Rebecka Martinsson

Una detective lady in profonda depressione…

 

“Nel giorno di mezza estate, quando la notte bisbiglia e la gente diventa irrequieta, in una terra incantevole ai limiti del mondo, si compie un delitto feroce. Nella chiesa di Jukkasjärvi, piccola località nei pressi di Kiruna, viene ritrovato il corpo martoriato del pastore Mildred Nilsson, una figura controversa che con l’intransigenza delle sue posizioni aveva diviso le anime del paese, attirando odio viscerale e venerazione. L’avvocato Rebecka Martinsson torna a casa per tutt’altre ragioni e, senza volerlo, si trova a dare una mano all’ispettrice di polizia Anna Maria Mella, rientrata alla centrale dalla sua quarta maternità. Perché si è arrivati a tanto furore? Da che parte sta la ragione? Può davvero la colpa essere attribuita con certezza?”.

Ecco in sintesi-sintesi il succo di Il sangue versato di Asa Larsson, Marsilio 2007. Aggiungo che un omicidio simile è già stato compiuto due anni prima nella chiesa di Kiruna. Vittima Viktor Strandgard figura di primo piano della congregazione della Fonte della Forza (Cfr.Tempesta solare della stessa autrice).

Aggiungo ancora la scoperta di certe lettere con minacce di morte e un disegno che rappresenta (sembra) una donna con i capelli lunghi appesa ad un cappio…

E veniamo a Rebecka Martinsson. Avvocato fiscalista, magra come un chiodo, (però sempre bella se quasi alla fine del libro alcuni signori anziani le lanciano un’occhiata di apprezzamento) lavora per lo studio legale Meijer and Ditzinger. In profonda depressione dopo avere ucciso tre uomini, per legittima difesa, a Kiruna. Questo episodio come una cicatrice nel suo animo. Il pensiero la tormenta “ Ma perché?, si chiese. Perché bisogna ricordare? Rotolarcisi dentro e scavare? Cosa ci si guadagna? Chi può garantire che serva a qualcosa? Che non si affoghi semplicemente nel buio?”. Dorme poco e male. Si è messa in malattia anche se i suoi soci la fanno partecipare lo stesso ai processi. Basta solo la sua presenza. Con gli altri non parla molto anche se all’inizio dà “al pilota una mancia troppo alta. Una sorta di compensazione per avere risposto a monosillabi a tutti i suoi tentativi di attaccare discorso”. Testa scollegata “come quando ci si trova davanti al frigorifero e ci si domanda cosa si sta facendo in cucina”. Casa tutta all’aria: piatti sporchi, posta e giornali sul pavimento. Un suo collega, Torsten Karlsson le offre la sua casetta in campagna. Si riprende. Tutta presa dai lavori di incatramare e stuccare. E se suda e fatica a tirar acqua le viene spontaneo esclamare “Questa sì che è vita!”.  Non sopporta i curiosi che vogliono sapere le sue ultime vicende. Specialmente Petra, la nuova assunta bionda che alla fine le scarica addosso “Allora, che effetto fa uccidere qualcuno?”. Colpita dai ricordi. Soprattutto quando è in compagnia dei genitori e della nonna. Della nonna che mungeva, dei fiori che le portava. Del padre di cui non riesce a ricordare il viso ma rivede la camicia di cotone, morbida come seta, il coltello alla cintola, il fodero di pelle scura e lucida, il bel manico d’osso intagliato. Oppure di quando la portava sulle spalle insieme alla gerla dei mirtilli, la nonna li seguiva a passi brevi. Con loro due cani, uno vecchio e uno più giovane. Non mancano ricordi dei luoghi dove ha vissuto da ragazzetta: il bosco, il fiume dove faceva il bagno a sei, a dieci, a tredici anni fino a quando si è trasferita in città. Nel tardo pomeriggio dormiva accanto al fuoco con il giubbotto di papà come cuscino. E ricordi della madre con i capelli in ordine, il cappotto verde pisello con una fascia in vita e il collo di pelliccia, gli stivali con il tacco alto, il buon profumo, la cipria al viso, l’acqua di colonia al collo. Un bel vedere. Ma se si guardava meglio si poteva notare le scarpe di poco prezzo, le unghie rosicchiate e la mano che tremava mentre portava la sigaretta alla bocca. Una pazza.

Quando porta via le lettere di Mildred dalla cassetta di sicurezza aspetta invano che arrivi la paura, il panico di essere scoperta. Ma il panico non viene. “Anzi, si sente più leggera”.

Nostalgia degli abbracci quando il vicino di casa della nonna la abbraccia “sprofonda in un mare di pace”. Ha salvato due bambine, Sara e Lova.

Il suo dolore interno è avvertito anche dagli altri. Mangia cotoletta di renna con purée di patate e un buon bicchiere di vino rosso, la mattina Yogurt con muesli (?) e un buon caffè.

Ecco come a un certo punto della storia viene vista da un personaggio per nulla secondario come Lisa Stöckel “ Un’altezzosa segretaria di direzione o qualcosa del genere. E c’era qualcosa di strano in lei, forse un microsecondo di ritardo nelle sue reazioni. Come se dovesse sempre pensare prima di rispondere, fare un gesto o sorridere”. Va in giro “con una giacca a vento anni settanta e una coda di cavallo legata da un elastico marrone, di quelli che ti strappano i capelli quando te li togli”.

Per alcuni giorni lavora in una specie di locanda, porta vassoi avanti e indietro, lava piatti e bicchieri. Ma soprattutto non ha il tempo di pensare. Si sente bene. Guadagna cinquanta corone all’ora, duecentocinquanta per tutta la serata. Più le mance. Quando Lars-Gunnar l’accusa di fare la spia e perde il lavoro non si dà per vinta. Butta all’aria la casa della nonna e la rimette in sesto. Con fatica, con sudore. Attaccatissima a Nalle, un ragazzo handicappato “Quel ragazzo ritardato era la persona a cui si era avvicinata di più da un’eternità”. Messa male ma, secondo l’autrice stessa, “si rimetterà in piedi”.

Passiamo ad Anna Maria Mella: ispettrice di polizia, sposata con quattro figli. Un miracolo. Non è separata né divorziata!

Primo spunto: rapido sorriso e volto cavallino (mi ricorda quello di Hildegarde Martha Withers di Stuart Palmer).

Vista da Rebecka: piccola, con l’abbronzatura che copre le lentiggini, la treccia spessa. Sulla fronte una fila di punture di zanzare. In seguito “All’epoca la poliziotta era incinta quasi cubica, mentre ora era magra. Ma aveva le spalle larghe e l’aria forte, anche se era così bassa di statura. I capelli raccolti nella solita treccia sulla schiena. I denti bianchi e regolari nel volto cavallino. Un pony-poliziotto”.

Quando prende il caffè si sveglia nel bel mezzo della notte. Allora ascolta la radio, beve una tazza di camomilla, stira le camicie di suo marito Robert. Le danno fastidio i vicini di casa troppo diligenti nelle faccende domestiche, sempre pronti a spalare la neve e pulire dappertutto. Il problema delle pulizie un po’ la tormenta. Ma anche nei momenti di malumore viene fuori il suo lato ironico e positivo. La stanza di Marco, suo figlio, le fa più paura dei quartieri malfamati che in confronto sembrano usciti “da una rivista di arredamento”. Rivolgendosi al marito che sta leggendo il giornale “C’è qualcuno lì dietro?”. In seguito saprà narrare una storiella divertente che riguarda lei e il marito. Curiosa. Quando è al telefono con Christer Elsner, professore di storia delle religioni, le piacerebbe continuare a parlare con lui e magari accompagnarlo durante una passeggiata solo per ascoltarlo. Guida veloce. Talvolta troppo veloce. In tasca tiene sempre dei fazzoletti di carta “C’è sempre qualcosa da asciugare dalla faccia di Gustav. Gelato, banana, moccio.”. Una vera mamma-poliziotto.

Ma il personaggio principale del libro, quello intorno al quale ruota tutta la vicenda, non sono né Rebecka né Anna Maria. E’ Mildred. Sposata e lesbica. Ovvero il “fantasma” di Mildred che aleggia praticamente su quasi tutti i personaggi mettendone a nudo i lati più deboli, più delicati, più brutti, più umani. Mildred che in vita, con il suo comportamento, ha scatenato nel piccolo paese in cui vive una serie di reazioni contrastanti: dall’odio viscerale alla venerazione. Mildred è la chiave di volta dell’autrice per scavare a fondo negli animi e portare alla luce tutto ciò che è nascosto. Storie che si intrecciano con altre storie con una istintiva naturalezza. Passato e presente che si uniscono e si staccano in continuazione. Un tono basso, quasi monotono a segnare la vita che scorre. Una prosa secca, asciutta, essenziale con quel minimo di ricchezza indispensabile (ad essere pignoli qualche svolazzo psicologico di troppo) per disegnare la complessità degli inconsci. E poi l’ambiente, il paesaggio, quei boschi, quei cieli, quegli spazi immensi, quel profondo silenzio della natura che sembra fatto apposta per ascoltare le voci più intime dell’animo. Infine la storia di una lupa, Zampe Gialle che viene scacciata dal branco e che lotta duramente per la sopravvivenza.  Come il simbolo della vita stessa di ognuno di noi.

Anna Travis

Capelli rossi e ricci, naso “spruzzato di lentiggini”, ha sempre a portata di mano un blocco di appunti…

Quando sullo scaffale di una libreria di Siena ho visto campeggiare Dalia Rossa di Lynda La Plante, Garzanti 2007, ho pregato nel mio inconscio perché il detective di turno non appartenesse al genere femminile. In tal modo mi sarei tolto un bel peso in tutti i sensi.

Trattasi, infatti, di un Malloppone di 475 (quattrocentosettantacinque!) pagine che mette paura solo a guardarlo. L’ho tirato giù dallo scaffale facendo leva sulle mie forze residue, l’ho aperto, ho incominciato a leggere la presentazione e…e sono incappato nel sergente della polizia londinese Anna Travis. Non c’era scampo. Dovevo acquistarlo per tenere aggiornata questa stramaledetta rubrica. E così è stato. Meno male che qui non interessa molto il contenuto. Così posso riassumerlo dalla presentazione stessa del libro e togliermi un po’ di fatica “Londra. Sulle rive del Tamigi viene ritrovato il corpo di una giovane donna. Il cadavere è tagliato in due all’altezza dei fianchi e reca orribili segni di torture. Il delitto ricorda quello di Elizabeth Short, soprannominata la Dalia Nera, uno dei più famosi casi irrisolti della Los Angeles degli anni ’50. Passano giorni prima che la ragazza riesca ad essere identificata: si tratta di Louise Penne, aspirante modella ventiquattrenne. Pochi gli indizi in mano ad Anna Travis, il sergente della polizia assegnato al caso: una foto che ritrae la vittima vestita di un miniabito rosso e una rosa nei capelli, e le somiglianze con il caso della Dalia Nera. Somiglianze che, con il proseguire delle indagini, si fanno sempre più inquietanti e insistenti. E quando l’assassino incomincia a inviare alla stampa biglietti identici a quelli che inviava il killer di Elizabeth Short, Anna non ha più dubbi: l’omicida è un copycat in piena regola, un sadico così ossessionato da quel delitto, da volerlo riprodurre alla perfezione in ogni sua parte”. Aggiungo solo che la storia si svolge nell’arco di trentaquattro giornate. E qui basta e avanza.

Veniamo ad Anna Travis.

E’ alla sua quarta indagine. Si è fatta le ossa con un serial killer di nome Daniels. Ha i capelli rossi e ricci e il naso “spruzzato di lentiggini”. Ha perso tutti e due i genitori (strano, vero?). Buona osservatrice e ascoltatrice ha sempre a portata di mano un blocco per appunti. Questa degli appunti è una sua caratteristica che viene sottolineata molte volte. Come la sua bravura nel redigere i rapporti. Una vecchia storia con l’ispettore capo Langton non ancora assorbita “L’ispettore si allontanò e Anna si sentì vagamente depressa, non perché Langton non le avesse detto che non aveva fatto un buon lavoro, ma per la sua vicinanza. Avrebbe voluto che lui avesse qualche reazione personale, ma non ce n’erano state. Era come se la loro relazione durante le indagini dell’ultimo caso a cui avevano lavorato insieme non fosse mai esistita”. Da allora non aveva avuto altri rapporti amorosi. E’ attratta dal giornalista del “Sun” Dick Reynolds che le piace sin dal primo momento. Al suo primo incontro si prepara con cura.  Timida, arrossisce o cerca di non arrossire. Lavora con impegno. Se non ha voglia di prepararsi da mangiare basta una pizza e una bottiglia di vino, oppure si fa un toast. Non ci sono problemi. Dorme male, ha qualche incubo. Istintivamente gelosa della professoressa Aisling Marshe  corteggiata dal suo capo “Langton sembrava così ipnotizzato dall’analisi di Aisling Marshe che Anna avrebbe voluto dargli uno schiaffo”. Oppure “Tra di loro c’era un’intimità che Anna trovava insopportabile anche se sapeva di non avere alcun diritto di sentirsi così”. Questa storia con Langton va praticamente avanti per tutto il libro. Con alti e bassi (lo voglio, non lo voglio) fino alla “soluzione” finale che non vi dico ma che avrete già intuito. Una storia nella storia. Ad un certo punto della lettura è avvenuta una cosa curiosa. A pagina 108 e 109 c’è una sfilza di Anna non disse niente, Anna rimase in attesa, Anna sorrise che mi hanno riportato in mente alcune pagine di Maschera Bianca di Edgar Wallace che adopera quasi le stesse frasi per Mason, l’ispettore capo di Scotland Yard. Ma guarda un po’ dove a volte ti porta il cervello! Mi è venuto da sorridere anche a me.

Le piace vestire elegante ma non può permetterselo. Non è alta e snella come la Marshe. Una frecciatina a Langton sulle sue buone maniere migliorate da quando ha conosciuto la professoressa. Quando la toccano su Reynolds va via come una furia. Notte speciale con lui ma non sente suonare le campanelle dell’amore. Niente parenti stretti, pochi amici. Guida una Mini. Soffre di emicrania. In crisi dopo che si sente sfruttata da Reynolds (gli ha dato delle informazioni sul caso che lui pubblica sul giornale). Piange e singhiozza, trova conforto con la fotografia di suo padre. Inserisce il “pilota automatico”: prende il caffè, si lava, pulisce la cucina, rassetta il soggiorno ecc…

Affronta Reynolds, lo tratta a male parole e gli getta il caffè in faccia. Si scusa con i colleghi. Quando può si fa una doccia. Naturalmente ben preparata sul piano fisico.

Mi aspettavo di più.

 

Spazio libero

Abbonatevi e moltiplicatevi!

A che cosa? A Sherlock Magazine, s’intende. Perché? Ma perché ci sono anch’io…

Mi è arrivato finalmente il numero otto di Sherlock Magazine cartaceo. Un numero diverso dagli altri. Veramente speciale. Ma speciale speciale. L’avete già capito. C’è pure il sottoscritto. Per la prima volta. E dunque l’aggettivo speciale può prendere connotati diversi. Io, comunque, ce l’ho messa tutta. Ho scritto Gli scacchi nella letteratura poliziesca e siccome è una vita che mi occupo di scacchi ed è una vita che leggo romanzi gialli qualcosa di buono l’avrò pure buttato giù. Non potete immaginarvi quanti giallisti di vaglia abbiano infilato gli scacchi nelle loro storie. Da dà a maiali come si dice dalle nostre parti (un po’ di linguaggio popolare fa sempre bene). E se ne scoprono ancora di nuovi.

Non ditemi che l’articolo è brutto che mi metto a raddrizzar banane. Se questo proprio non vi piace allora c’è la nuova rubrica Pillole velenose pungente come il mio spirito. Una cosa da far allargare la bocca di un mezzo sorriso pure al mio editore mentre conta le copie dei libri venduti. Vera sciccheria. Ho preso di mira tre capoccioni del giallo: Sherlock Holmes, Hercule Poirot e Agatha Christie. Andate a vedere come li ho conciati! Da pisciarsi addosso…(mettete i pannoloni).

Se non vi vanno bene queste due proposte non buttatevi giù. Avete una scelta coi fiocchi. Per esempio proprio di fianco a “Pillole velenose” c’è un articolo di Sabina Marchesi (sì, lei, quella gnocca di Sexy Thriller!) proprio sulla Regina del giallo che può interessarvi. Oppure, che dire…Volete farvi una ripassatona del romanzo poliziesco all’inglese? Leggetevi l’articolo di Fabio Scaletti. Avete voglia di qualcosa più attuale? Basta sfogliare C.S.I. Crime Scene Investigation di Angelica Tintori. Desiderate qualcosa di robusto? Beccatevi Conan Doyle e la scuola antropologica italiana di Valentina Catania e Casi paradigmatici in The Adventures, The Memoirs e The Return of Sherlock Holmes (e già i titoli ti mettono soggezione)  di Federica Bonalumi. Non siete contenti? Sentite il bisogno di distrarvi con qualche notizia curiosa? Basta leggere l’Osservatorio sherlockiano del nostro Direttore che vi propone anche una chicca che non voglio svelare. Volete sapere qualche bella novità editoriale? C’è pronto a servirvi Mauro Smocovich. Se ne avete fin sopra i capelli di articoli sono a portata di mano belli fumanti due racconti L’avventura del soldato ateniese di Enrico Solito (autore anche della Disanima del canone:La Lega dei capelli rossi) e 1894 di Giuseppe Albanese.

Insomma a vostra disposizione una serie di articoli di ottimo livello. E di’o po’o alla toscana. L’unico dispiacere è che questa pubblicazione si possa acquistare solo on-line. Bisogna crescere, bisogna aumentare di numero per ottenere una migliore distribuzione ed un aumento delle pagine. E allora che state a fare lì incerti e titubanti. Sveglia! Non siate tirchioni. Tirate fuori gli sghei.  Abbonatevi e moltiplicatevi! E che il Signore vi abbia in gloria.

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it