Seconda parte del film pensato “a due” (parti…) ma “sparato” nelle sale (senza grande successo, peccato…) a “passo uno”. Si usciva da Grindhouse – A prova di morte (vedi cinema/4938) elettrizzati e prontissimi a saltare sulla prima macchina di passaggio (pure una Trabant sarebbe andata bene) per lanciarsi in una scorribanda emulativa di quanto appena visto. Si esce invece da Grindhouse – The Planet Terror di Robert Rodriguez, certo più mosci di quando si era entrati, con la sensazione che Picasso avesse ragione nell’affermare che “ solo i geni copiano, i mediocri imitano”. L’humus di partenza è quello dell’episodio di Tarantino, la serie Z anni ‘70 riprodotta anche in questo caso con fedeltà commovente (i graffi della pellicola, i salti del proiettore, la fotografia slavata), ma stavolta il risultato è modesto assai. La storia, confusa e pasticciata, fa discendere le orripilanti mutazioni in corso tra i cittadini di un paesino del Texas trasformati in simil-zombie chiamati “sicko”, da “qualcosa” accaduto in Iraq neanche tanto tempo fa (al più tardi siamo ai tempi di Desert Storm, inizio anni ’90 quindi…) contagio che può essere tenuto a bada solo respirando una sostanza gelosamente custodita da un gruppo di reduci capitanati dal tenente Muldoon (Bruce Willis), tutti attrezzati con mascherina d’ordinanza (tra i reduci figura pure Tarantino in una parte odiosissima…). Però c’è anche un altro gruppo di sopravvissuti per di più immuni al contagio (merito di un DNA in vena di scherzi). All’interno di questo gruppetto prende corpo prima la storia di William (Josh Brolin) e Dakota (Marley Shelton) Block, marito e moglie ai ferri corti (lei tradisce lui con un’altra lei), entrambi medici di un pronto soccorso pronti a darsela a gambe appena le cose si mettono male, poi quella di dell’ex go-go-dance Cherry, rimasta senza una gamba per colpa di un famelico sicko e con un mitra come protesi (Rose McGowan, presente anche in A prova di morte dove era la bionda Pamche avvicina Stuntman Mike al bancone del bar…), la cui trasformazione in letale macchina da guerra non avviene, come il trailer ingannatore lascia intendere, subito, ma in una fase della storia molto avanzata. Inutile cercare le finezze stilistiche di A prova di morte, i dialoghi avvolgenti, il ritmo adrenalico. Rodriguez, molto meno talentuoso del suo sodale Tarantino. Cita pure lui (Romero in primis), ma si limita ad impostare l’alzo zero a qualunque cosa sia in grado di sparare, tagliare, bucare della carne (umana) e macina a grana grossa tutto quello che gli si para davanti. L’operazione cinefila riesce, ma come già detto senza risultati che non siano quelli di una semplice e in fin dei conti sterile, imitazione. Dei finti trailer Thanksgiving (di Eli Roth), Werewolf Women of the S.S. (Rob Zombie), Don't Scream (Edgar Wright ), non v’è traccia. L’unico visibile è Machete (sempre di Rodriguez).