-Rose lascia la casa di Los Angeles insieme al padre Noah, un ex musicista rock fallito, anche lui tossicodipendente. I due si trasferiscono in una località sperduta del Texas nella vecchia casa paterna di Noah. Quando anche il padre muore, Jeliza-Rose si rifugia in un mondo fantastico abitato da scoiattoli che parlano e da teste di bambole che le danno consigli. Suoi compagni di viaggio due strambi vicini di casa, Dell, una esperta imbalsamatrice che non si toglie mai di dosso il suo velo da apicoltrice, e suo fratello Dickens, un uomo col cervello di un bambino di dieci e due passioni, le mappe del fondo oceanico e la dinamite…

Terry Gilliam ha dichiarato che Tideland, il suo ultimo lavoro datato 2005 e distribuito solo oggi, è un incrocio tra Alice nel paese delle meraviglie e Psyco, mentre Tim Burton pare abbia dichiarato che ha avuto incubo e questo era Tideland. Sulla prima affermazione ci si può mettere Quarto Potere sul fuoco, sulla seconda no (magari è solo una boutade anche se con un fondo di verità…). Visto il film si può tranquillamente affermare che rimane molto difficile dare torto a Gilliam, giacché il connubio tra Alice e Psyco ha più di qualche ragione di esistere. Tratto dal romanzo omonimo di Mitch Cullin, Tideland è un incrocio lisergico tra il libro di Lewis Carroll e quanto si agitava dietro la cornice thriller del film di Hitchock, vale a dire l’imbalsamazione (anche nella sua applicazione sugli animali sotto forma di tassidermia) con tutti gli annessi e connessi che hanno a che fare anzitutto con la spiacevole conseguenza legata alla dipartita di questo mondo, ossia la corruzione del corpo e successivamente con la necrofilia (senza trascurare un ulteriore dilemma, e cioè se in confronto a tale pratica si sia più morti da vivi o più vivi da morti…). A menare le danze Gilliam convoca il suo stile (siamo dalle parti di Paura e delirio a Las Vegas) e una tredicenne di nome Jodelle Ferland, giovanissima ma già straordinaria attrice chiamata a calarsi nei panni, non facili, di Jeliza-Rose. La vediamo infatti passare con estrema disinvoltura dalla preparazione della dosa quotidiana di eroina per il papà tossico (Jeff Bridges), al gioco con le bambole preferite (tutte provviste solo di testa), fino ad arrivare ad un tête-à-tête con il bizzarro Dickens (Brendan Fletcher), relazione quest’ultima che a tratti si colora di sfumature pedofile, per poi alla fin fine trovare, in uno scenario post-apocalittico, un rifugio in quella che appare essere un embrione di nuova famiglia dalla quale ripartire. È evidente che Gilliam abbia oramai da tempo deciso di percorrere la sua strada costi quel che costi. Lo fa toccando temi, come in questo caso, non proprio di facile gestione. Se ci riesce, senza scadere mai nel morboso, è perché si tratta del classico cineasta che se da un lato ama trattare argomenti seri, dall’altro si guarda bene dal farlo in modo serioso. Ecco allora che un film come Tideland, con le sue mummie, i suoi deliri, le sue scene “hard”, ha bisogno per sopravvivere indenne sì di Alice e di Psyco, ma in fin dei conti anche di uno sguardo (quello di Jeliza-Rose…) capace di arrivare fin sul l’orlo dell’abisso ma altrettanto capace di conservare quel briciolo di fantasia sufficiente per guardarvi dentro senza perdervisi, in definitiva uno sguardo in guardo di dissacrare le storture del mondo reale. Gilliam vs Burton? Perché no? Pare di poter dire che il primo si diverte a disseminare dispositivi fantastici nel mondo adulto per scuoterlo dal di dentro, per metterlo perennemente in discussione, mentre il secondo si prende la briga di istituire continui paralleli tra infanzia e condizione adulta (da quale parte stiano i due, non è difficile da capire…).