Chance Renard, linea del fuoco numero ventiquattro. Una palude maledetta? Un deserto infestato? Una cordigliera letale? Think again, boys & girls.

Con GANGLAND (Mondadori Segretissimo 1527, maggio 2007) Stefano di Marino (aka Stephen Gunn) manda simultaneamente fuori baricentro sia il suo protagonista che i suoi lettori. Niente exotic locations per questa ventiquattresima outing del Professionista. Niente famigerate organizzazioni occulte, niente femmes fatales tutto sesso e inganno, niente ricerca spasmodica dell’arma suprema. Profeta dell’intrigo, asso delle ambientazioni ma soprattutto narratore di razza, Stefano non esita ad accettare -– e a vincere -- la sfida controcorrente. Dopo avere tirato fuori il Professionista da L’Inferno dei Vivi (Segretissimo 1520) della Nord Corea, lo scarica senza soluzione di continuità in un nuovo inferno, non per questo meno putrido e ribollente.

Benvenuti nel girone dantesco dell’Italia di oggi.

Non è un affatto caso che lo strillo di copertina di GANGLAND sia “Guerra per Bande”. Da tempo immemore -- Mario & Silla, guelfi & ghibellini, cosa nostra & n’drangheta, per non parlare della eternamente, meravigliosamente ributtante politica nostrana -- la guerra per bande è la costante storica, sociale ma soprattutto economica del malpaese.

Profondo conoscitore ed estimatore del cinema poliziottesco Anni ’70, Stefano ne aggiorna abilmente l’intera l’iconografia e immerge la sua narrazione in un universo metropolitano decadente e mefitico, cinico e inquinato. Un universo che non è un luogo definibile con certezza – Corso Impero potrebbe essere dovunque -- ma che al tempo stesso è tutti i campi minati del nostro traballante locus quotidiano. Un universo in cui perfino Chance Renard, consumato mercenario, è costretto a muoversi addirittura più cautamente di quanto non farebbe affrontando i sanguinari Lupi Mannari o il famigerato Reparto Operazioni non Autorizzate.

Infidi gangsters in pseudo-pensionamento e biechi contractors dal grilletto troppo facile, ragazzine bene alla ricerca del boost terminale e meretrici di regime pagabili pronta cassa, faccendieri per tutte le stagioni dell’infamia e forze dell’ordine che brillano per la loro torpida assenza. GANGLAND è tutto questo ed è anche molto, molto di più. È l’estensione naturale, forse inevitabile, dell’arco di tematiche e del salto di qualità iniziato in L’Inferno dei Vivi. Un Chance ancora guascone ma più saggio, sempre temerario ma più consapevole, inevitabilmente adrenalinico ma più calibrato. Da quel maestro tessitore che è, Stefano lascia aperte abbastanza porte (narrative) da condurre il suo protagonista e i suoi lettori alla prossima fase della serie del Professionista. Qualche che questa sarà.

La chiave di volta primaria però resta: con GANGLAND -- metafora virata al nero di una società simultaneamente omicida e suicida -- nel nome del dio denaro, Stefano di Marino dà vita a quello potrebbe essere il libro del Professionista più politico.

E, aspetto ancora più valido, più politicamente scorretto.