E' settembre. Le vacanze sono ormai finite, le scuole sono ricominciate e ognuno ha ripreso i propri ritmi. Il nostro salotto letterario continua con il suo appuntamento mensile e questa volta ospita un autore che ha dedicato il suo primo romanzo alla città italiana che rappresenta la produttività: Milano. Andrea Ferrari è infatti l'autore alla sua prima volta editoriale con Milano A. Brandelli (libri/5316), uscito pochi mesi fa per la casa editrice Eclissi.

Per prima cosa grazie Andrea per aver accettato di essere ospite. Direi di andare con ordine e di partire dal titolo. Non ti nascondo, infatti, che, se ho letto questo romanzo, gran parte del merito va al titolo che ha saputo incuriosirmi al punto giusto per spingermi ad andare oltre.

Milano A. Brandelli nasce un po' come un gioco. Mi piacevano un sacco tutti quei racconti e quei film anni settanta tipo Milano calibro 9 oppure Milano violenta, la polizia spara etc.etc. quindi ho deciso che il libro lo avrei intitolato con Milano seguita dal nome del mio detective. Lo strano gioco di parole non mi è venuto in mente subito, me l'ha fatto notare la mia ragazza e la cosa mi ha molto divertito. Io volevo solamente che il titolo giocasse sul fatto che nel romanzo venivano descritti pezzi di Milano e che il lettore credesse che fosse piuttosto cruento, mentre all'interno avrebbe trovato la sorpresa di un noir molto poco noir. Si rifaceva tutto al mio progetto di noir alternativo. Confessione, il nome di Brandelli voleva essere un omaggio al commissario Bordelli di Marco Vichi, ma nessuno fin qui pare essersene accorto.

In effetti, il commissario Bordelli non mi ha nemmeno sfiorato, poi forse dipende dal fatto che non amo e non seguo particolarmente questo personaggio. Hai detto però una cosa interessante: hai parlato infatti di "progetto di noir alternativo", cosa intendi?

Nel mio progetto lo scopo del romanzo, che peraltro mi pare di aver raggiunto, è quello di divulgare un tipo di noir che si distacchi da quello classico, pur abbracciandone i cliché. E' un libro che prova a ribaltare i concetti, e la figura del mio detective è fondamentale, perché risulta essere l'anti anti eroe per eccellenza: fa il detective privato, ma è un cornarolo di periferia, non fuma non beve e va aletto presto la sera, non indaga su strane vicende e dopotutto non è proprio brillantissimo. Però forse per la sua normalità ha quel non so che che attira.. Per chiudere direi che è un libro che a prima vista può sembrare facile, ma che se letto con attenzione nasconde tanti spunti di riflessione sulla modernità e sulla città.

Quindi il tuo romanzo può essere definito un anti-noir?

Proprio anti noir direi che è un po' troppo forte, preferirei chiamarlo un noir diverso. Anche se Grigio cittadino è la definizione migliore.

Hai già cominciato ad accennare alla figura di Andrea Brandelli, che è uno dei due cardini della vicenda. Non a caso, immagino, il protagonista porta il tuo stesso nome di battesimo. Quanto di te c'è in Brandelli?

Molto. Problemi sentimentali a parte, direi che se ci scambiassimo i ruoli lui scriverebbe di me le stesse cose che io ho scritto di lui. Forse lui ci metterebbe qualche parolaccia in meno, fra me e lui il principe del turpiloquio sono io. Mentre le lingue scandinave lui le sa meglio di me, perché nonostante la mia laurea fiammante me le sono praticamente scordate.

Direi quindi che il legame tra voi due è piuttosto forte. Ma che rapporto hai con Brandelli?

Ci convivo da trent'anni, ma ultimamente mi sta un po' meno sulle palle. Che dire, è difficile accettare se stessi per quello che si è e quindi cosa c'è di meglio che prendersi un po' per il sedere e provare a fare l'intellettuale? Scherzi a parte, direi che Brandelli rappresenta la mia chiave di lettura della realtà e il mio modo di difendermi dagli altri. Ogni tanto poi mi torna utile per provare sentimenti che non ho mai avuto la sfortuna di provare.

Il tuo detective nel romanzo è affiancato da una partner di eccezione, che è l'altro cardine attorno al quale ruota l'intera opera: Milano. Come ho detto nella recensione la città riveste il ruolo di vera co-protagonista: amica, amante, madre. Tu ami Milano?

Quando ti viene chiesto se ami qualcuno le risposte possibili sono solo due: si o no. Per Milano la risposta è si.

Per me che vivo Milano quotidianamente è bello trovare nel tuo libro questo amore. Milano spesso è identificata come la metropoli per eccellenza, dove smog, traffico, freddo, nebbia e grigiore la fanno da padroni e dove non c'è altro. Nel tuo romanzo, invece, viene fuori una Milano bellissima, da scoprire, lontana dai soliti luoghi comuni. Tu che rapporto hai con questa città?

Bè, credo che sia davvero una gran bella città, nonostante i milanesi!! La città la vedo come il luogo ideale per vivere, perché è grande, ma non immensa e soprattutto perché conserva ancora una parte della sua vivibilità antica. Poi credo che il fattore scatenante di questo amore sia il fatto che ormai sparare su Milano sia più o meno uno sport nazionale. Il mio non è assolutamente uno spunto legaiolo, ci tengo a precisarlo, il fatto è che Milano è insieme metropoli e paese e ti permette di mimetizzarti attraverso i propri scorci, mentre scappi dalle angherie della vita. E' protettiva e umida, con il suo inconfondibile grigio così accogliente e così uniforme. Ora basta sennò mi frego un mucchio di frasi per i prossimi libri. Non ho il paraocchi però, quindi non disdegno di tirare delle stoccate ai milanesi, alla classe politica e agli stereotipi di cui Milano è protagonista (frenesia, spersonalizzazione, traffico e via dicendo) anzi inserisco le mie storie in questo moto perpetuo che è la città con tutte le sue nevrosi. E per di più la giro metaforicamente con un personaggio che punta il dito su tutti questi stereotipi, ma che ne è una vittima più o meno inconsapevole. Non so dove ho letto che la storia la fanno i vinti e quindi credo che Milano farà la storia, perché sta perdendo su tutta la linea.

Spiegati meglio.

Sta perdendo suo malgrado le sfide per mettersi al passo con i tempi. O meglio, la stanno facendo perdere. Chi? Gli amministratori (vedi vicenda box, traffico, inquinamento…) e i milanesi, che la sfruttano e poi partono per il week-end.

Qui entriamo nel merito di argomenti che esulano da libro. Tornando, invece a noi, c'è una frase, secondo me che condensa in poche righe l'essenza di Milano, che mi ha colpito e che non esito a definire la mia frase preferita: "Milano è bellissima tutto l'anno, ma in ottobre non ha eguali. I milanesi sono stronzi tutto l'anno e in ottobre un po' di più, forse per bilanciare la dolcezza della città. Brandelli era un milanese doc e, in linea con i suoi concittadini, si sentiva effettivamente più incazzato del solito."

Ecco questa frase è una sorta di summa teologica di quello che rappresenta Milano A. Brandelli, vale da sola quasi tutte le risposte date fino a qui.

Una domanda, che forse è scontata, ma che mi è venuta naturale leggendo il tuo romanzo: quanto e come i grandi autori che hanno parlato di Milano ti hanno influenzato? Nomi come Scerbanenco, Biondillo, Dazieri ti sono passati per la testa?.

Mi hanno influenzato tanto, ma in modo indiretto, perché credo di avere un punto di vista piuttosto autonomo sulla città. Certo che i vari Scerbanenco, Colaprico, Biondillo e Dazieri non siano prescindibili, io sto solo cercando di trovare il mio spazio fra questi giganti nel modo più umile e consapevole possibile. Di Scerbanenco mi ha sempre stupito la freddezza con cui raccontava il cambiamento violento che attraversava Milano e che era da individuarsi non solo nella mala, ma soprattutto nel tessuto sociale cosiddetto normale. Di Biondillo mi affascinano la precisione e la passione con le quali muove i suoi personaggi dalla periferia al centro e viceversa e soprattutto la padronanza della lingua sempre efficace e mai eccessiva. Di Colaprico l'aspetto che mi colpisce di più è la profonda conoscenza delle cose criminali e soprattutto come doti i propri personaggi di un'umanità fuori dal comune con l'aiuto di uno stile semplice ed efficace, senza fronzoli ma pieno. Dazieri dal canto suo ha il pregio di raccontare, quasi come uno sceneggiatore, una realtà che mi appartiene e che mi coinvolge anche sentimentalmente. Non c'è niente di loro nel mio romanzo, ma la loro presenza aleggia per Milano e quindi scappano fuori in qualche angolo qua e là.

Dopo aver parlato dei due protagonisti, affrontiamo quella che è la cosa che mi ha meno convinto del tuo romanzo: la trama. Mentre i due cardini sono perfettamente oliati, la struttura che gravita loro attorno è debole e faticosa. Un lettore appena appena attento e avvezzo al genere capisce con una certa facilità l'epilogo. Questa costruzione è una scelta o è frutto dell'inseperienza?

Se è così allora ho raggiunto il mio scopo. Anche se non la definirei debole, direi piuttosto che è messa volutamente in secondo piano. Non è la vicenda il centro del libro, ma il continuo evolversi dei sentimenti del protagonista a seconda delle situazioni in cui si trova. Direi che la trama è uno spunto per dare una visione di Milano e dell'animo umano in chiave Brandellicentrica. E dopotutto credo di esserci riuscito, visto che i lettori si appassionano a lui senza che si comporti da supereroe. Anche questo punto rientra nella mia progettualità di nuovo noir di cui ho detto sopra. Il prossimo lavoro sarà più articolato, ma la trama non sarà mai il protagonista.

A questo punto passiamo a una domanda che interessa tutti gli aspiranti autori. Come sei arrivato alla pubblicazione? E' stato difficile?

Abbastanza facilmente e con molta fortuna. Avrò inviato il manoscritto a quattro o cinque case editrici piccoline (per scelta), tra cui Eclissi e poi mi hanno contattato. Ci siamo visti e sono rimasto conquistato dalla loro gentilezza e dalla bontà del loro progetto e dei libri che avevano pubblicato fin lì. Ora il rapporto che mi lega a Eclissi è più profondo di quello che di solito c'è fra editore e scrittore. Non potrò mai ringraziarli abbastanza.

Quindi sei soddisfatto del risultato?

Al cento per cento, che per me è cosa assai rara.

A questo proposito mi piacerebbe sentire anche il parere dell'editore. Ho chiesto a Federica Mauri perché la Eclissi ha deciso di investire su Milano A. Brandelli e perché, secondo lei, bisognerebbe leggere il romanzo di Andrea.

Milano A. Brandelli è un'opera originale e godibile, il linguaggio giovane, fresco ed efficace nella sua semplicità ci è parso subito interessante, così come l'entusiasmo di Andrea e il progetto insolito di un noir senza fatti cruenti, tendente al grigio (per citarle l'autore) più che al nero, che abbiamo subito condiviso. Una casa editrice non può essere considerata solo un diffusore di cultura e un punto di arrivo, ma al contrario è un punto di partenza per la circolazione delle idee, e tra le pagine di Milano A. Brandelli di idee ce ne sono.

Inoltre il libro va letto perché innanzitutto l'autore è giovane e appassionato e con un futuro da scrittore, poi perché Brandelli, nella sua normalità, nelle sue reazioni "umane" davanti alle situazioni in cui viene a trovarsi, ha un qualcosa che ci appartiene, oltre ad essere simpatico, a volte un po' imbranato o ingenuo, e divertente. Infine, come avete già detto ha una co-protagonista d'eccezione: Milano. Il libro è insieme uno sguardo e un'appassionata dichiarazione d'amore per la città, Brandelli attraversa vie e quartieri, li vive e li fa vivere. È un libro per chi, come me, condivide il medesimo sentimento ma anche per quei lettori che non vivono a Milano o non la apprezzano. Saprà scardinare le loro resistenze.

E secondo te, Andrea, perché leggere Milano A. Brandelli?

Per sentire un parere in più.

Mi piacerebbe concludere questa intervista in maniera un po' diversa dal solito. Prova a immaginare cosa direbbero di Brandelli i suoi colleghi più "grandi". Duca Lamberti?

Il caldo lo opprimeva. I quaranta gradi che c'erano fuori diventavano almeno il doppio nel suo ufficio in via Fate bene fratelli, e gli lasciavano la camicia appiccicata dietro la schiena. Mascaranti era fuori per cercare un ruffiano che aveva sfregiato una donnina che batteva in viale Umbria e non sarebbe tornato prima di un paio d'ore, quindi gli restava il tempo per finire quel libro che gli aveva regalato Livia Ussaro le settimana scorsa. Non amava i romanzi polizieschi o cose del genere, ma lei glielo aveva preso in un moto di felicità assai raro in quel periodo e quindi aveva deciso che sarebbe arrivato fino in fondo. Milano A. Brandelli, si intitolava, Livia probabilmente lo aveva scelto per il titolo, perché in un certo senso le serviva per esorcizzare quel dramma che la pervadeva e perché lui aveva sempre messo insieme tutti i pezzi di Milano che i milanesi tanto per bene spargevano con le loro nefandezze. Il libro in realtà era piacevole, ma la Milano che vi era raccontata non sembrava neppure lontana parente di quella che gli toccava di battere tutti i giorni in cerca del sordido e del putrefatto nascosto tra le maglie del progresso e del profitto milanese…

Il Gorilla?

Sono sotto il bar di Oreste indeciso se farmi un ultimo drink o sbattermi a letto e passare la palla al mio socio, quando mi accorgo che ho in tasca un libretto giallo e nero con uno strano titolo: Milano A. Brandelli, non so perché ce l'ho in tasca, molto probabilmente il socio lo ha preso in una delle sue scorribande su internet e non me ne ha dato conto nel suo ultimo bigliettino. Bè visto che l'ha comprato che se lo legga lui. Finisco le scale entro nel mio appartamento e mi sdraio sul divano, ho il libro tra le mani e chiudo gli occhi. Che se la smazzi il socio sta' rogna.

L'Ispettore Ferraro?

Ferraro quel libro lo aveva comprato così, senza un motivo particolare. Il titolo lo aveva subito intrigato e aveva deciso di prenderselo. Arrivato in commissariato, se lo stava sfogliando davanti alla macchinetta del caffè quando commise un errore da pivello. Augusto Lanza il suo impareggiabile collega, non possedeva nemmeno la minima inclinazione al senso dell'umorismo e quando Ferraro gli fece leggere il titolo del libro si scatenò il cataclisma. -Milano A. Brandelli, cos'è un'opera su qualche catastrofe occorsa a Milano negli ultimi anni? Ah poi c'è un refuso, caspita proprio nel titolo. Non ci vorrebbe quel puntino, fra la A e il resto.-

- Ma no Lanza è un titolo a effetto, dice una cosa ma ne significa un'altra, A. Brandelli è un tizio, un detective privato un po' sfigato.-

- Ci credo che sia sfortunato Ferraro, se lo hanno fatto a pezzettini.-

- Ahh Lanza cazzo, il titolo è un gioco, una roba fatta apposta per creare un po' di smarrimento nel lettore, non fanno nessuno a pezzettini qua dentro.-

- Qua dentro? Certo che no, siamo in un commissariato di polizia sarebbe quanto meno grottesco non trovi?.- Fece Lanza con uno sguardo da verginella. Ferraro lasciò perdere maledicendosi per averci tentato come ogni volta a coinvolgere Lanza in una situazione divertente. Poi un'urgenza più grossa lo distrasse, essendo mattina, e si chiuse al cesso a leggere le disavventure di quel povero fesso di Andrea Brandelli detective privato.

Il maresciallo Binda?

La giornata in caserma era stata estenuante, Binda aveva dovuto firmare una montagna di documenti e si era alzato solo un paio di volte dalla scrivania per vedere se avesse smesso di nevicare. Tornando a casa infreddolito si era lasciato andare ai suoi ricordi di bambino quando giocava nella neve fino a che le mani non gli diventavano viola e la sua povera mamma lo costringeva in casa perché si riscaldasse. Ora la neve gli sembrava quasi un fastidio, perché rischiava di scivolare ogni due passi e soprattutto perché con tutto quel traffico di Milano, restava bianca solo il tempo di appoggiarsi a terra, poi prendeva quel colore di fanghiglia grigio – marrone e metteva più schifo che gioia. Dopo cena si buttò in poltrona, la moglie era in cucina a riassettare e suo figlio era fuori con gli amici. Aprì con curiosità quel libretto nero con quel titolo così strano: Milano A. Brandelli e ricominciò a leggere dal capoverso che aveva lasciato la sera prima. La vita di quel detective di periferia che si occupava di tradimenti e cose simili lo intrigava, ma nello specifico di quell'indagine, Binda, non riusciva a fare a meno di trovare delle falle nel modo in cui operava quel ragazzo. Lo diceva sempre Binda, che certe cose le dovevano fare i professionisti!